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(Just one moment)

NO g7 salute! Le tematiche che verranno messe sul tavolo.. E qualche spunto critico!

Si pensi che il prossimo indecente meeting globale è solo l’ultimo di una lunga serie di pianificazioni politiche in cui sono state valorizzate sempre più le ambizioni di stampo aziendalistico inesorabilmente anche in ambito medico, sul modello americano. E che per far reggere simile scelte (semplificando, uno smantellamento del welfare) occorre un coordinamento omertoso rispetto al disincentivo dato alla formazione di personale ed alla copertura delle spese sanitarie di base, ma anche ai metodi più operativi e di raccolta e rialaborazione dei dati dove la mira al surplus è preponderante e scarta necessariamente il dibatto sul metodo scientifico nonché persino l’osservazione eziologica, sulle cause.
Non sarà che al solito dovremmo allarmarci sul fatto che tra potenze occidentali si senta legittimo coordinarsi su come rendere le possibilità di diagnosi e cura un ulteriore strumento di ricatto sociale, ma senza che desti troppe preoccupazioni? Non per cadere in  teorie del complotto, ma banalmente perché i piani degli amministratori ed i loro indirizzi collaborativi sono purtroppo sempre molto più lineari e già esplicitamente tracciati (si vedano le proposte del PNRR) di quello che giocano a mostrare attraverso le loro liste dem di rappresentanza.
Di nuovo, come nel precedente post precedente a riguardo, prendiamo in prestito le parole di un compagno marchigiano (cf. articolo pubblicato su Malamente per lanciare  una serie di contro-eventi im dissenso al G7) che ci indica in buona sintesi quali temi verranno messi sul tavolo dei diplomatici:

“Dietro le quinte

Nello specifico dell’agenda dell’incontro di Ancona, studiando i documenti ufficiali emergono tre temi fondamentali:

a) Il tema dei vaccini e dell’accesso ai farmaci.

Nel G7 sono rappresentati i principali paesi che si oppongono all’eliminazione dei brevetti sui vaccini e sui farmaci. A livello globale la lotta per l’“apertura” dei brevetti sui vaccini e sui farmaci ha rappresentato per decenni una delle rivendicazioni esemplari dello squilibrio Nord/Sud nella globalizzazione neoliberale. Durante il G8 a Genova, nel 2001, l’allora portavoce del Genoa social forum Vittorio Agnoletto, fu una delle figure più mediatizzate e che tutti ricordano, ma al suo fianco c’erano numerosi attivisti e attiviste meno noti del cosiddetto Sud globale, che ponevano la questione della proprietà intellettuale sui brevetti come centrale nella nuova dinamica di sfruttamento capitalista che aveva sostituito il vecchio colonialismo di occupazione.

La pandemia Covid-19 ha esacerbato delle contraddizioni già profonde, portando anche in Occidente il conflitto legato alla vaccinazione. Oggi ricordiamo i dibattiti infuocati sulla validità e l’opportunità o meno delle vaccinazioni e sappiamo che sicuramente attorno alla pandemia sono prosperati gli imprenditori politici della paura e del controllo, ma forse scordiamo troppo facilmente quanto l’iniziale scarsità dei vaccini avesse prodotto fenomeni di accaparramento, corruzione, speculazione. Alcune persone arrivarono a pagare fino a 10.000 euro per vaccinarsi privatamente, altre fecero carte false per ottenere vaccini a cui non avevano (ancora) diritto.

Nelle nostre società abituate a un livello elevato di prestazioni e di consumi in ambito sanitario, abbiamo poca consapevolezza delle tensioni e delle sofferenze provocate dalla mancanza di farmaci, vaccini e cure mediche in situazioni di bisogno e di urgenza. Qual è la proposta a cui lavora il G7? Costruire fabbriche di vaccini private, mantenendo i profitti legati ai brevetti, nei paesi poveri per soddisfare la loro richiesta di vaccini e farmaci facendo ripagare i prestiti finanziari, secondo un’ottica pienamente liberista, alle stesse società che vengono già sfruttate dall’economia neocoloniale.

b)  PPR: Prevention, preparedness, response.

A giugno 2024 a Ginevra è stato discusso e approvato un documento avanzato verso la stipulazione di nuove regole globali per la risposta alle pandemie, sotto forma di emendamenti al trattato dell’OMS International Health Regulations del 2005. Le principali innovazioni sono una definizione univoca di emergenza pandemica e dei sistemi di allarme e di risposta condivisi, la creazione di Autorità nazionali preposte alle regolazioni sanitarie e un meccanismo finanziario coordinato per attivare trasferimenti di fondi di emergenza per fare fronte alle difficoltà economiche dei paesi più poveri o in maggiore difficoltà finanziaria. Tutti questi approcci globali e umanitari si scontrano però con le contraddizioni di fondo che vedono i governi del G7 come parte in causa, in quanto difendono gli interessi di alcune delle maggiori case farmaceutiche globali e utilizzano coscientemente il potere medico e sanitario come strumento di pressione geopolitica. Per questo motivo la vecchia ma sempre attuale rivendicazione dell’eliminazione del brevetto dai farmaci salvavita e dai vaccini è fondamentale per ristabilire delle condizioni basilari di equità e di sicurezza sanitaria.

c) Stupefacenti e repressione.

L’approccio del G7 nel campo degli stupefacenti è costantemente improntato alla repressione e alla criminalizzazione, nonostante nel mondo stiano costantemente crescendo le evidenze scientifiche della validità della legalizzazione e della depenalizzazione. Nelle Marche abbiamo avuto un tragico assaggio del connubio patologico tra proibizionismo e repressione psichiatrica nel caso del giovane Matteo Concetti, morto suicida nel carcere di Montacuto a gennaio 2024. Del suo caso abbiamo parlato nel numero 32 (marzo 2024) e abbiamo sostenuto la richiesta, ancora attuale, di dimissioni per incompetenza del Garante dei detenuti, Giancarlo Giulianelli. Nelle Marche poi non dobbiamo dimenticare l’ingombrante presenza di uno dei capi politici di Fratelli d’Italia, lo psichiatra Carlo Ciccioli, oggi eurodeputato, che già nel 2012 provò a minare dalle fondamenta la legge Basaglia, senza riuscirci, ma che oggi continua a promuovere una cultura tradizionalista, paternalista e autoritaria applicata alla salute mentale.

Nel carcere e nelle strutture di contenzione psichiatrica il legame problematico e mortifero tra repressione e droghe accelera e si intensifica, ma presenta la stessa grammatica sghemba che troviamo nelle strade. Il consumatore di sostanze viene sfruttato dalla criminalità e diventa bersaglio della polizia che cerca di aumentare la propria produttività penale con una fonte praticamente inesauribile di illegalità. Negli ultimi tempi il movimento antiproibizionista in Italia ha subito numerosi contraccolpi e negli anni è molto arretrato, spesso delegando ad attivisti in cerca di visibilità improbabili campagne mediatiche. Sul terreno oggi sono rimasti operatori e operatrici sanitari di base che difendono i diritti delle persone tossicodipendenti nella pratica quotidiana, con enormi limiti e problemi.”

Quest’ultimo punto ci tocca in larga parte. Comprendere come il Sistema sanitario operi sinergicamente a quello carcerario è di cruciale importanza in ottica di autodifesa e per mantenere un approccio emancipativo anziché lasciare che siano gli istituti preventiti e punitivi ad occuparsene e definire il nostro stato di bisogno psicologico. Il rischio è quello che si vengano a determinae standard sempre più disciplinari, socialemente accettati così come i metodi sedativi e dissociativi sia volontari che coatti non solo sono ampiamente abusati in carcere, ma ne costituiscono la norma non pubblicamente scritta. L’aspetto più drammatico è che spesso non si tiene conto della storia individuale: per la grande maggioranza della popolazione carceraria la reclusione è assegnata per reati minori, ma il contesto di difficoltà materiale e di traumi in precedenti esperienze non solo non vengono considerate, bensì comportano un ulteriore perseguibilità in quanto soggetto emotivamente instabile o socialmente pericoloso. La costruzione della fedina attraverso simili diagnosi è quanto di più lontano dalle lotte che sono state fatte per la stessa chiusura dei manicomi e degli OPG. Se si aggiunge poi che da anni un terzo dex detenutx con problemi di dipendenze non ha la cittadinanza italiana si può cogliere che il discrimine razziale e insieme di classe non serve che alla propaganda securitaria ed alle grandi mafie stesse tanto quanto in genere si sta incentivando sempre più la collaborazione con le lobbies farmaceutiche nelle politche di controllo sociale.

Per approfondire questo delicato passaggio che lega stupefanti e farmaci si può suggerire il podcast appena trasmesso a riguardo per Ricongiunzioni, rubrica di Radio BlackOut e che si occupa di espropriazione e riappropriazione intorno a tendenze e pieghe assunte dalla medicalizzazione (nonché alle piaghe in termini di salute ossia agli effetti collaterali dell’organizzazione in una dimensione capitalistica della cura nonostante i progressi millantati, i quali sono stati in realtà più che decretati a tavolino dovuti semmai da lotte tanto precedenti e propedeutiche quanto internamente conflittuali al welfare). In particolare, rigettiamo le maniere spersonalizzanti, con la pretesa di poter classificare clinicamente una complessità di stati emotivi che sono invece soesso campanelli d’allarme di difficoltà non solo psicofisiche ma di contesto relazionale nonché di base economico-politico. Eppure si continuano ad applicare protocolli sanitari in cui è facile rintracciare una matrice positivista che li tiene ancora oggi legati ad un concetto giurisprudenziale di devianza. E questo sincretismo ideologico è talmente funzionale alla gestione dell’ordine pubblico che per consuetudine non si contesta, si lascia che venga indotto, fino ad arrivare a privare le singole soggettività così ridotte a utenza clinica di una propria una autonomia decisionale.

É fondamentale capire come la violenza repressiva cui ci sottopongono non viene certo esercitata soltanto attraverso le fdo.

Per questi motivi vorremmo non dover finire a trascurare né i momenti di confronto né di sperimentarci in tutte le forme di supporto tra esseri viventi in cui possiamo riconoscerci non solo come oggetto ricettivo ma puntando ad una rielaborazione delle proprie esperienze. Ovviamente auspicando che essa sia praticabile con meno mediazioni/ricoveri possibili: ricordiamoci degli incessanti tentativi di non lasciar delegare ad istituzioni totali un senso proprio della cura, ne gioviamo davvero tuttx! Persino l’organizzarsi insieme trova forza nella capacità di “anamnesi” delle lotte reciproche..

Dal momento che la questione “salute”, valutata genericamente,  arriva a toccare veramente qualsiasi ambito, cosa pensiamo sia prioritario?

L’approccio che rivendichiamo, uscendo da mere analisi sistemiche (ed evitare di farsi demoralizzare definitivamente da previsioni angoscianti) non richiede in fondo grandi sforzi o competenze bensì un terreno comune del lasciare attivamente spazio alla sensibilità, al non essere giudicanti rispetto a percorsi personali, al trovare canali di espressione per le proprie sofferenze, al dare una spalla ad affrontare alcune debolezze, all’empatia.

Certo non sembra affatto facile dare concretezza a quest’approccio e forse appare quasi ipocrita sognarlo, ma non sarà perché viviamo in una società in cui la salute è trattata come una merce ed al contempo non raggiungibile per chi non abbia specializzazione? E non si nota che le relazioni stesse raramente risultano sane in sé, bensì più spesso seguono meccaniche dissociative, ossia maschere e compromessi che danno luogo a scompensi.. ed a conseguenti false soluzioni a catena?

Non ci fa invece sentire già meglio pensare a cosa conta per noi, ben prima e massimamente al di là del progresso occidentalista in cui vengono dirottate le nostre vite?

I temi che i governanti pianificano sulle nostre teste più che avere a che fare con la cura non riguardano forse una necessità di mantenere produttive le industrie e in miseria le aree che si possono ancora spremere? Non ci si chiede perché non si smette di rifornire armi, sterminare popolazioni non vendutesi, distruggere interi ecosistemi? E non si tiene conto forse che le emergenze sanitarie sono alimentate proprio nel versante coloniale, attraverso sfruttamento animale e tramite esposizione a scarti inquinanti? Quali malattie ci colpiscono davvero? Ed a confronto, come ci sembra si stia orientando il welfare sanitario, o quel che ne resta?  Chi lavora nel settore ha forse voce in capitolo? E chi riceve li trattamenti??

Per tutto ciò… non é per niente infantile -al contrario!-  osare pensare di potersi ridefinire, di puntare a decentralizzare i finanziamenti, autonomizzare le prassi medicali, di prenderci la responsabilità noi stessx, scegliere liberamente come coinvolgerci nel mondo.

Our minds, our critics ..

My body, my choiche !