Primi appunti per l’autodifesa legale (2024-2025; parte 4)

Antiproibizionismo reale, contro le criminalizzazioni

Senza che vi sia una corrispondente disponibilità alla solidarietà, tremendamente necessaria in questi casi perché le istanze libertarie non soccombano definitivamente (il fallimento delle lotte si gioca proprio su questo elemento, non sulla quantità o durezza di colpi repressivi inflitti) non si va molto avanti.

Non è bastato tentare di spezzare i lagami ai paesi di matrice capitalista, perché le lotte continuavano… ed anzi, persino per recuperarle e distorcerle, i codici di Legge che proteggono lo Stato e la sottrazione di risorse alla popolazione per redistribuirle in maniera iniqua hanno dovuto concedere quei diritti umani che spesso hanno costituito la carota avanti il bastone, ma che tuttavia – conoscendone la storia – ritroviamo essere una conquista di sollevazioni popolari, non certo un regalo di magnati detentori di monopoli.

Quando questa memoria si perde, quando sfugge come certe passaggi risolutivi siano stati premessa per un condizionamento ulteriore, quindi un’estensione della gabbia, e viceversa non si riconosce che certi martiri (per quanto affatto auspicabili) non sono stati invano proprio perché le collettività erano ormai pronte a non indietreggiare, a combattere la paura stessa. Paura che è lo strumento principale di ogni premessa e conservazione dittatoriale, a meno di non accettare di esserne invece complici. La resa avviene attraverso un’opera di recupero di queste stesse istanze confondendole con le promesse liberaldemocratiche dei paesi occidentali, d’autoimprenditorialità anziché una spinta emancipativa che riguarda tuttx, sia chi abbia la disponibilità economica di comprare e gestire un Sound System, sia l’ultimx arrivatx scappatx di casa, da lavoro, o dalle istituzioni e che magari ha avrebbe la sua da aggiungere senza doversi sentire inadeguatx solo perché si pensa che gli anni d’oro siano finiti.

Questo atteggiamento talvolta nonnista, altre volte nostalgico, o comprensibilmente toccato dai peggioramenti che i vincoli penali e nondimeno, quelli amministrativi, cambia le singole vite proprio sfruttando il beneplacito dell’opinione comune attraverso la propaganda reazionaria.

Prima che ci si dia per vintx e che si disperdano del tutto le energie vogliamo provare a fare il punto non solo di come vengono ritoccate le norme per facilitare la discrezionalità con cui si possa subire denunce e processi, ma capire in che modi esse mirino a salvaguardare non tanto l’ordine pubblico, ma una serie di elementi su cui il potere statale e quello industriale si basano.

A partire da un concetto di proprietà privata fine a sé stesso, palesemente grottesco in tutti quei casi di aree in disuso ed immobili lasciati all’abbandono, carcasse che mostrano i fallimenti di vecchie stagioni di investimenti, fino a quello ad una indicizzazione delle sostanze stupefacenti, tesa a eliminare proprio quei circuiti di aggregazione che nonostante tutto si mantengono lucidi nella lettura della realtà, la cui offerta “stupefacente” ha un richiamo ben diverso da quello del riempimento della noia, cercando di mantenere al loro interno un’ottica il più possibile critica dell’assuefazione commerciale.

Per quanto in larga parte si ceda inesorabilmente ad alcuni tipi di monopolio che vengono immessi nel mercato comune, non di rado proprio da funzionari statali (il che è certo più una questione di prassi privilegiata, non di casi isolati di corruzione), negli anni i circuiti in qualche modo alternativi e indipendenti hanno permesso di sviluppare pratiche di autogestione che permettono di evolversi di fronte alle problematiche che riscontriamo.

Pratiche altrimenti inimmaginabili nell’ambito del divertimento per profitto, come neppure in quello dei servizi sociali.

E questa differenza qualitativa si conferma ogniqualvolta si riesca a prendere lo spazio per poter affrontare le tematiche ci ci riguardano. Essa, infatti, si sviluppa primariamente tramite partecipazione attiva, e non invece nella contrapposizione tra una buona equipe organizzativa a cui fa da contraltare una sorta di pubblico pagante eppure proprio per questo, per abitudine, al contempo passivo, che si presta cioè a svuotarsi della propria individualità e quindi si adagia ad un format, non è stimolato a portare il proprio contributo a seconda di ciò che viviamo e possiamo condividere…

Anziché ricorrere alla delega ed approcci delatori, di conseguenza all’intervento di Servizi che applicano standard, innanzitutto, e proprio perché sottostanno a quel concetto impregnato di positivismo liberale ed umanamente vuoto di “ordine pubblico”, bisogna stare lontani da questi processi che non tengono in considerazione il vissuto delle persone, bensì segnalano la percentuale di devianza in una scala di adattabilità normativa imposta.

Si alimentano così forme di autocolpevolizzazione e fallimento o di fredde diagnosi di matrice scientista, da un lato, quanto di stigmatizzazione ed esclusione sociale, dall’altro.

Quando invece negli anni, anche certe abitudini “chimiche” hanno finito per togliere concreta forza a molte lotte, abbiamo sperimentato sulla nostra pelle e sulle nostre relazioni che non sono affatto i maggiori controlli né intere stagioni proibizioniste a non far “degenerare” le situazioni.

La gestione dell’ordine pubblico non è che il pretesto perbenista e totalmente speculativo attraverso il quale le gerarchie governative sottraggono alle comunità le capacità decisionali, di organizzazione e di eventuali interventi che siano ragionati e confrontati localmente dax direttx interessatx.

Storicamente colpisce chi protegge i propri territori o chi si è pres@ da sé ciò che il benessere sembrava promettere, proprio mentre ce lo toglieva alle fondamenta.

Indicizzare in maniera punitiva il mondo dei free party è in questo senso una delle tappe finali di due secoli di “pulizia” che è stata in primo luogo etnica, per poi divenire classista, usando all’occorrenza la morale proibizionista come corollario.

Non a caso  possiamo trovare più connessioni con la repressione delle occupazioni che con la regolamentazione dei locali da pubblico spettacolo, ma ciò non significa che questi non possono venirne indirettamente colpiti, anche se ora pare che le aspettative si siano riversate (anche) nelle prime… Già le modifiche peggiorative al Codice della Strada lasciando intendere che il piano è ben più economico e di rivisitazione dell’indiscutibilità delle autorità anziché morale, e ricade sui movimenti giovanili primariamente per la difficoltà che questi hanno a sostenere una qualche autodifesa, divenendo ancora più ricattabili su ogni aspetto della propria vita. Come nel vasto ambito dei Decreti Securitari, pare al solito alquanto difficile che possano rimetterci coloro che rivestono ruoli di privilegio o possa permettersi di pagare ammende per simili provvedimenti.

E proprio qui sta il punto: non rispetto a fattori di presunta o comprovata colpevolezza, bensì sulla capacità di comprendere le dinamiche legalitarie; di tutelarsi da esse, soprattutto dalle applicazioni arbitrarie; di non lasciarsi ridurre dal timore ad un range comportamentale confezionato da ciò che le direttive man mano pretendono spersonalizzando completamente la storia di ognunx di noi e fungendo da cavallo di troia per disperdere percorsi di autonomia; di riorganizzare una capacità di opporsi alle ingiustizie.

Perché di base stiamo parlando di norme che perpetrano ingiustizie (per quanto rese appetibili all’elettorato democratico).

Lo studio dell’avvocato a cui ci siamo rivoltx si è occupato non a caso della difesa di occupazioni abitative, in particolare di famiglia migranti.

***

Se gli strumenti di cui ci dotiamo possono costituire una maggiore tutela, la sicurezza al 100% non è realistica.

Anzi è proprio lo stesso concetto di sicurezza, soprattutto se preteso come totalizzante, del quale non vogliamo farci vittime e contro il quale sentiamo di doverci difendere.

Tanto la sua teorizzazione politica che la sua stretta applicazione, inevitabilmente dipendente da rapporti di forza, risultano eticamente ambigue e pragmaticamente affatto risolutive, in quanto comportano dinamiche di controllo che storicamente hanno già avuto conseguenze nefaste.

Si potrebbe ribattere a proposito che i i movimenti di lotta a vari livelli di coinvolgimento, anche superficiali, nondimeno comportano rappresaglie propagandistiche e incarcerazioni per le quali è a tutti gli effetti stata buttata via la chiave. Ma questi effetti sono dipesi allo stesso tempo dalla capacità di fare fronte comune o meno, come di ripensare i propri metodi senza dover stare sempre solo in difensiva.

 Qui si tratta di permetterci invece di eludere ciò che presentandosi come normativa civile e rassicurante perpetra in realtà precisi processi repressivi ormai secolari.

La forma amministrativa e non necessariamente penalista non è da meno di quest’ultima nel momento in cui le apre la strada stabilendo criteri di tolleranza tra i rapporti ed i comportamenti sociali. Quando questi attecchiscono nella mentalità comune senza che se ne discuta tra individui e comunità di riferimento, l’allerta da mantenere è che possano estendere logiche di sorveglianza, delazione, sfiducia nello straniero, nel diverso o, o semplicemente verso chi non si omologa del tutto rispetto alle proprie scelte (o non scelte…), a partire dalle filiere di oggetti di consumo che pare conveniente proibire, fino alla criminalizzazione delle lotte.

La cultura del dominio e dello sfruttamento avanza precisamente attraverso strategie di pacificazione sociale tramite cui la rimozione del conflitto evolve grazie alla fabbricazione di consenso (ricordando Chomsky ai tempi di Seattle).

[Così come succede ed é successo in area anarchica e antagonista, quando non si fa nemmeno in tempo a diventare bombarolx e già si viene defenestrati per l’analisi puntuale a proposito delle insidie governative e la capacità di riorganizzare la solidarietà.]

 


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