Primi appunti per l’autodifesa legale (2024-25; parte 1)

 

…ALCUNE CHIAVI DI LETTURA

DELLA REALTÀ CHE CI CIRCONDA…

Quando ci si approccia alla cosiddetta Giustizia, o meglio la sua deformazione istituzionale, l’attenzione generale viene di solito a concentrarsi sulle conseguenze previste per una tale o tal’altra azione incriminabile…

Legittimo preoccuparsi, eppure si verifica attraverso questa riduzione la funzione ulteriormente preventiva della Legge, quella che gioca sulla paura della punibilità per ripristinare, ancor prima di qualsivoglia applicazione di condanna, l’ossequio alle autorità.

Questa funzione è quella meno visibile perché non trattiene direttamente le persone in carcere; ne sceglie però qualcuna tra le più scomode, esposte a quel genere di protocolli senza remora di buttare via la chiave all’occorrenza, o che ad ogni modo si esercita sommariamente estorcendo denaro attraverso estenuanti appelli processuali, nonché sempre con il risultato di far passare la voglia di fare analisi di determinate condizioni strutturali, operando mediaticamente per distogliere l’attenzione pubblica da quegli elementi che proprio l’agire o anche il semplice esistere di una categoria sociale finirebbero per mettere in evidenza.

Le politiche riformiste stesse si coprono dietro un manto di giustificazioni liberali rieducative le quali, anziché andare a cercare la radice sociale di problemi riscontrati in grandi percentuali, li cristallizza nell’alveo psicologico-comportamentale separando così fattori di diffusione della criminalità dalla Storia ufficiale. Governo dopo Governo, insieme ad un principio di esclusione razziale e borghese dei soggetti che già vivono, per via delle Leggi di confine per esempio, condizioni di marginalità fino all’intersecarsi con quella che viene trattata con l’epiteto psichiatrico di devianza sociale, vengono inseriti via via nel calderone repressivo i molti piani di lotta politica e attivismo che ottengono eco e colpiscono punti nevralgici della ristrutturazione energetica, degli appalti pubblici sempre più privatizzati, della sorveglianza tecnologica, e della pianificazione urbanistica in genere.

I vari accorpamenti tra gli impianti accusatori che segnano il susseguirsi dei movimenti organizzati dal basso e le espressioni della rabbia, soprattutto giovanile e/o sottoproletaria, ci appaiono certo per lo più grotteschi da tanto si dimostrano eccessivi, ma proprio per questo inequivocabilmente abusanti.  La riformulazione che punta ad attribuire loro attributi di pericolosità per l’ordine democratico, riverberata dalla carta straccia dei quotidiani locali per evocare nei cittadini perbene la falsa necessità della delazione e dell’aggiungere misure para-poliziesche come le ronde tanto quanto fasi di reclutamento massiccio nelle fdo, vertono su strategie per precise. È proprio attraverso questa aleatoreitá interpretativa che i legislatori, nella scelta precisa di una carenza analitica proprio laddove il piano giuridico pretenderebbe di fornire una rappresentazione della realtà degli estremismi non allineati, che negli ultimi anni stanno venendo impressi nell’opinione pubblica e sulla pelle dex prigionierx una sorta di teatrino, da un lato… e di tortura, dall’altro.

I vagheggiamenti sulle forme conflittuali coniati a inizio secolo sotto il Regime fascista sono tuttora tali da sfociare ad assimilarle ora al terrorismo contro la personalità dello Stato, ora alla stessa mafia organizzata.

La direttiva che emerge non è quindi affatto quella di un sincero democratico reintegro relazionale degli individui, e tantomeno concede aperture ad una minima risoluzione di ben salde ingiustizie sociali, andando a confermarci, qualora vi fossero ancora dubbi, il campo del potere leviatanico, e ad aumentarlo addirittura, completando nel nuovo millennio la sintesi secolare di una serie di istituzioni totalizzanti.

Si continua infatti nondimeno ad associare antichi concetti religiosi di colpa a diagnosi su presunte disfunzionalità mentali che ancora non si sono liberate degli strascichi di dettami lombrosiani, fino alle ipocrisie del 41bis (quando lo Stato si conserva precisamente tramite rapporti mafiosi) e la puntuale rivisitazione del profilo del “nemico pubblico” ogniqualvolta si volesse dare una bel colpo di spada alle spinte emancipatorie che non si lasciano recuperare dalle agende politiche che offrono invece protezione a chi detiene interi monopoli.

Più che quello di un sincero reintegro relazionale ed avviamento lavorativo in questa ben poco onesta Repubblica (che può dirsi fondata sul lavoro solo se si riferisce a quello sfruttato e mal pagato), il risultato della funzione rieducativa dei penitenziari sui soggetti indicizzati che si presumerebbe di ricondurre ai valori democratici, è stato, tuttora nel 2024, in media di un suicidio ogni 4 giorni compiutosi tra detenutx nelle carceri italiane.

Pur di affermare l’inaccettabilità della tendenza alla trasgressione come se fosse una questione di alcuni soggetti inadeguati – da richiamare, esorcizzare, espellere, torturare in isolamento -, anziché semmai l’esito di molteplici fattori culturali e di privilegio sociale, la civiltà del progresso consente quindi che essi provino un senso di angoscia tale da arrivare ad eliminarsi fisicamente qualora non si riesca ad annichilire i loro istinti con una somministrazione extra di psicofarmaci. Certo i suicidi riusciti o tentati e varie altre forme di autolesionismo, la quotidianità soprattutto nei CPR, come di proteste interne e scioperi della fame che non raggiungono mai i notiziari, non rimandano esattamente ad un senso di “recupero” dell’individuo, e rendono anzi nota del distacco emotivo di cui sono capaci gli operatori e le guardie, così come i dirigenti degli istituti e gli incaricati ministeriali connessi non si assumono le responsabilità delle loro decisioni amministrative.

***

“IL CASO COSPITO”, OVVERO: NON UN CASO..!

Pensiamo per esempio ad Alfredo, a come dalla Cartabia fino a Nordio non vi sia stata remora alcuna ed anzi era chiaro il piano di annichilimento che intendeva colpire sostanzialmente la diffusione di stampa insurrezionalista, ed ai rigetti vari di valutazione dei domiciliari emessi dalla procura di Milano (pg Francesca Nanni) e dal Tribunale di Sorveglianza a Sassari (pm Giovanna Di Rosa) con le loro schiere di assistenti in carriera e su consultazione dei medici di Opera che hanno per altro alimentato forzatamente il compagno anarchico, la cui scelta non avrebbe ammesso tentennamenti. La realtà dei fatti è che la Magistratura di Sorveglianza raramente accondiscende al ricongiungimento famigliare.. non si è trattato solo di un caso particolare. Quello che con Alfredo ha fatto la differenza è stata la sua richiesta indiscriminata, che non riguardava solo se stesso, e di qui un ancor più grave mancanza di coraggio dell’apparato statale nel riconoscere il posizionamento di un uomo come interlocutore attivo e avveduto rispetto ad ingiustizie strutturali, quindi deciso ad avviare una contrattazione contro i regimi speciali e i metodi annessi che infliggono tortura (posizionamento che spesso nella storia del carcere moderno è valso ad ottenere alcune migliorie: non si trattava insomma dei delirii di un nichilista esaltato, ma della lucida consapevolezza e irriducibilità ideologica che contraddistingue quest’area di orientamento conflittuale). Il fatto che non gli sia stata concessa questa interlocuzione non fa che confermare le nostre teorie a riguardo della prospettiva detentiva. Interessasse davvero un recupero dei soggetti, le inchieste ufficiali avrebbero preso ben altro indirizzo che quello banalmente autoritario. La reazione dello Stato persino tramite il ruolo dell’équipe medica è stata tutta improntata al depotenziare anzi quelle ragioni, al punto che possiamo senza esagerazione alcuna definire il protocollo del tenere le funzioni vitali di Alfredo ai minimi termini non un approccio di cura verso il soggetto recluso, affatto, bensì una ulteriore privazione: una totale ipocrisia rispetto a quelle che erano le intenzioni dichiarate dello stesso, delegittimato così persino di quell’ultimo stralcio di identità che attraverso il suo corpo stava cercando di manifestare e confermando una condanna di oltre due decenni in Alta Sicurezza, mirata fin dal primo momento a rendergli specificatamente impossibile la comunicazione e la diffusione del suo portato internazionalista controverso, e quindi persino di tenere un carteggio con compagnx non certo per riporlo in un cassetto ma perché ne facciano tesoro ed eco diffusa.

« Per il resto che dire….nulla è cambiato: le foto dei miei genitori sequestrate un anno fa qui a Sassari e restituite col timbro della censura al mio arrivo ad Opera, di nuovo trattenute al mio arrivo a Sassari.

Niente musica: la mia richiesta di comprare un lettore cd rigettata dalla direzione del carcere. A quanto pare libri e musica continuano ad essere visti dal DAP come qualcosa di sovversivo ed in fondo non hanno tutti i torti.

Da quando sono al 41 bis non tocco un filo d’erba, un albero, un fiore. Solo cemento, sbarre e tv. Negli ultimi mesi, con grande fatica, sono riuscito a comprare un solo libro, e solo perché di me parlavano i media.

I colloqui una sola volta al mese col vetro e con la voce metallica dei citofoni. Le mie sorelle e mio fratello, che sono gli unici che possono venire a trovarmi, vengono al loro arrivo incerottati sui tatuaggi e sugli orecchini, perché potrebbero comunicare messaggi criptici attraverso i disegni tatuati.

Comunque queste mie rimostranze diventano ridicole dopo quello che ho visto al centro clinico di Opera.

Ho visto con i miei occhi lo stato che si pretende etico applicare la legge della ritorsione su vecchi e malati, inermi e semi infermi di mente. La mia richiesta ingenua di libri, musica, periodici anarchici, scientifici, storici e di un prato dove correre e di qualche albero diventa risibile quasi stucchevole. Me ne rendo conto.

Abolire il 41 bis

Grazie compagni e compagne

Sempre per l’anarchia »

(dichiarazione di Alfredo Cospito del 19 giugno 2023 )

Perché citare un esempio che sembra già così lontano per i riferimenti ideologici comunemente dibattuti (o meglio resi marginali) proprio perché lo si associa ad un filone politico considerato controproducente, cioé che proprio non disdegnando l’azione armata e l’attacco alle strutture del potere sembra essere stato completamente vinto?

Perché da quell’impossibilità che Alfredo ha ricevuto come responso di uno sciopero della fame durato sei lunghi mesi, ne usciamo tuttx meno liberx.. e non soltanto chi si trova tuttora in 41bis (per altro senza davvero una logica che non sia quella di una strategia governativa che si è trovata in competizione in affari con le mafie fino a che non è riuscita a trovare le maniere di inglobarle e conviverci).

Ne usciamo meno liberx e per di più ulteriormente attaccatx, tant’è che ci si ripropone a distanza di un anno, nell’alveo dei Decreti Sicurezza, un punto appositamente dedicato al ripristino di matrice fascista della punibilità della stampa sovversiva, cioè potenzialmente qualsiasi pubblicazione di contestazione alle misure statali. Si riapre di conseguenza lo spettro di una censura non riferita a particolari gruppi, quindi nemmeno ristretta ad una comprovabile correlazione tra la stampa e le azioni di propaganda di questi, ma lasciando arbitrariamente indefinito il campo di ciò che può venir reso tacciabile di sovversione, ben oltre un principio di autodeterminazione delle lotte. Forse è questa la volta buona che ci si opporrà in modo congiunto? O lasceremo che nuovamente vincano i distinguo che colpevolizzano gli estremismi, che mettono al bando chi non si accontenta di proteste pacifiche, che si apprestano a condividere lo sdegno nei confronti di chi disturba la pace ed il benessere borghesi, acconsentendo cioè che l’approccio repressivo venga confuso con una misura di tutela pubblica e finisca applicato nel nostro stesso modo di riflettere e muoversi, alimentando ulteriormente la caccia alle streghe, tutto ciò mentre le industrie belliche continuano la propria produzione, gli ecomostri a distruggere territori ed ecosistemi, le riforme contrattuali a lasciarci economicamente esangui, le strutture punitive ad eliminare le prove e gli effetti del malcontento, ..?

Quale posizione stiamo scegliendo, o meglio, accettando di non poter scegliere?

“L’articolo 72 del codice penale prevede che ai pluriergastolani si aggiunga la pena dell’isolamento diurno che può arrivare fino a tre anni. Un’eternità capace di devastare la psiche di chiunque. (…) l’isolamento fa male, l’isolamento porta al disadattamento, allo squilibrio, alla follia. Ma viaggiando per le carceri italiane si incontrano tanti detenuti isolati. (…) Solitudini su solitudini, gli internati sono gli esclusi degli esclusi. Ne sono consapevoli gli operatori, i poliziotti penitenziari, che si adoperano in tutti i modi per inventare una speranza in quelle vite ufficialmente dimenticate dal sistema. Non c’è alcuna delinquenza abituale in loro. Nessuna tendenza. Parole dal senso vago che finiscono per non significare nulla. (…) Nella colonia agricola di Isili, così come nella casa di lavoro di Vasto e in tutte le altre sezioni analoghe in giro per l’Italia, sono rinchiuse persone che non si sa dove collocare. Così viene prorogata loro, dai giudici di sorveglianza, la permanenza in carcere, sostenendo che sono ancora pericolosi. In realtà sono soltanto soli, senza nessuno che li accoglie fuori. Non vi sono servizi territoriali per farsene carico, non vi sono famiglie. Tutti gli internati sono di fatto portatori di una qualche patologia psichiatrica. Ma il ragazzo che ha rubato dieci volte di seguito una scatoletta di tonno dal supermercato diventa facilmente, nell’interpretazione del magistrato, un delinquente abituale. Se poi ha cercato di scambiarla per un pacchetto di sigarette è un delinquente professionale.”

(dal Ventesimo rapporto sulle condizioni di detenzione dell’Associazione Antigone, 2023, Viaggio nelle colonie penali della Sardegna)

Per noi, ciò che viene liquidato frettolosamente come “suicidio in carcere” rimane un omicidio di Stato già nelle premesse per cui questo si è arrogato la custodia di un individuo. Non si parla solo di soggetti antagonisti, considerati spine nel fianco. I metodi di annichilimento sembrano anzi essere tanto più efficaci politicamente quanto più si ripercuotono in maniera ben più silenziosa su persone già emotivamente fragili, o che proprio la reclusione subita ha reso fragile. S’intende che a lasciar morire unx figlix di nessunx fanno prima, anziché prendersela con chi comunque è sostenutx da reti solidali all’esterno. Questo è da tener presente di fronte all’equazione comune per cui chi si ribella ci rimetterebbe soltanto… Dipende da quali passaggi storici stiamo vivendo ancor più che dalle singole responsabilità. Dire “se l’è cercata” denota non aver colto che la morsa si sta stringendo sempre di più sulla scia di un piano NATO che ha investito i fondi europei sull’addestramento alla sorveglianza di tipo militare e che si sta pian piano attualizzando tra le varie colonie americane del perimetro Shengen. Nel frattempo, oltre alle morti violente accertate avvenute in condizioni contenitive o di migrazione che continuano a sommarsi, si consumano dentro e fuori le sbarre decine di migliaia di morti lente ed ormai interiorizzate.

Non sembra esserci uscita dalle dinamiche che le mansioni repressive determinano.

Queste continueranno a ricadere sulla società stessa proprio mentre essa si illude di venir tutelata da episodi di sopraffazione. L’astrazione giudiziaria e penalista, fingendo di estirpare la causa dei problemi eliminando dallo sguardo chi ne rappresenta la manifestazione più tangibile, o certo più scomoda, non fa altro che deresponsabilizzare una comunità di riferimento nel suo complesso, garantendo in primo luogo l’impunità dei suoi amministratori, vanificando le analisi e l’impegno politico che invece tentano una faticosa decostruzione di quelle cause, e dall’interno, consapevolx che quei problemi continueranno a sorgere al di là della loro associazione scandalistica che riduce un reo con singole azioni considerate reato. Ogni altra esperienza di giustizia viene cancellata o resa dipendente da questo retaggio delle monarchie assolutiste in cui oltre all’esemplarità della punizione di fronte agli occhi del popolo si consumava un principio di vendetta contro chi avesse intralciato e sfidato la giurisdizione territoriale e le credenze intorno alle quali un potere si conserva… Persino la complicità del personale medico ed a supporto psicologico nei confronti di metodi spersonalizzanti e assimilabili alla tortura è tale da rispecchiare un soffocamento della sensibilità degli individui, la quale si lascia esercitare dapprima sul personale stesso, tramite obbedienza alle morali imposte da certe gerarchie professionali che si ricopre. La fedeltà obbediente e per lo più omertosa caratteristica di certi ambiti (mentre il segreto professionale dovrebbe avere a cuore la privacy del soggetto più che la propria carriera, non si confondano questi due piani…) è parte integrante meccanismi repressivi, e non fa che produrre nuove forme di alienazione, in questo caso sfociando non di rado in una dimensione etico-politica che si rende complice di maltrattamenti ed omissioni di soccorso.

***

L’ISOLAMENTO NELL’ISOLAMENTO

COME MASCHERA DELLE INGIUSTIZIE DEL POTERE

 <<Purtroppo, nella condizione in cui devo vivere, i capricci nascono da soli: è incredibile come gli uomini costretti da forze esterne a vivere in modi eccezionali a artificiali sviluppino con particolare alacrità tutti i lati negativi del loro carattere.>>

(Antonio Gramsci in Lettere dal Carcere)

L’approccio vincente sarà per essa quello dell’impossibilità di autoregolarsi, della sfiducia anche interna verso l’iniziativa autonoma, della delazione e del sospetto così come di corrispondente caduta nel menefreghismo generale e nella presunzione di non dover perseguire altro che il proprio interesse, qualora si potesse invece fare davvero qualcosa di utile e ben intenzionato nonostante non si sia investitx dell’autorevolezza per farlo sottoponendosi alle logiche della burocrazia amministrativa.

Se l’obiettivo sotteso dell’istituzione penale non fosse proprio questo insieme di conseguenze, invece che considerarle come un vago e non prescritto effetto collaterale, potrebbe quasi venire a mancare il senso dell’impostazione funzionalista del carcere, e

si dovrebbero riconoscere piuttosto le ragioni delle spinte per una abolizione dello stesso, com’è stato in precedenza per manicomi ed ospedali psichiatrici giudiziari.

Ma si può ben osservare invece come l’indirizzo penitenziario serva, in primo luogo, ad ottenere effetto “a deterrente” sul resto della popolazione (e insieme di copertura di nefandezze di ben più vasta entità senza che chi commissiona ed esegue tutta la vasta gamma di procedimenti punitivi rischino di finire con l’essere ritenuti inadeguati ad un ordinamento democratico).

Quello che consegue quindi da determinate norme, ma nondimeno nel loro insieme, è dunque, si dicava, non soltanto la repressione del singolo che commette qualcosa che possa venir assimilato ufficialmente ad un crimine, bensì la società nel suo complesso che si lascia dirigere nei comportamenti e nelle abitudini, persino quelle dimostrabilmente inoffensive o

che addirittura si sono rilevate fondamentali per i movimenti emancipativi che hanno attraversato i secoli.

Durante la persecuzione di chi lottava contro le oppressioni sono stati affinati metodi di confinamento che ritroviamo ancora oggi.

In particolare, la Sardegna sta diventando una colonia non solo militarizzata e depredata per progetti energivori, ma anche una distesa di case circondariali e tra le più severe. Numerosi sono gli aggiornamenti sul piano carceri e sulle proteste interne dai capoluoghi sardi, oltre a campagne di lotta come “Nishunu Est Solu”, la cassa anti-repressione sarda Teste Dure, tra le altre, che non dimenticano i processi storicamente affermatisi ma proprio per questo cede il passo, anzi si propone di non abbandonare le persone detenute. Le due trascrizioni seguenti sono riprese proprio da uno degli ultimi numeri pubblicati di Maistrali (al momento il sito è offline), una zine aperiodica di critica ai progetti speculativi che riguardano la Sardegna.

 

“… Il carcere di Tempio Pausania inaugurato nel 2012 ha sostituito il precedente “la Rotonda” per essere utilizzato per detenuti in regime di Alta Sorveglianza di livello 3 e nonostante le solite vocazioni rieducative langue del reale intento punitivo e vendicativo che hanno le galere. Già durante il periodo Covid le restrizioni pandemiche hanno creato non pochi disagi ai prigionieri che si trovano in gran parte a centinaia di Km lontani dalle loro famiglie e dagli affetti, dimostrando come la Sardegna si riveli ancora una terra di confino, un’isola comodissima per le velleità punitive dello Stato.

Le strutture costruite negli ultimi dieci anni hanno ampliato ed in parte sostituito il numero delle carceri. Solo nell’isola sarebbero circa 11 in totale, ed hanno allontanato gli istituti dai centri abitati isolando maggiormente i prigionieri togliendo loro anche quelle poche occasioni di contatto con l’esterno. Isolamento nell’isolamento, a maggior ragione se lo Stato può contare su un’isola da usare come una discarica per i “cattivi”; non ultimo, il trasferimento del compagno anarchico Cospito, trasferito recentemente al carcere di Bancali.

Il carcere è andato di pari passo con il Capitalismo, trasformando le vittime di una società di sfruttati in nemici da rinchiudere, consentendo in alcuni stati occidentali addirittura la privatizzazione delle galere per trarre profitto dalla prigionia e creare forza lavoro a costo quasi azzerato.  L’opposizione al carcere resta quindi una necessità per incrinare un pilastro di questo sistema, soprattutto in momenti in cui il disagio sociale aumenta per i giochi dei potenti. Ben vengano, quindi le rivolte, anche le più piccole e ricordiamoci che i “futili motivi” non esistono in luoghi in cui ogni piccolo diritto è stato conquistato negli anni, dai prigionieri, con lotte, sangue e anni di galera”

Come futile, semmai, dovrebbe essere percepito il falso moralismo della buona condotta…

“Il potere centralizzato – come le sue metropoli – è guidato dall’asocialità non può perciò criticare realmente l’asociale non autorizzato, dichiarato delinquente. Semmai lo crea, per usarlo in un tragico gioco di maschere.”

[da Il falso e l’osceno, A.M. Bonanno]

“L’abolizionista sarà perciò anzitutto un anti-settario, un amico della verità perché il suo primo compito è quello di far cadere il gioco delle maschere, ridare valore alla realtà smontando le rappresentazioni dietro alle quali si nascondono gli autoritari i quali proiettano le loro insicurezze e ambiguità sui capri espiatori ; i delinquenti non-autorizzati stabiliti dal sistema penale.

Sentirsi completamente diversi dal delinquente è infatti comodo, fino al punto di poter essere ancora più delinquenti di lui.

Spesso lo si inventa del tutto: molti giovani puniti per uno spinello esprimono magari con quell’atto e i riti che lo circondano un bisogno di socialità che non sanno come realizzare altrimenti, ma comunque più elevato di quello presente in chi li condanna.

Inoltre, le masse addestrate a colpevolizzare i capri espiatori oggi minacciano i loro stessi improvvidi maestri della classe dirigente. Non basta più loro avere in pasto i delinquenti indicati dal sistema penale. In Belgio c’è già qualcuno che stabilisce l’equazione classe dirigente =pedofilia; da lì nella testa di qualcuno ogni omosessuale viene confuso con un pedofilo aggressivo e si diffonde l’uso della denuncia anonima contro il vicino «strano»..

Essendo la colpevolizzazione un processo di semplificazione interpretativa, si estende con facilità. Il sistema penale alimenta sè stesso cooptando masse per favorire una nuova fase del potere centralizzato. Non è un disegno, è una prosecuzione della propria logica per forza d’inerzia, il risultato di una autodifesa ai limiti dell’inconscio,

in una fase storica nella quale il potere centralizzato va in pezzi.

Il proseguire come ieri in un contesto che non è più lo stesso aumenta all’inverosimile la ricerca dei capri espiatori, rischia di dar corpo ai fantasmi fino al rovesciamento completo della realtà, in un meccanismo fatalmente cannibalesco.

Un giudice francese diceva recentemente, tra l’analisi e l’auspicio, chel’800 fu il secolo del legislatore, il ’900 dell’esecutivo, il 2000 sarà forse il secolo dei giudici… si paventa il rischio di una «repubblica giudiziaria».

Per superare questa tragica trappola mentale l’abolizionista dovrà perciò essere una persona capace di confrontarsi con il prossimo non in base alle sole idee dichiarate, ma in base a ciò che ognuno fa : opera su se stesso, quindi, prima ancora che sugli altri.

Linguaggi diversi possono nascondere esperienze vicine, linguaggi simili possono mascherare esperienze lontane fra loro.

Visto così il mondo ti si rivela in modo spesso originale.  Tanti che credevi vicini ti sono lontani, altri che credevi lontani ti sono vicini.

Non si possono più usare facilmente le ideologie, le parole come maschere che rinnovano un inganno, il quale a sua volta rinnova la sofferenza e l’ingiustizia.

Perciò la soggettività del recluso è quel campo che il sistema penale deve ignorare e far ignorare a priori, organizzandosi come un mercante fuori luogo che pensa di misurare, di poter rendere quantificabile la soggettività umana. Ma proprio questa consapevolezza è quel che può imparare per esempio ogni persona che finisca in galera. Atrocemente. Alcuni rimangono distrutti dalla disillusione. Altri, superando quell’inevitabile prima fase, sono meravigliati dalla sorpresa, sorpresa che può diventare una strada per una nuova percezione della realtà e perciò una preziosa resistenza alle sofferenze.”

[ “Dei dolori e delle pene”, V.Guagliardo ]

***

Ecco che, oltre ad informarsi su cosa vorrebbe imporre ogni articolo di Legge, sarebbe il caso interrogarsi “sul perché” … ed in particolare, su chi o cosa si voglia colpire ed al contempo ottenere quindi in che tipo di quadro governativo si inserisce quella specifica recrudescenza. Cosa davvero vi si sia dietro la sua affermazione forzosa, al di là di qualche dato pretestuoso, e se sia davvero qualcosa di inevitabile in essa, o che piuttosto occorre contrastare, e quanto questo sia necessario.

Soprattutto, si osservi come lo stesso stralcio in giuridichese permetta, a cominciare dalle forze dell’ordine in cui ci imbattiamo nelle strade, di ampliare, nei fatti, la propria arbitrarietà.

Sarebbe semmai allora da capire come non concedere tutto ciò, ossia cosa esse non possono negarci, distorcere e strumentalizzare che riguardano invece le nostre esperienze individuali, anche profondamente intime.

Quindi, come metterle a confronto per ragionare sul nostro presente senza concluderlo in una limitazione del nostro agire? Quali strategie possiamo sperimentare contro quello stesso piano preventivo di livellare le prossime generazioni all’impossibilità di rendersi autonome?

Ci preme quindi raccogliere intanto alcune casistiche in cui ci si può ritrovare persino nel momento dello svago, spesso considerato distinto da quello di una lotta, perché possiamo poi arrivare a ragionarne insieme in momenti dedicati.

 

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