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Frocə con Gaza (Catania Pride)

FROCIə CON GAZA
Siamo persone trans*, non binarie, queer, gay, bisessuali, che si sono organizzate per portare al pride di Catania contenuti di lotta all’eterosessismo, al militarismo, al razzismo, allo specismo, al colonialismo. In primo luogo vogliamo disinnescare la complice inerzia rispetto al genocidio sionista in Palestina e denunciare i vari modi in cui il pinkwashing viene agito in questo mondo per giustificare guerre, frontiere, stragi e deportazioni.
Abbiamo organizzato un carro perché vogliamo ribadire anche al pride che non possiamo delegare alle istituzioni, che non ci proteggono ma anzi ci mettono in pericolo, l’autodeterminazione e la sicurezza delle nostre vite. E’ lo stato “eteropatriarcapitalista” e guerrafondaio che ci espone a multiformi oppressioni di genere oltre che devastare e saccheggiare i territori e la biosfera dove abitiamo. Ci vogliono pazienti, ovvero docili e patologizzatә, solo perché il genere che ci hanno assegnato alla nascita non rappresenta la nostra persona. Le nostre vite sono considerate nuove fette di mercato e, se non consumiamo, diventiamo degrado indecoroso da eliminare dallo spazio pubblico.
L’esistenza delle vite trans e dissidenti dal sistema eteronormativo di sesso e genere è sotto attacco. Siamo continuamente espostә ad aggressioni, in strada, nelle case e negli spazi che attraversiamo. Ogni giorno stigma sociale, discriminazioni, aggressioni e oppressione sistemica intossicano le vite di chi ha sessualità e pratiche relazionali non conformi all’ordine monogamico ed eterossessuale e corpi e processi comportamentali e cognitivi divergenti da quanto richiesto dagli standard produttivi del neoliberismo. Ma noi disertiamo il regime eterosessuale e monogamico propinato da Stato e Vaticano e sappiamo che non possiamo contare su quanto le istituzioni potranno un giorno -mai- concederci in termini di diritti.
Quello che vediamo è che gli unici spazi sicuri vengono minacciati, rischiano di essere sgomberati o sono già stati rasi al suolo e sappiamo che la nostra unica sicurezza è difendere la socialità in strada, gli spazi autogestiti in cui troviamo e offriamo riparo (anche per chi è in fuga da famiglie omofobe e/o transfobiche), prendendoci cura delle relazioni, con l’obiettivo di liberarci dalla violenza dei modelli relazionali autoritari e abilisti che il patriarcato ci ha inculcato e che in mille modi differenti viviamo nella nostra quotidianità. Continuamente subiamo attacchi che negano l’affermazione delle nostre esistenze da parte delle istituzioni e dobbiamo autodifenderci di fronte a medici, psicologi, poliziotti, giudici, insegnanti. Vengono minacciate di chiusura proprio quelle strutture sanitarie in cui si tenta di sostenere i percorsi di autodeterminazione della salute di genere, come succede al Careggi di Firenze o a Roma, mentre nel Lazio attualmente le persone trans hanno difficolta di accesso ad ormoni.
E’ necessario iniziare a mettere luce sul malsano e autorevole procedimento del percorso di affermazione di genere in Italia, dove psicologi e giudici hanno il totale controllo del futuro dell’identità delle persone trans: sono loro a decidere se una persona è ‘abbastanza trans’ per assumere ormoni, cambiare i documenti d’identità, operare i PROPRI genitali, spesso dolorosamente attraverso check estetici che secondo questa società malata vengono attribuiti ad ‘uno dei due generi’. Per esempio, molti ragazzi trans hanno subito le decisioni di giudici che li dichiaravano ancora donne a causa dei capelli lunghi, negando loro l’accesso a ormoni e documenti rettificati, anche per anni. E’ necessario denunciare e disertare lo stato affinché possa mai più avere alcun controllo sulle nostre vite, sulle nostre profondissime e personalissime identità. Lo Stato non riconosce le identità non binary, controlla manipola e decide sulle nostre transizioni e sui nostri percorsi, lo stato ha ucciso Cloe Bianco e noi non lo dimenticheremo MAI. Come non abbiamo dimenticato lo sgombero della consultoria autogestita “mi cuerpo es mio” a ridosso del 25 novembre!
Crediamo che la solidarietà è parte inscindibile della nostra lotta. Viviamo in città rese invivibili, trasformate in un palcoscenico in cui i turisti sono il pubblico per gli affari di imprenditori collusi e sfruttatori. Ancora di più a Catania, a partire dalla criminalizzazione feroce di coloro che vivono a San Berillo, da parte delle istituzioni locali, delle forze di polizia e dell’imprenditoria della ristorazione. Rivendichiamo la nostra ostilità alla criminalizzazione di tutto quanto viene definito degrado e deviante. Anche al pride si deve parlare delle vite recluse o deportate perché senza documenti, perché sex workers, perché povere, perché abitano in quartieri fastidiosi per una città che si vuole vetrina, perché resistono. Vogliamo una società senza esclusə e marginalə che riempiono le carceri, vogliamo l’abolizione di ogni gabbia perché non vogliamo vivere in una società-galera che ha degli scheletri negli armadi da seppellire vivi.
Si continuano a costruire strutture detentive per coloro che osano entrare nel nostro territorio senza documenti, anche se si tratta di persone che provengono da territori colonizzati da cui estraiamo risorse con violenza ai danni di ecosistemi e comunità. Di tutto ciò l’Europa e lo Stato italiano si deresponsabilizzano, definendo “migrazioni economiche” questi massacranti esodi che intere popolazioni si trovano a compiere. Non accettiamo di vivere in un mondo in cui la libertà di circolazione è riconosciuta solo alle merci e il diritto di approdo solo a chi sbarca sulle nostre coste dalle grandi navi da crociera.
Allo stesso modo riteniamo inaccettabile che deportano le nostre fratellә e sorelle razzializzatә, a meno che non raccontino nei dettagli come e con chi scopano per provare a convincere un delegato del prefetto di essere abbastanza gay o lesbiche da meritare accoglienza e tutela dentro la fortezza Europa. Quest’ultima, come l’Italia e ancora più Israele, ostentano di essere i baluardi dei diritti umani di fronte alla arretratezza dei sud del mondo, ma noi vogliamo gridare a gran voce che proprio loro non sono paesi sicuri per le dissidenze di genere e per chi è espostә alla violenza eteropatriarcale.
La burocrazia statale, che sceglie su criteri “umanitari” chi può provare a restare e chi deve essere imprigionatә tra quelle poche persone che riescono ad arrivare in Europa, è una macchina violenta di gerarchizzazione razzista delle vite che usa la retorica del contrasto alla violenza di genere per ripulirsi la coscienza e nascondere la sofferenza che viene invece inflitta su chi si trova sulle navi delle ONG che vengono bloccate in mare, dentro gli hotspot siciliani ammassatә in centinaia a soffrire fame e sete, dentro i centri per il rimpatrio di Trapani o Caltanissetta.
La stessa ipocrisia si ritrova sulla questione della guerra. Il genocidio che sta avvenendo in Palestina, l’intervento italiano nel mare yemenita, la guerra civile in Sudan, le atrocità che avvengono in Congo e gli altri conflitti che non vengono narrati nei media sono anche responsabilità dell’Italia, delle sue aziende para- statali, come la Leonardo, che fanno profitto vendendo armi e che sottraggono risorse alla ricerca pubblica. La base militare statunitense di Sigonella è qui vicina e, assieme a tanti altri avamposti NATO, mette in pericolo la vita di tuttә coloro che abitano in quest’isola, oltre che essere utilizzate per ammazzare persone in mezzo mondo. Il supporto alla resistenza palestinese va accompagnata da riflessioni e connessioni con il territorio in cui viviamo, perché la Sicilia ha un ruolo centrale con le sue basi militari NATO, con la militarizzazione della frontiera europea e con la sede di Frontex a Catania, e a sua volta è stata storicamente colonizzata. E la lotta queer non può che essere decoloniale!
Ci posizioniamo contro lo stato italiano che apre carceri in Albania, firma accordi con Libia e Tunisia e fa proposte di legge per dare la cittadinanza a chi si arruolerà nelle legioni straniere. Denunciamo la collusione dell’università con la militarizzazione e la colonizzazione di altri territori, a causa degli accordi privi di trasparenza in vigore nelle Facoltà con Stati guerrafondai e aziende belliche che finanziano la ricerca, come quelli ben noti con Israele, contro cui gli studenti stanno lanciando da mesi mobilitazioni internazionali. Allo stesso tempo siamo contro il colonialismo capitalista interno, quello dello Stato e delle multinazionali, che depredano la Sicilia con industrie nocive come quella della guerra, della green economy e del turismo. Siamo contro il ponte sullo stretto, le grandi opere e l’estrattivismo che per arricchire pochi sfruttano molti e devastano interi ecosistemi. Sono i territori, quelli geografici e quelli rappresentati dai corpi degli individui di ogni specie che li abitano, gli unici ad avere diritto ad autodeterminarsi.
Lo stato continua a mostrarci che noi e la nostra vita non valiamo nulla. E non solo le nostre.
Non si può parlare di lotta transfemminista senza parlare di vite animalə non umanə e di come esse siano declassate ad esistenze di serie b, capitalizzate, sfruttate, considerate sacrificabili perché non appartenenti alla nostra stessa specie. Il capitalismo si erge sullo sfruttamento dell’apparato riproduttivo di quelle soggettività che vengono considerate donne questo vale per le sorelle umane come per le sorelle non umane. Il distacco che creiamo dalle animale non umanә crea scenari orribili e la disumanizzazione e l’animalizzazione negativa rende lo sterminio sistemico di un popolo come quello palestinese un atto accettabile, più leggero e facile da processare.
Non ci sono tradizioni culinarie, ricette o abitudini alimentari o peggio di marketing che valgano da deterrente per continuare a perpetrare questi crimini ai danni di altri esseri viventi di fronte alla più assoluta indifferenza.
Vogliamo che ogni animale di qualsiasi specie possa vivere in libertà, fuori da allevamenti, gabbie e macelli e che le loro esistenze vengano riconosciute come degne di quel diritto alla vita e alla libertà che è alla base di ogni pride. In un mondo pieno di gabbie nessunә sarà mai liberә. Mentre sfiliamo, balliamo, sorridiamo e lottiamo con gioia e orgoglio degli esseri viventi capaci di provare emozioni e sentimenti propri come noi sono costretti contro il loro consenso a vivere in gabbie grandi a malapena per contenere i loro corpi, ammassati e immersi nello sporco, alcuni di loro dalla loro nascita alla loro morte non vedranno mai la luce del sole!
Sia lo specismo che l’eteronormatività ammettono solo una realtà binaria tanto che i comportamenti che si distaccano dallo specismo-eteronomativo vengono stigmatizzati e patologizzati e infine animalizzati. In questa relazione gli animali sono strumentalizzati come soggetti muti con l’effetto di negare una qualsiasi performatività queer dei loro corpi. Ricordiamoci che la natura è già queer e perversa. Solo che non viene ascoltata.
Ciò che consideriamo normale non è necessariamente naturale o migliore, è il prodotto di una scelta ideologica che ha come scopo quello di mantenere in forze il sistema capitalista e patriarcale.
Ribadiamo fermamente l’intersezionalità della lotta e delle pratiche antispeciste come presupposto essenziale della lotta transfemminista e in particolare del principio di autodeterminazione, il cui uso antropocentrico e errato distrugge ogni valore alla base di esso.
E infine due parole sulla città: le città hanno una paura radicale e istituzionale verso gli animali, questo permette l’espulsione degli animali, ma la città nega spazi e diritti anche ad altre soggettività: persone povere, neurodivergenti, anziane, razzializzate, sexworker, persone trans, persone con disabilità tutte loro insieme agli animali non umani non sono abbastanza decorose per abitare gli spazi delle città. E’ delle città decidere costa sta dentro e cosa sta fuori. E’ dell’uomo bianco etero-cis dire cosa è normale e cosa non lo è, e decidere cose può essere ucciso e chi risparmiato, è di Israele decidere chi muore e a chi andrà un nuovo pezzo di terra.
Non c’è orgoglio per loro, non c’è gioia né amore per i loro corpi e le loro anime.
E se davvero nessunx è liberx finchè tuttx non siamo liberx allora noi oggi chiediamo a gran voce libertà per individui che l’intero mondo tratta come fossero macchine e numeri.
SABOTIAMO GLI INGRANAGGI DELLA GUERRA, ROMPIAMO TUTTE LE GABBIE E CREIAMO PARENTELE DI LOTTA MULTISPECIE.