Resistere ad uno stato di polizia come l’attuale che vanta di essere reazionario comporta non dimenticare di contribuire alle spese legali di coloro che sono statx inguaiatx.. a torto o meno, e per distrazione o meno! Questo tipo di distinguo in un approccio solidale che si ponga contro le strutturazioni normative non dovrebbe importare, tantomeno quando in linea di massima ci si sta lasciando disperdere. Ci sentiamo ugualgmente coinvoltx. Anzi, lo scimmiottamento poliziesco di “rappresaglie” identificative che per quanto poco fondate e grottesche riescono a ferire duramente e colpire sopratutto i più giovani, fanno emergere quali siano le debolezze intrinsceche di un circuito underground. Come pretesto per far perdere d’animo fino al far desistere dall’immaginario più situazionista e spontaneo, l‘impostazione securitaria non arriva per caso nemmeno nel colpire quella che riteniamo una innocua possibilità di far festa..!
Generalmente, quando ci attende l’inasprirsi dell’assetto punitivo, se ne addita la causa in dimostrazioni di antagonismo, proteste violente, azioni di sabotaggio, propaganda insurrezionale,.. Gli episodi recenti evidenziano piuttosto la serie di contraddizioni od ingenuità che si tende a riprodurre proprio allontanandosi da quelle dimostrazioni, o ritrovandovici senza che vi sia stato un confronto adeguato. Questo manca a sua volta come conseguenza di perdita di coesione, il che impoverisce la riflessione sulle condizioni stesse in cui ci ritroviamo, e che influenzano il nostro agire prima ancora di poter scegliere davvero. Gli amministratori di codici comportamentali se ne approfittano soltanto, esattamente affibbiando senza alcun criterio di continuità e tantomeno una chiara predisposizione operativa, se non il solito puntare ad inventarsi capri espiatori, dove la riduzione come soggettività all’essere in debito con lo Stato serve a ristabilire il primato dell’uso speculativo dello spazio urbano.
Dove la sanzione, la detenzione e la perdita delle proprie relazioni di fiducia sarebbero funzionali al dissuaderci dall’essere presenti (nei freeparty come alle nostre passioni), svelano al contempo una sciocca strategia: in qualche modo le forze dell’ordine stanno associando un espandersi generalizzato delle interazioni tra partecipanti e chi avrebbe invece responsabilità organizzative ad elementi probatori che per lo più sembrano barzellette. Il paradosso che a questo punto dovremmo considerare non sta tanto negli abusi, che per quanto grotteschi non si è affatto ancora in grado di poter contrastare con azioni collettive estese tanto da essere indistinguibili da un atteggiamento solo partecipativo, liberando anzi quest’ultimo dalla passività in cui rischia di trattenersi.
Un’accusa inaspettata e decisamente sopra le righe ci ricorda insomma che l’ingiustizia istituzionale colpisce inevitabilmente, e accade talvolta persino in alcune situazioni autorizzate, a seconda di quali siano gli interessi a monte. Unico sincero discrimine: con maggior coesione la si va ad affrontare, meno la minaccia penalistica troverà spazio di applicazione.
Da tempo però, nella convinzione che sia più saggio rifuggire dal martirio attribuibile alle prospettive conflittuali / che richiamino ad una resistenza, la stessa coesione sta diventando un tabù, concepita come una manifestazione che attira occhi indiscreti, quando all’opposto ci riporterebbe ai principo cardine per cui non si è ancora statx eliminatx del tutto. La terminologia che invita allo slancio viene recepita spesso come ideologica e anacronistica. D’altro canto, quando ci si ritrova alla fase del praticarla, assumendo quindi senza troppo indugio il rischio di venire raggiuntx dalle operazioni di “pulizia del dissenso”, si riproduce altresì un’ambivalenza proprio concedendo ad esse di affermarsi attraverso i numerosi distinguo tra posizioni più o meno puriste. Affermiamo, in questi casi, una supposta separazione d’intenti senza troppo considerare il background che ci corrisponde davvero, soprattutto nei confronti di coloro da cui ci vogliamo distinguere: l’errore che fa molto comodo ad una strumentalizzazione repressiva è che ciò si compia come se si parlasse di qualità soggettive, non rispetto al come soggettivamente si cerchi di avvicendarsi in chiave dialettica.
A partire dai metodi organizzativi e dal significato che scegliamo di associare alle parole in cui in qualche modo ci si vuole o lascia identificare, se questi non sono ben coscienti e consensualemente distrutti e costruiti,in continuazione, esattamente come la fluidità intersezionale richiede, si fa presto a proiettare terribili fissità di giudizio, e a non poterne più facilmente uscire. Storicamente questo non è un meccanismo sociale trascurabile, in particolare se ci si vuole difendere da strumentalizzazioni portate a livello giuridico. Importante quindi tenere presente che la storia di ognunx di noi ha un pezzetto differente da aggiungere al puzzle, e che proprio quelli mancanti al confronto, o che ne vengono allontanatx, comportano il facilitare di rompere tutto l’insieme delle nostre ragioni, ancor peggio se ciò avviene tra di noi, senza nemmeno bisongo dell’intervento poliziesco o le retoriche dei giornalai. Avvilente, per esempio, come la questione della complicità comporti al contempo una gran selezione interna, come già per gli anarchici di vario orientamento, purtroppo, portando a una notevole limitazione del campo della critico e ad un ridimensionamento di quello che concerne l’azione, quindi non solo la possibilità di proseguire entro quei campi, ma anche di trovarvi qualcosa di ancora vivo..
Laddove non si tiene in considerazione di tutti quegli ambiti di scelta che sì rispecchiano cedimementi, talvolta persino epocali, a contrattazioni sistemiche, ma che nondimeno hanno in qualche modo tentato di contrapporvisi o non farsi eliminare del tutto, quindi possono, quantomeno, testimoniare quali siano i punti di non ritorno, per un movimento, ci si preclude di valorizzare il campo del sensibile e dell’esperienza diretta, non mediata. Non ci si concede, attaccandoci ai pro forma, nessuna uscita anche solo temporanea dai ruoli fissi che tuttavia ci attribuiamo.. Se anche una sorta di liberazione avviene sottocassa, nella trance della danza e del viaggio psichico, sembra essere esclusa da alcuni momenti decisionali e criteri di coinvolgimento reciproco. Ecco allora la coesione che forse sta venendo a perdersi in modo irrevocabile: ci rivendichiamo un operativo riappropriarci degli spazi insomma, ma non ci stiamo dando spazio, come soggetti, di poter mettere in condivisione le frustazioni da cui vorremmo emanciparci, di elaborare percorsi in cui la messa in discussione dei rispettivi privilegi non appaia più come sterile polemica e attacco personale, bensì apra a nuovi scorci di condivisione.
Coesione non come ricaduta in un costante processo di omologazione, quindi, ma nella comprensione reciproca, e come presenza attiva. Coesione tra le scelte variegate dex signolx individux, in netto contrasto con l’ombra della dissociazione. Coesione inoltre non strettamente numerica, ma che può spiazzare le prevaricazioni appellandosi alla creatività che ci unisce.
Tutto il ricavato di questo primo progetto andrà a copertura delle spese legali di Alien J in quanto al momento si sono attivate persone vicine a lui ed alle persone che hanno dedicato tempo nelle grafiche e nel mastering oltre che alla call, ma si tratta del resto di un inizio. La prossima verrà destinata in base all’urgenza, e sarebbe auspicabile che si vada man mano a ragionare in maniera allargata su questo tipo di raccolte in maniera che l’approccio solidale permetta di colmare le difficoltà di ognunx anche al di là di semplici collette: questo è in fondo l’obiettivo lungo termine che chi scrive propone.
Si potrebbero innanzitutto evitare le confische di attrezzatura, così come le misure pecuniarie alternative al carcere invece formalmente previsto, fino al renderci conto che sotto accusa non è soltanto chi organizza, ma un sottomondo solo apparentemente ritirato, ancora illegalista col suo variegato immaginario e la concretezza di chi non desiste dall’intenderlo e realizzarlo.. Forse un movimento divenuto quasi timido nello sperarci, ormai ridimensionato dall’ipocrisia generale.
Ma la scarsa conoscenza di come procedano i provvedimenti penali ha già di per se stessa portato a rompere alcune possibilità di riorganizzazione: la repressione si estende innanzitutto attraverso la paura di venir individuatx fino a rincarare una sfiducia reciproca, la dispersione dell’affinità, sentimenti di rancore per le diverse scelte che ci si trova a prendere, fondamentalmente condannandoci a divenire sempre più impreparatx, e su tutti i fronti.
Spesso si trova entusiasmo per unire forze e velleità artistiche, ma non per dover combattere aspetti che ci imprigionano, o perlomeno sempre meno pare, finendo a riprodurre una separazione che è tutta strumentale all’avanzamento del capitalismo, tra crisi e riassetti fascisti. Cristallizare i due aspetti, quello espressivo in senso armonico/sinergico e quello che invece pone una resistenza alle oppressioni, come fossero polarità contrapposte, chi ha memoria storico-politico tende con faciloneria a scartare l’esperienza artistica come qualcosa di superfluo e ormai completamente asservito alla produzione. Eppure, si tratta di due sfere, quella creativa e quella conflittuale, che restano strettamente connesse (almeno quando si vive secondo gli stessi principi che ricerchiamo duranti gli eventi). Se del resto non ci si preoccupasse di come affrontare le misure repressive, le quali puntano a prosciugare anche i più piccoli sforzi di liberazione, si rischierebbe di giungere a situazioni in cui si è privatx persino del semplice desiderio di esprimersi, sperimentare, di trovare il proprio stile autonomo.
Fino al continuamente ribadito bisogno di possibilità concrete di ricreare spazi e tempi nostri, in cui poterci incontrare ancora, e per cui non si rimarrebbe inerti né agli sgomberi, e nemmeno alle retate che gli ambiti autorizzati e legali non possono impedire.
E dovremmo ricominciare a comprendere che la festa non la fa solo “la crew”, ma il senso di unione che una volta si spostava grazie ad ogni tribe, traveller, squatter, jugller, performer e creativx di ogni tipo deditx alle autoproduzioni!
Solo ribadendo una composizione non gerarchica e non determinata dal potere economico, persino quello dell’avere un impianto, potremo trovare un qualche possibilità di uscita dalla distopia che incombe e di cui le misure penali che ci riguardano sono solo la punta dell’iceberg. In un mondo pervaso dallo sfruttamento ricavato dalla guerra e dalla devastazione ambientale, la rivoluzione non avviene “soltanto” ballando, né lasciando che ci domini una superba velleità professionale senza alcun rapporto con il proprio ambiente, cosa che invece si può ben riconoscere a Jibbo nonostante il suo aver “osato” meno di tantx altrx, negli anni, eppure proprio per questo il solo riavvicinarsi ad una TAZ, peraltro molto umilmente nell’esporsi e con visibile emozione nel suonare, dovrebbe essere un gran bel segnale. Poiché non siamo qui per stabilire primati competitivi di nessun tipo, e rispetto a questi elementi spesso discussi su social ma che restano superficiali nello sguardo e nelle capacità di superare le nostre contraddizioni, si richiede di spersonalizzare le critiche e ripensare invece a quali spunti ci offrono. A riguardo, una prima raccolta di sfoghi si trova riversata in Da quand’è che il conflittuale l’abbiamo lasciato andare a male.., un testo in cui nel trascrivere alcuni appunti vademecum d’autodifesa legale e buone pratiche di tutela da controlli e vicoli ciechi si vuole anche dare conto dell’errore che faremmo nel considerarli sempre adatti, immobili, certezze da replicare. Per sfuggire alla limitatezza di sguardo si è pensato fosse quantomeno interessante, se non subito utile, contornarsi di frangenti di domande aperte. Il testo in sé è riscrivibile a più mani per chi volesse contribuire, nel frattempo visionabile in formato pdf ed immagine nella sezione Materiali).
Ci sono alcuni elementi che spiccano e già di per sé lasciano intendere che certe convinzioni detrattive nei confronti dell’uno o dell’altro personaggio nascondano una diffidenza ben più grave e lacunosa. Tante piccole nicchie finiscono così per essere reciprocamente percepite come ambigue e poco connesse con la realtà di questo o quel movimento (sempre che un movimento esista davvero, che non ce lo siamo solo sognato) e nonostante poi si pretenda quasi di rappresentarlo in maniera univoca. Ed ecco il punto che ci potrebbe preoccupare senza più distinguo: se ci sono stati evidenti e problematici processi di recupero legalista, negli anni, come in ogni scena sottoculturale purtroppo, è al contempo questa una occasione di capire dove stia la sostanza delle nostre affinità, e anzi di promuoverla. In questo senso questo album è sabotaggio di alcune abitudini a trattare la musica come un prodotto, ma anche di riconsocere un valore a chi produce, rilanciando insieme forme di riappropriazione. Indicativo per esempio che alcuni nomi di musicisti già molto noti e che hanno preso altre strade rispetto la nostra, creandoci addirittura dello scompenso per via della disponibilità data a locali e club, non hanno assolutamente posto una “distanza scenica” da chi invece ancora occupa con la k, anzi contribuendo senza esitazione ad un progetto come questo della compilation, che per quanto si presti ad idolatrie vane di fatto è sorto per evadere dal calcolo di profitto, e questo può valere anche laddove vi sia della gratificazione e un minimo di compenso, ovvio. Quello che fa una differenza sostanziale, quella che permette di superare i distinguo di superficie, è la necessità di farci attentx e consapevoli, non sfuggendo alle possibilità di poterci mettere in discussione e tirare fuori il meglio dal potenziale di chiunque si voglia avvicendare.
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Il riunirsi ad un free party non può limitarsi a qualche momento non meglio riflettuto di evasione psichica, ad uno straniamento estatico o ad un appagamento estetico (magari con infiltrazioni di logiche dello spettacolo: proprio queste hanno spesso disinnescato, in alternanza con una repressione esplicita, molta di quella rabbia dei momenti di rivolta stessi e di vari sforzi organizzati; ovvero, seppur vi siano aspetti che dall’estetizzazione retorica delle lotte possono tenerne vive alcune braci, pensiamo agli esiti che queste possono avere se pensiamo di poterci scaldare con esse senza alimentare il nostro presente, ed a come invece si possa ricreare situazioni che racchiudano varie sfere di affinità se si perde la capacità di fare un minimo di analisi di ciò che ci circonda ed attraversiamo… non solo durante i margini di un teknival, tantomeno di qualche serata….. sarebbe davvero tutto molto più leggero).
E no, non si tratta nemmeno di potersi adagiare e ripiegare per la noia e la staticità delle nostre comuni condizioni.. Gli aspetti di superficie e appagamento estemporaneo non possono bastarci. Non sono distratte consolazioni quelle che cerchiamo, ma forme concrete di ribellione e immaginari che risveglino ciò che viene relegato a mera utopia. Ci richiamiamo quindi ad una serie di consapevolezze che riguardano i nostri territori ed alle stesse storie di resistenza che ci hanno precedutx. E per quanto gli strumenti a nostra disposizione appaiano ingenui, dev’esserci un motivo se vengono messi al bando e criminalizzati…! Non dovremmo demoralizzarci e diffrangerci proprio ora, anzi è il momento di ricordare da dove arriviamo e dove vogliamo andare davvero, raccogliendo tutto il potenziale di intere decadi di “movimenti” che sì, non disdegnano la ritualità della danza e di dare valore a tutto l’esprimibile che ci venga a cuore.
Il riverbero che puntiamo a diffondere continuando ad occupare è qualcosa che non si accontenta dell’aspetto ludico, per quanto teniamo a rivendicarcelo. C’è qualcosa che riesce ad arrivare ben oltre, risveglia profondità normalmente sedate e ricondotte all’ordine cittadinista; qualcosa che occorre continuare a trasmetterci, come quella che subito si agisce concertando una rottura con l’ordinarietà liberale e con l’apparato burocratico-statale:
la capacità di svilupparle insieme, le nostre condizioni.
Se c’è una responsabilità nei nostri gesti ed intenti, è proprio quella per cui si finisce ad appoggiare gli stessi distinguo solitamente tipici di una strategia repressiva. Ciò accade addirittura mentre questa dimostra di brancolare nel buio, perché insomma, non sa bene come attribuirci tutte le colpe se non tramite la solita retorica del disturbo dell’ordine pubblico, per altro sempre più sommaria. Ma in qualche maniera, e proprio grazie alla confusione che siamo in grado di creare, l’assurda pioggia di accuse calate su ogni festicciola ci sta ponendo davanti ad un bivio:
lasciare che vi sia un’inesorabile recupero di tuttx coloro che non potranno sostenersi da solx, o prendere finalmente ad occuparci non solo dell’estemporaneità di un evento, ma della stretta relazione tra chiunque ne voglia partecipare.
Da qui il riaprire la strada ad approcci non di mero intrattenimento, distrazione, isolamento, ma ad una controcultura che si amplifica grazie ad ogni individualità o gruppo che la vive portandovi la propria esperienza. Per questo, ma anche a prescindere, al fine di sostenere la tensione a superare le limitazioni securitarie, sarebbe non solo ben poco avveduto, ma persino meschino lasciare sole le persone inguaiate. Non siamo più negli anni ’90 in cui benché la repressione odierna fosse già tutta impostata (e anche questo ce lo si dimentica spesso), quantomeno la copertura economica delle collettività autogestite si poteva gestire ben più facilmente rispetto ad oggi.. occorre quindi apprestarci a mettere insieme ciò che sappiamo fare meglio, se vogliamo cominciare a prendere una posizione davverto autodeterminata.
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Per altro, se la nostra percezione di come si evolvano le scene è abbastanza allenata, riconosciamo oggettivamente nel clubbing, a parte alcune sue eccezioni storiche, come un alimentarsi di mode. La differenza sta in come queste riescano a rieccheggiare od al contrario scartare fino a snobbare tutta quella vivacità polemica che allerterebbe sui compromessi sociali e richiederebbe di assumersi alcune responsabilità, certo persino nel divertirsi, riconoscendo le varie dinamiche di distacco dalla quotidianità e se queste ci rendano più o meno dipendente da prospettive che non stiamo realmente scegliendo. Banalmente, i frangenti che una moda interseca difficilmente stimola le persone ad andare oltre rapporti di uso e consumo acritico, tanto per cominciare. Per poter davvero risollevare un qualche fermento analitico – nonostante ed anzi – grazie alle grandi botte, far sì che siano al contempo ironiche tanto quanto calate nella realtà, senza “un farci” di illusioni, dovremmo assumere forse che gli stessi free party ed i centri sociali solo raramente sono ormai da meno di queste riduzioni tipiche dell’ambiente cosiddetto localaro. Il fenomeno non è certo ristretto alle aree catastali, ma la maniera di prendere queste in gestione invere lo è decisamente, influente non solo in rapporto all’ideale cui ci si richiama, ma ad ogni singolo rapporto che in un luogo viene approfondito. Questo è forse un nodo ancor più grosso della “fuga di ballerinx” dalle situazioni più precarie (cit. Il Resto del Quartino, parafrasando in presa bene nomi di giornali indegni), ossia galassie e melasse dell’anarchismo e di estrazioni antagonistiche, o quel che ne rimane.
Un quesito, quello che ci interroga direttamente su cosa sia la mercificazione dell’esistente e come le diamo consenso, e non semplicemente il non volersi proprio capire tra livelli commercializzati dell’underground, e chi invece ancora rifugge dall’arrivarci (manco fosse una tappa obbligata). Ma per darsi una risposta si dovrà uscire da personalismi e cercare di capire cosa accade nelle nostre ed altrui aree urbane, non solo musicali. Chi tenga ancora all’autogestione come pratica da diffondere e non come principio astratto (di quelli che si affacciano al mondo come proposta ma vengono in fretta riservate a ristretti gruppi di amicx e confidentx, dovrebbe porsi un ulteriore quesito, ovvero cosa spinge ad indicare chiamamente sugli inviti di lasciar a casa i problemi: non sia mai che affrontarli possa farci imparare qualcosa di più profondo che uno slogan ed affinare i nostri strumenti interpretativi e decisionali affinché l’affrontare di quegli stessi problemi non debba finire in delega ad altrx, come i buttafuori od i servizi sociali e poliziotteschi, ad esempio? Insomma chissà quantx di noi si pongono il problema di come affrontare i problemi che ci accomunano, oltre che “gestire serate”.
Viceversa, facendo un salto grandangolare sul problema dissociativo, genericamente riscontrabile come una disgregazione principalmente di metodo, vediamo che ogni volta ci attenda l’inasprirsi dell’assetto punitivo, c’è sempre qualche parte di una scena che ne addita la causa in dimostrazioni di antagonismo, proteste violente, azioni di sabotaggio, propaganda insurrezionale,.. Gli episodi recenti evidenziano piuttosto la serie di contraddizioni od ingenuità che si tende a riprodurre proprio allontanandosi da quelle dimostrazioni, o ritrovandovici senza che vi sia stato un confronto adeguato. Questo manca a sua volta come conseguenza di perdita di coesione, il che impoverisce la riflessione sulle condizioni stesse in cui ci ritroviamo, e che influenzano il nostro agire prima ancora di poter scegliere davvero.
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Attraverso questa prima compilation benefit, partita proprio da una riflessione sull’hype creato a seguito di pesanti denunce per il Sound of Freedom, ci auguriamo lo spunto venga colto forte e chiaro..! Di questi giorni per altro la notizia che confermerebbe 70 fogli di via associati a quell’occasione.
L’obiettivo sarebbe poi, lo si ribadisce, portare adeguata attenzione anche a tutte le crew colpite quest’anno ma che godono di meno visibilità (per aggiornamenti, visita la nostra pagina apposita per gli annunci sulle raccolte fondi) cui si destinerà le prossime compilation. Un benefit è ogni iniziativa per cui i ricavati vengono destinati completamente alla copertura di spese legali, a parte qualche costo base. In questo caso, si tratta di una percentuale della piattaforma bandcamp in cui la compilation rimarrà disponibile per un solo mese.
Per info su questa pubblicazione e il lancio di nuove proposte di benefit: 633bis@anche.no
/// MAKE YOUR OFFERS! /// this album will be only for a month available on Repartee Records bandcamp:
>> reparteerec.bandcamp.com/album/benefit-compilation-hands-off-the-music
Tracklist:
01. C-116 (Loslot ft. Vito) – Monsterhil 03:56
02. Crystal Distortion – Landord Hooked on Crack 06:10
03. DDos Attack – Tsunami 06:31
04. Donazz – Soulful 05:20
05. Fiero – In The House 07:25
06. FTK – FTKop$ 04:24
07. G2BoRd3rLiNe – HiTtHeRoAdJoNny 05:49
08. Gandotek feat. BR2B – Currupted 07:25
09. Hoffman – Acid Combat 06:40
10. InArte – Overload 03:39
11. Insane Teknology – The Last Fighter 06:06
12. Jetro Russo – Rubber Warrior 07:06
13. Kriza – Thanatos 04:53
14. Mental Side – Jibbo 11:50
15. Mikmoog – Bar Planet 06:31
16. MoMo – Ciuff Ciuff 08:53
17. Moro – Piano Shipwreck 05:25
18. Noise – Dirty Eliot (live) 04:38
19. Nova – NeptuneTek 03:30
20. OBY One – Bring it Back Back 05:22
21. Phenox [Repartee] – Antidote 04:47
22. Purple Mash – This is Acid 05:38
23. Sbeenz – Slip Slide Icecapades 05:34
24. Sek – Glitch Tones 08:40
25. Stabfinger – Nostalgik Boomer 04:31
26. Stereocool feat. Frost – Weird Flex but okay 03:23
27. Syndaco – Betweenus 06:05
28. Tekhnika – Tek-No System 04:30
29. Total Konfusion – Sanctuary 10:25
30. Tripper – Riot Raves 06:02
31. Yukai – Tribal Call 05:17
32. Zukky & Phil Kix – Unicornus 04:50
33. Brain Jam – Covered Embers [Bonus Track] 07:28
/// ABOUT THIS PROJECT /// thanx a lot to Marco/DDos Attack [ Hacked Records ] that had taken care of all passages:
_ call for musicians _ graphics _ mastering with Marco [ Repartee Records ]
_ online dedicated page (where you can found the reason about this benefit + booklet)
/// On the new year TAZ happened in Bologna /// public communication that was spread through:>>> brughiere.noblogs.org/post/2024/12/30/bologna-sound-of-freedom-30-31-1/
[ pubblicato da @baseAzotata ]