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(Just one moment)

Sulle strategie governative che legano la criminalizzazione dei free party alla repressione dell’antagonismo sociale.

Ora come ora dilagano festival commerciali che costano un sacco di soldi e che promettono di simulare l’esperienza del rave. Dico simulare perché il pubblico di questi festival non è quello del rave: l’atmosfera che si crea è diversa, si respira un’aria di artificialità ben lontana da quanto avviene – nel bene e nel male – in un free party. Al di là del prezzo d’entrata e delle bevute, in questi contesti non puoi fare quello che vuoi.
Non puoi improvvisare una performance, montare un banchetto di libri-fumetti-fanzine, vendere magliette o fare un graffito. Sono situazioni pulitine e rassicuranti, dei Disneyland-rave confezionati dall’alto e venduti a caro prezzo ai partecipanti, quasi tutti della middle-class, spesso affascinati dal mondo dei media e della moda. Basta guardare le foto dei partecipanti per capire che questi eventi sembrano più sfilate che altro. In questi contesti gli appartenenti alle classi più umili al massimo lavorano come baristi, cuochi, fonici o allestitori: certo non possono permettersi di spendere cinquanta o cento euro al giorno per partecipare.
Ed è per questa ragione, e non per un motivo ideologico che il rave sopravviverà sia alla commercializzazione che alla repressione governativa. La gente vuole ballare e rivendicherà il diritto a farlo, senza chiedere permesso…” ( da una intervista a Pablo El Drito ) 

Durante il dibattito ci collegheremo in remoto con Pablito El Drito, esponente eclettico della scena D.I.Y. milanese fin dagli anni ‘90. Rimodulandosi attraverso vari registri stilistici e progettuali indipendenti, Pablo ha cercato di narrare a più riprese e di far emergere le peculiarità di un ambiente che al momento si trova con ridotte possibilità logistiche e comunicative, spesso soffrendo, sembra, della mancanza di uno scambio infra-generazionale: è questo un aspetto che si vorrebbe poterci offrire vicendevolmente, non solo tramite i dibattiti e proprio perché non debba costituirsi alcuna pretesa di riproduzione acritica dell’uno o l’altro approccio passato/presente; perché non si vadano quindi a cristallizzare forme associative chiuse, ben congeniali alla persecuzione giudiziaria e purtroppo opprimenti quando si riducono a nuova omologazione tra pari. Così come per le individualità, che agiscono entro variabili di privilegio / oppressione, troviamo che la presa di coscienza di queste, che sia tesa ad una evoluzione delle lotte nei rispettivi territori, non possa venire lasciata ignorata o data per scontata, poiché purtroppo si trova legata a dinamiche sistemiche non casuali, ma capillarmente pianificate nondimeno per farci dimentica la storia non ufficiale, quella di chi ha desiderato e ricreato alternative. Un confronto reale, che si mantenga aperto, può invece concederci di aggiungere elementi di interpretazione, e che sia quanto meno dogmatica, dei contesti in cui cresciamo come volontà libere. In prospettiva, si punta ad un tipo di informazione che sia a sua volta quanto meno lasciata arresa o passiva: non negarci quindi un tipo analisi che per molti versi risulta imprescindibile dover considerare, almeno nel momento in cui voglia affrontare la realtà in chiave conflittuale..

La riduzione delle sotto-culture ad una mera posa estetica, o confusa con una attività virtuale, per cui non resta più né vera arte.. né parte, certo non potrà portare a ricreare possibilità di “resistenza” a tutta una serie di apparati che risalgono al fascismo.. e che lo stanno riformulando. Ci chiediamo quindi se ritrovarci a ballare – solo per non pensare – potrà bastarci!

Anche qualora la nostra rivendicazione voglia mantenersi su un piano strettamente pragmatico o rivolto ad attività più ludiche, un intrattenerci anche oziando senza troppa morale, è bene renderci conto che le dinamiche strutturali dominanti hanno comunque un’ascendenza che distorce gli intenti più genuini, esponendoci in maniera ancor più intimamente coinvolta alle conseguenze di una affermazione totalizzante dei dispositivi tipicamente statali. Pensiamo per esempio a come persino alcuni metodi assembleari che pure si condivide entro rapporti di amicizia non si rendano sempre e comunque disponibili od empatici nei confronti degli entusiasmi delle singole soggettività in gioco.

La repressione che subiamo da parte delle autorità riguarda anche questi elementi, a maggior ragione in quanto essi sono i soli di cui possiamo aver una certa autogestione.. perciò chiediamoci:
quali concrete possibilità relazionali ed organizzative ci rimangono di fronte a dispositivi securitari e accanimenti normativi con ricatto penale ?
L’invito, non riservato all’iniziativa, è quello a tentare un confronto che funga da esercizio di memoria non-ufficiale e trasmissione di esperienze vive, un esercizio che diventi insieme autocritico, non concentrandosi soltanto sulla riproduzione isolata o per inerzia del proprio approccio di riferimento bensì interagendo tra individualità per mantenere uno sguardo proprio ed al contempo capace di ampio raggio su che cosa sta cambiando davvero :
  • * che significato si dava/si dà oggi alla libertà individuale?* come la si può reclamare ancora collettivamente?

    * in che verso riteniamo poterla ancora realizzare?

  • * dove sono/stanno andando a finire le forme di socialità e di espresssione condivisa?* e quando si è persa, per quali motivi?
  • * in che modo si è statx  “recuperatx” o meno, nei decenni, dalla normalità del ricatto punitivo e da banali messe a profitto?
  • * e per quali dinamiche “interne” si è invece portatx ad allontanarsi da obiettivi comuni e non di rado ad accontentarsi di una qualche autoalienazione o vittime di logiche delega – controllo?

Con Pablo potremo intanto ripescare aneddoti sulla “vecchia skuola” e più in generale ripercorere brevemente la storia dei misure di ordine pubblico di vario grado (ed interesse economico) che hanno cercato di inibire il movimento free tekno traveller già da tempo, e certo non solo in Italia, per poi provare ad interrogarci sui motivi per cui sono stati emanati; per riconoscere il legame tra questi e la criminalizzazione di altre lotte sociali; per capire come non disperdere energie in separazioni identitarie tra collettivi. Piuttosto, lo spunto che potremmo estrarre dal calderone che attraverso le rispettive esperienze si può configurare, è proprio tornare a riconoscere la complementarietà di istanze apparentemente distanti, di come all’emancipazione sociale e all’autogestione stessa occorrano più ingredienti, ed una sorta di armonia chimica nella loro redistribuzione, quindi con attenzione a non annullare a vicenda il proprio principio attivo, affinché possiamo non solo immaginare simbolicamente una unione spontanea tra soggetti, ma anche divenire capaci di concretizzarla senza lasciarsi confondere dalla propaganda istituzionale.

Per chi volesse approfondire sul perché Pablo, dal momento che il suo intervento avverrà purtropo in remoto, diamo due cenni. Da attraversatore di situazioni a propria volta e partecipe attivo ad iniziative dalla sua adolescenza, possiamo citare che in quanto DJ si è andato focalizzando in particolare sulla sperimentazione elettronica 8bit fino alla co-creazione nel 2008 dell’etichetta Rexistnz, ma anche tentando una riproposizione anti-mainstream della techno Detroit originaria. Come ricercatore storiografico ha poi contribuito alla fondazione dell’Archivio di documentazione controinformativa Primo Moroni connesso alla Libreria Calusca, ai tempi un importante punto di incontro per lo scambio e la memoria tra aree di movimento sociale senza tuttavia snaturarle come se si trattasse di vezzi intellettuali, ma mantenendosi nel solco delle pratiche di occupazione dei quartieri. In quel periodo la scena tekno si incrociava con il fermento più letterario della scena cyberpunk attraverso il sorgere di zine e riviste autoprodotte, ma anche riattualizzando tutto un filone che fece dell’antiproibizionismo in chiave creativa e psiconautica la sua principale bussola. Sul web si trova ancora un incontro in cui intervenne Hakim Bay, anti-teorico del concetto di Temporary Autonomous Zone, quell’isola piratata che non c’è, ma che che ogni squatter può in qualche modo ricrearsi e viversi, riappropriandosi di misure di spazio e tempo che non vengono riconosciute come legittime. Per Agenzia X, casa editrice indipendente anch’essa riconducibile all’ambiente milanese, Pablito stesso ha cercato di raccontare in qualche modo il l’attitudine libertaria alla contaminazione, spintasi al di là di vecchie ideologie dominanti.

Qui la sua bibliografia:

Chi ha ucciso la piazza, contributo in Re/Search – Milano- Mappa di una città a pezzi Aa Vv, Milano, Agenzia X, 2015

Edit, re-edit, remix, mash-up contributo in Frankenstein goes to holocaust R. Balli, Milano, Agenzia X, 2016

Once Were Ravers, Milano, Agenzia X, 2017

Rave in Italy, Milano, Agenzia X, 2018

La Scena Rave, contributo in Università della Strada Aa Vv, Milano, Agenzia X, 2018

Diversamente pusher, Milano, Agenzia X, 2019

Dalla Parte del Torto. Una storia hippie, punk e rave con Dome la Muerte, Milano, Agenzia X, 2020

Lo spettro della droga. Storia, cultura e politica delle sostanze, Milano, Agenzia X, 2021

Senza chiedere permesso. Flyer e immaginari del rave, Milano, Agenzia X, 2023

La macchinica allucinazione della techno, contributo in Musica Concreta (a cura di Stefano Ghittoni), Milano, Milieu Edizioni, 2024.  

 

NOTE:

Nell’immagine di locandina trovate alcune foto dello sgombero del Leoncavallo, nella sua prima fase dal 1975 al 1989.

La donna con la telecamera è Betty 23: dj tekno, squatter, maestra, videomaker,…

(nel collage la camera è puntata contro le forze dell’ordine, come presumibilmente nella foto d’archivio, che mostra a sua volta come Betty si trovasse in mezzo a una manifestazione: al tempo in cui I social non esistevano, l’autonarrazione avrebbe comunque potuto venire utilizzata per vantarsi in senso di appartenenza o presenza, in qualche modo. L’obiettivo di chi raccoglieva ed editava immagini non era però così condizionata da questioni personalistiche: si riprendevano scene di socialità nelle foto intime e con il consenso sul mostrarsi o meno (alcune video-interviste del Virus sono volutamente anonime), mentre quello che veniva pubblicato cercava di esprimere le ragioni delle situazioni di festa così come delle sollevazioni di piazza, e la brutalità della polizia connessa. In quegli anni nelle città con più fermanto erano diffuse una serie di radio e televisioni illegaliste, cioè non solo indipendenti ma sorte nel rifiuto di utilizzare strumenti comunicativi che non fossero autogestiti in ogni passaggio anche tecnico, compreso quello del montaggio fisico delle antenne emittenti. Tra le più recenti c’è Radio Spore, nata nel 2018 all’ XM24, Bologna..

A Milano, capodanno 2002, ci fu uno di per cui con il fior fiore delle tribe dell’epoca, Olstad, Desert Storm, Tomahawk, Hekate, Kernel Panik, etc. Di fronte a quella rappresentazione cibernetica, a quei muri di casse assommitati da schermi che trasmettevano disegni geometrici a ciclo continuo, la polizia non seppe far altro che chiedere cosa stesse succedendo. Questa la risposta di Betty, storica attivista di là: – Ma niente, un raduno di culture underground.. Ne avremo per qualche giorno -, e quelli: – Ci raccomandiamo di non lasciate vetro in giro. – e andarono via. Forse ancora nessuno pensava a perseguitare, a reprimere: perché nessuno si rendeva neanche conto di cosa stesse succedendo.” (da un ricordo di Vanni Santoni ripreso dal web)

Si potrebbe sottolineare però una costante: come ad una chiara presa di posizione dei circuiti autogestiti corrisponde più facilmente uno spiazzamento dell’ala giornalistica ufficiale, nonché di quella politico-repressiva. Se durante le prime fasi del movimento tekno non esistevano ancora categorie semantiche precise per indicare effettivamente cosa fosse un free-party, per cui i notiziari potevano nominare una festa come una “odissea rock” o un generico “insieme di suoni ed immagini”, oggi, nonostante il 633bis, troviamo che non siano stati fatti grandi passi avanti nella definizione dei “raduni” da criminalizzare.

Dal sito internet del Leoncavallo, Spazio Pubblico Autogestito

La storia del Leoncavallo inizia il 18 ottobre 1975 , quando un’area dismessa di 3600 mq, situata in via Leoncavallo 22 a Milano, viene occupata da un gruppo di militanti extraparlamentari provenienti da diverse esperienze interne al movimento rivoluzionario che caratterizzò il lungo ’68 italiano. L’occupazione si caratterizza immediatamente per la proposizione di temi che investono la società intera: la creazione di un asilo nido, una scuola materna, il doposcuola, la mensa popolare, il consultorio ginecologico, le attività culturali, sono gli obiettivi immediati che il neo comitato di occupazione si prefigge.

Le attività che iniziano a prodursi nei primi anni di vita permettono al Leoncavallo di radicarsi nella zona: nascono Radio Specchio Rosso, la Casa delle Donne e la Scuola Popolare.

Le istanze e le rivendicazioni che emergono abbracciano sempre più “la vita nel suo complesso”.

L‘omicidio di Fausto e Iaio. Il 18 marzo 1978, in un agguato fascista vengono uccisi, a colpi d’arma da fuoco, Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio” Iannucci, militanti del Leoncavallo e impegnati in una contro inchiesta sullo spaccio di eroina nel quartiere (visita www.faustoeiaio.info per approfondire). La reazione è imponente. Il giorno dei funerali le fabbriche scioperano, e centomila persone gremiscono piazza Duomo. Le madri di Fausto e Iaio e altre donne del centro sociale danno vita al gruppo “mamme del Leoncavallo”, impegnandosi nell’immediato alla lotta contro l’eroina. Sono anni difficili, l’attacco militare e giudiziario dello Stato contro il movimento è duro e produce i suoi frutti: carcere, eroina, clandestinità, esilio, falcidiano i corpi di un’intera generazione. Il Leo, come altri spazi sociali diventa anche luogo di rifugio. I racconti delle compagne e dei compagni di quel periodo parlano di un Leoncavallo in impasse, nonostante attività e iniziative continuassero a prodursi.

La pratica della occupazioni di aree dismesse continua a diffondersi : a Milano vengono liberati stabili in via Gorizia, c.so San Gottardo, via Scaldasole, v.le Bligny, via della Pergola, via Conchetta. Sono solo alcune realtà che si svilupperanno lungo il decennio della stura al liberismo. Margaret Thatcher è già al governo nel Regno Unito (maggio 1979).

Dalla periferia al centro città: 1978 – 1982, arrivano i punk ! Nei primi anni ’80, a Milano, come in altre città italiane, esistevano varie situazioni di aggregazione politica e sociale molto forti e produttive, che avevano elaborato un loro nuovo e proprio linguaggio, ed erano scaturite da ambiti punk, anarchici e più in generale da entità che non si erano lasciate sopraffare dalla “crisi del movimento” degli anni ’70, ma avevano parecchie cose da esprimere ed avevano così dato forma a progettualità molto ricche. Nuove occupazioni di spazi, intese come ambiti di espressione di socialità, erano nate in diverse città, veniva messa in atto la pratica del produrre da se’ stessi, al di fuori delle regole commerciali e del sistema ufficiale; tutto quanto permetteva di mettere in circolazione idee, percorsi ed azioni – autoproduzione. A Milano la realtà più rappresentativa era il Virus, che aveva sede all’interno di un’altra occupazione storica, quella di via Correggio 18, che era un punto di aggregazione e di scambi veramente importante nel tessuto antagonista legato al punk, non inteso solo come scena musicale, ma come attitudine di rottura nei confronti della cultura occidentale dominante.. L’occupazione del teatro Miele (vuoto da anni e subito sgomberato) fu il primo tentativo da parte di quello che diventò il nucleo dell’Helter Skelter, di costruire una realtà di aggregazione riportata poi nel Virus.

Il 15 maggio 1984 il Virus viene sgomberato. Parte dei suoi occupanti trova nel Leoncavallo un luogo dove continuare l’esperienza. Dopo qualche mese, all’interno del Leo, nasce Helter Skelter: il portato di pratiche e iniziative culturali che si producono e sedimentano, contribuiranno a trasformare non solo il centro sociale, ma soprattutto le singolarità e le soggettività interne. Il linguaggio adottato, come la provocazione e altre forme sperimentali “non ortodosse”, creava una difficoltà di verifica delle eventuali affinità di percorso politico. Le persone che costituirono l’Helter Skelter avevano però vissuto sulla pelle l’essere “antagonisti” a Milano.

Vi fu la contestazione al convegno sulle bande giovanili al teatro di Porta Romana e furono organizzate diverse uscite cittadine, per esprimere direttamente ciò che era la nostra pratica politica e per rivendicare una nostra esigenza di spazi e di comunicazione. Riviste autoprodotte e gruppi multimediali erano entrati in contatto tra loro. La redazione di “Fame” chiese l’agibilità di una stanza come sede della fanzine. A testimoniare l’apporto culturale all’interno del centro, nell’estate dell’84, si tenne al Leoncavallo la riunione di “Punkaminazione” , che era una zine di collegamento nazionale di varie realtà di contrasto: l’evento rappresentava un momento culmine.

Il movimento studentesco del 1985.

La comunità che abita il Leoncavallo è sempre più eterogenea: “vecchi” militanti che si richiamano alle diverse esperienza del ciclo di lotte precedenti, nuove soggettività che trovano nelle cosiddette “controculture giovanili” una strada, e infine i collettivi autonomi, che dalla vicina casa occupata di via dei Transiti, proprio in quel periodo, iniziano ad arrivare. La contaminazione produce pratiche politiche e culturali innovative, la contaminazione produce cooperazione. All’interno del Leoncavallo, oltre alle attività già esistenti nascono corsi di fotografia, collettivi musicali e teatrali, laboratori di pittura, un’officina, una palestra, la sala-video, e il centro di documentazione. Sono anche gli anni della battaglia contro il nucleare (il referendum si svolse l’8 novembre 1987). La lotta alla repressione continuava

P.S. Se ti trovi personalmente in difficoltà con il nuovo decreto anti-rave, invitiamo a contattare il nodo Smash Repression della tua zona o con cui ti trovi più affine, o a scrivere alle caselle email smashrepression@proton.me + 633bis@anche.no

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