
Si vuole davvero dissociarsi da prospettive di lotta?
O si sta reagendo in maniera un po’ indotta, ma come autotutela?
Il rischio è di finire a ragionare solo per qualche convenienza momentanea
e in fondo solo autoriferita, come se la propria passione diventasse una carriera qualunque arrogandosi brevetti artistico-spettacolari persino quando si pesca ancora da quello stesso immaginario per cui il muro di casse è stato e vorrebbe poter continuare ad essere un totem che permette semmai di superare parecchie limitazioni solitamente tipiche della dimensione egoistica, i cui meccanismi alimentano al contrario modelli di competizione e disgregazione sociale. E la separazione tra ideali e pratiche è una ipocrisia propria della struttura liberale…
Esiste ancora una differenza?
C’è ancora qualcosa da salvare che non sia stato già strumentalizzato da chi ha avuto meno cura di quei valori che in ogni ambiente di traveller e squatters si cercava di riunire?
Ci lamentiamo di venire repressx proprio mentre compartecipiamo a questo andamento accettando di tirarci indietro, magari additando chi avrebbe ancora un portato ribelle di essere un problema e lasciando passare il concetto tutto coloniale che la resistenza agli sgomberi si lasci intendere come una provocazione, quando l’unica vera provocazione è proprio quella legale(!) nei confronti di chi semplicemente cerca spazi di vita in cui potersi ritrovare.
E ad un certo punto della propria vita, anziché pensare di trasmettere qualcosa ax più giovani, si pensa al movimento stesso solo nei termini di ciò che si è investito per sè stessx,
molto spesso ormai solo sulla propria stessa immagine,
fino a sentirsi praticamente in diritto di vendere il futuro
del proprio ambiente. Quello che succede in realtà in questi casi non è nemmeno frutto di scelte così ragionate, ma un meccanico adeguarsi che accade prima o poi – spesso anche fin da subito – a qualunque scena nata da fermento sottoculturale.
Non c’è da stupirsi né da fare le morali, una volta compreso come funzionano le cose… Ed in effetti nel ’68 ci avevano già avvisatx di stare attentx a non confondere con l’emancipazione “dal sistema” il processo d’alienazione che stava iniziando a insediarsi non piu solo attraverso il lavoro espropriato, non più primariamente nel settore industriale, e nemmeno più stabilizzando questo processo nei vari piani dell’esistenza quotidiana.
Un’alienazione degli individui dalle lotte per i propri principi, e quindi dalla propria stessa vita, che si è completata spesso proprio con la solita persecuzione poliziesca dei movimenti e l’annichilimento carcerario di alcune prede sacrificali accuratamente selezionate.
Sarebbe interessante anche su questi punti approfondire insieme, per chi volesse, in modo da sbrogliare una serie di matasse, come la convinzione che adattarsi e rinunciare a tutti quegli ambiti che non ottengono il permesso istituzionale e la copertura giuridica sia un andarsela a cercare, un’ingenuità adolescenziale.
Quando poi magari si facevano bravate ben peggiori fino al giorno prima, solo che non faceva scalpore sui notiziari perché mancavano i presupposti per formare un clima di paura, in cui le FdO sentano aumentato il proprio potere.
***
Crediamo davvero che queste dovrebbero eseguire indisturbate?
Che l’autorità non si possa contestare?
E che l’aggravarsi delle Leggi dipende da chi reclama e difende un certo stile di vita invece di nascondersi o cedere del tutto?
Se chi acquisisce consapevolezza e comincia ad agire viene percepito addirittura con orrore, siamo di fronte a cervelli completamente imbevuti di propaganda statale. Chi ci toglie il futuro, a quel punto? Avere lo stesso sguardo delle direttive penalistiche significa essersi già consegnatx alla repressione…!
Cosa troviamo allora, nel presente? Le storie degli individualità e dei popoli in lotta, ma innanzitutto la necessità di fare analisi dello “stato dell’arte” del nostro posizionamento nel mondo. Noteremo mancare una parte di presente, proprio quella che ci è già stata sottratta preventivamente, che da precedenti Governi è stata quindi consegnata alla norma, finendo col modificare le abitudini e le aspirazioni collettive… Spesso, persino le opinioni.
Un presente che non ritroviamo possibile come lo sarebbe stato invece 10, 25, 50 anni fa. E la responsabilità di ciò che ci resta ha riguardato tuttx, compresx i nostri genitori…
La rassegnazione generalizzata in cui ci troviamo impantanatx ad ogni colpo dei poteri amministrativi e della logica securitaria
ci insegna quindi che la repressione ha colpito concretamente attraverso il senso comune nella ritirata all’ordinario e
la corruzione o il sotterramento dei sogni di chi ci ha precedutx, e forse più inesorabilmente di quanto non abbia eliminato fisicamente con i tribunali di Giustizia coloro che dimostrassero di non avere paura. Su chi hanno vinto, in questi termini,
le rappresaglie punitive? Se pensiamo alla parte della nostra quotidianità che invece può dirsi “fortunata”, chi ce li ha fatti poi trovare belli pronti tutti quei diritti che ci sconvolge vengano ritoccati in continuazione dalle poltrone parlamentari?
Si pensi ai martiri di Chicago, 8 anarchici impiccati, condannati non a caso come capro espiatorio al fine di ridimensionare le sollevazioni ottocentesche che il vento dell’internazionalismo stava diffondendo. La routine ai tempi riguardava fino 12 o 16 ore al giorno, anche per i minori, sotto gli obblighi padronali.
Le proteste sindacali ne reclamavano 8, quelle attuali. Questo è solo uno dei miglioramenti più lampanti e riconosciuti in tutto il mondo che possiamo considerare, nonostante gli eccidi che subirono moltx ribellx non vengano affatto ricordati… Eppure pensate se le maniere in cui vennero uccisx avessero fermato le rivendicazioni!
Vogliamo veramente lasciar passare quella retorica infame che ogni volta continua a riprodursi in maniera sempre più infiltrata, fino cioè a sovra-determinare e distorcere il nostro sentire comune, ossia quella per cui storicamente chiunque sia finito sotto il gioco giustizialista sia stato unx pericolosx bombarolx isolatx, unx presuntuosx estremista, unx esaltatx visionarix, unx perfettx incapace di adattarsi alla “realtà”?
Come si finisce a non riconoscere quanto la rabbia e spinte anche violente siano legittime contro le oppressioni istituzionali e i loro metodi di soffocamento delle lotte e delle azioni stesse?
E pensiamo davvero che svalutarle a nostra volta ed evitare di manifestare in quali problemi concreti ci imbattiamo sia la maniera che li fa magicamente sparire?
O non stiamo forse solo lasciando che sia qualcun altro a decidere in cosa possiamo credere e aspirare?
Il fattore economico che rende commercio ogni cosa che possiamo definire fruibile,
governa, di fatto, la gerarchia tra classi sociali.
Il momento in cui ciò diventa evidente, come una falla di una nave che a un certo punto imbarca acqua, è quello della ristrettezza, dell’inconveniente o del torto subito, qualcosa di materiale insomma che manda in crisi ogni altro piano dell’esistenza.
La repressione funziona come strategia statale, fondamentalmente borghese, calcando esattamente su questo assillo della carenza e di privazione ogni qualvolta si temessero proteste o non vi fosse più la disponibilità ad accettare rappresaglie sui ribelli e stragi, celate o meno, nei confronti della popolazione.
Se non siamo abituatx a ragionare in termini organizzativi,
ma solo per ideali e con un senso di appartenenza fondato sullo svago, diventa via via più complicato elaborare insieme qualcosa che possa farci evadere da meccanismi securitari ormai inerziali, e si fa presto a ricrearli nei paradisi artificiali se nella nostra esperienza diretta in quel lasso di tempo libero non si cerca di rendersi indipendente da tutta una serie di ricatti confezionati ad hoc, in primis quelli economici.
Per non divenire definitivamente un prodotto, a nostra volta, della distopia in cui viviamo, non basta fuggire. Salverà magari il proprio culo, ma non la dimensione di evasione organizzata che abbiamo sperimentato e che viene attaccata a pretesto dalla propaganda, come ultimo colpo di spugna ai vagheggiamenti movimentisti rimasti ormai esangui per non aver riconosciuto le opportunità di sostenersi nella lotta quando si presentavano, ed aver preferito la ritirata invece di trasmettere il proprio vissuto a chi poteva prenderne il testimone, commiserando le ultime generazioni in maniera nostalgica senza assumere di essere corresponsabili di ciò che rimane. Perché la difficoltà ad affrontare le imposizioni reazionarie, qui in Italia come altrove, non è solo una questione di averci la Meloni al governo. É una fantasia astorica pensarlo, quando abbiamo avuto decenni di colpi pesantissimi alle lotte su ogni fronte ed area politica variamente espostasi dal basso, e se ora facciamo finta di non sapere e non vedere, di non ricordare, siamo direttamente complici di queste ultime sistemazioni normative e del loro gioco propagandistico.
A parte la banalità di base, che tuttavia non sembra essere molto implicita nei discorsi da after, per cui in larga parte sono stati i Governi di Sinistra a far fuori parecchie istanze e soggettività scomode, fino a che la mania del politicamente corretto e dell’orrore per il contraddittorio e la critica,
come se gli approcci consensuali dovessero vivere di omologazione alla maggioranza anziché darsi strumenti
per ridare il giusto valore ad ogni nostro (bi-)sogno, quindi non lasciare indietro nessuna lotta
(non farsi complici di altre oppressioni invisibilizzate, insomma).
Se i metodi che ci offriamo in tempi di buona aiutano da una lato a gestirsi situazioni molto partecipate e prendere un po’ di respiro, viversi l’arte e una dimensione di socialità che non richiede la fatica di scavare e di redistribuirsi le responsabilità, il fatto che diventi l’unica forma che abbiamo di prendere decisioni e dello stare insieme si presta a diventare perfettamente funzionale a meccanismi produttivi e civilisti che vanno ben oltre la nostra autonomia, gettando le nostre prospettive più rosee nella solita salsa democratica che ha fatto andare a male tutto il portato conflittuale che si era faticosamente riuscitx a non far cadere nell’oblio tra i vari scazzi interni e passaggi alla disillusione.
Questa digressione per sottolineare come ciò che in periodi di abbondanza di esperienze abbiamo invece raccolto, persino nel momento della ritirata dovrebbe poter servire a fornire qualche scorta di consapevolezza per meglio resistere alle avversità.
Se invece ad ogni ostacolo precedente si fosse persa la mappa di fonti e granai, se ci siamo fattx la guerra tra poverx invece di preoccuparci di pensare a ripensare le posizioni difensive di fronte allo spettro del fascismo (che a dirla tutta non se n’era mai andato, semplicemente non vi stava riguardando direttamente, e pensavate di poter continuare in spensieratezza, su quella linea egoistica al ribasso e probabilmente non molto avveduta in cui ci si preoccupa di salvare soltanto la propria immediata condizione senza riflettere in maniera condivisa le conseguenze che possono verificarsi, senza prendere atto quindi che quando si tratta di un sistema di dominio non c’è convivenza pacifica che possa ritenersi estranea ai momenti di crisi generalizzata, ed anzi è più facile che si rimanga completamente spiazzatx, disorientatx, e allora certo chi lotta può ben apparire senza senso e senza speranza.
Ma non vi renderà più furbi arrivare a pensalo per non dover sentire qualche responsabilità addosso. Per dirla in metafora, è come se tra le vecchie isole nella rete ci si ritrovasse via via o a vendersi alle direttive globaliste, concedendo che non si riconosca nemmeno più il concetto di isola, men che meno liberata, oppure a ritrovarsi con alcunx tra noi che scappano con il poco di tesoro rimasto, o altri che con le mappe rimaste ci si fanno la carriera e lasciano quelli che ancora ci credono come dei poveri coglioni a lottare da soli… e ci deridono pure perché ci proviamo, contribuendo insomma come il peggio lettore medio del Resto del Carlino a far attecchire il lato oscuro della repressione, quel rinculo di perdita di continuità e fiducia reciproca che agisce internamente ai movimenti…. e in tutto ciò magari si danno ancora arie di aver vissuto i tempi d’oro… forse erano giratx dall’altra parte mentre qualcunx ci stava mettendo una parte di rischio per loro… o semplicemente non possono ammettere che non sono più in condizioni di poter vedere oltre in questo orizzonte… ed è forse proprio questo atteggiamento apparentemente innocuo (anzi considerato avveduto) il punto di non ritorno, di annebbiamento cautelativo, di impossibilità normalizzata..
Insomma, il punto di quella consegna dei soggetti alla nostalgia ed al rimpianto che ci impedisce di ridefinire i nostri orizzonti collettivi.
È precisamente qui che la repressione ha vinto:
non mentre perseguita e tortura chi prende nel mucchio.
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