Loading...

(Just one moment)

Fare rete. Due anni di legge “anti-rave”

Pubblichiamo di seguito un contributo che, dal suo punto di vista parziale, guarda ad accadimenti succeduti in questi mesi e che possono contribuire a un dibattito che sicuramente non si può esaurire in qualche occasionale documento o confronto, con la necessità di ulteriore messa a verifica e l’aprirsi a varie suggestioni, stimoli e pensiero critico.

Per riflessioni, contributi, richieste scriveteci su smashrepression@proton.me

FARE RETE. DUE ANNI DI LEGGE ANTI-RAVE  (Gennaio 2025)

Come un “fragoroso sussulto” l’applicazione del decreto anti-rave ha risvegliato nel mondo delle contro-culture un bisogno di:

– contrapposizione a chi emana leggi, proibizioni e divieti e a chi li applica nelle diverse forme;

– per conoscere e meglio agire tale bisogno e desiderio di contrapposizione, il doversi guardare attorno, uscire “dalla bolla” (spesso facilitata dall’ipertrofia delle relazioni via  social) e  capire quali altre forme di contrapposizione ci sono nel presente.

É chiaro come questa commistione di bisogni abbia visto una grossa convergenza di biografie e identità, al punto da giustapporre alla vertenza “chiusa” (rifiuto-abolizione del decreto poi legge) tutta una serie di rivendicazioni a essa legate (repressione imperante dell’agibilità di spazi contro-culturali, di istanze sociali, della possibilità stessa di riunione – come sottolineato in modo seppur abbastanza blando nell’opinione pubblica quando se ne sbandierava l’inconstituzionalitá).

Ci siamo scopertə in tantə intimamente legatə dall’anelito di libertà, sia chi fa parte integrante del mondo free-underground-tekno, sia di chi vede nella salvaguardia delle diversità e delle forme di espressione possibili e il rifuggire dall’omologazione un elemento-chiave di resistenza.  Certamente, l’allargarsi (o il riallargarsi) dell’orizzonte valoriale e dei desiderata per i quali ci si è ritrovatə, in tantə, nello stesso magma, ha scontato una latenza dettata dalla stessa stratificazione e settorializzazione di linguaggi e conoscenze che caratterizza d’altronde la frammentazione della società. Come spesso succede, la materializzazione della macchina repressiva ha messo in luce l’indisponibilità di corpi e menti a sottostarne al giogo da una parte, e la necessità di potersi connettere e contrastare forme di oppressione strutturali dall’altra.

Si è capito come il dispositivo anti-rave, in un contesto crescente di militarizzazione degli spazi fisici come delle coscienze, in primis nel vecchio continente, da un lato rispondesse a soddisfare l’appetito forcaiolo alla ricerca degli “scansafatiche, disadattatə, mantenutə” e chi più ne ha più ne metta, dall’altra preludesse all’implementazione dei dispositivi di controllo e securitari che vediamo oggi con le zone rosse e il decreto-sicurezza oggi in via di approvazione e normalizzazione.

E’ evidente come la compressione degli spazi di socialità, di dibattito ed espressione siano una modalità di azione strutturale di questo presente, legata alla volontà di soppressione e soggiogazione delle “minoranze” disertrici o meno inclini all’addomesticazione. La retorica proibizionista insita nel nuovo codice della strada è in parte una forma anch’essa  di questa propaganda che si traduce man mano in omologazione del pensiero e del tempo individuale-collettivo.

E’ stato lampante anche come, nel ribollire di energia e desideri che si è dato sin dall’inizio della mobilitazione ampia e molecolare contro la legge anti-rave, si incontrassero stili di vita e linguaggi apparentemente lontani e inconciliabili: vallo a spiegare a molte persone “nuove” dell’ambiente l’oppressione che già subivano da anni chi organizza/organizzava feste in Italy, e trovare un modo di raccontarla per bene a chi non l’ha vissuta direttamente. O vai a fare capire nell’immediato, l’esigenza – ad esempio – di autotutela e autodeterminazione di fronte alle forme strutturali di violenza machista che percorrono trasversalmente ogni ambito del sociale, e anche la “bolla” delle feste di qualche giorno..

Assieme alla fotta di riunirsi per controbattere le mosse dex governantx, si sono accumulate tante questioni inerenti a un intero mondo in subbuglio meritevoli di ulteriore approfondimento e sincronizzazione.

Dal dibattito acceso, a volte frontale, che si è dato in molte parti d’Itala e oltre, è emerso che per alcunə la festa è intesa come una “fuga dalla realtà”, nel senso di rifuggire dallo schifo dato dalle ingiustizie sociali quotidiane, sottraendosi, astenendosi, dissociandosi, (forma definita da moltə come “a-politica”, per altri più “pre-politica” o, comunque, di legittima volontà di non venir rappresentatə in alcuna forma), mentre altre la intendono come momento di costruzione di uno stare assieme allusivo di nuovi mondi possibili (forma “politica”). Forma di svago e forma di ricreazione. Questo incontro tra percezioni non può essere visto come divisivo: entrambx suppongono una tendenza marcata alla diserzione dalla “normalità vigente” e guerrafondaia, a partire da diverse forme di rifiuto e creazione di modalità espressive a esso legate.

Spesso in questo rimbalzo tra necessità di esprimersi sono avvenute incomprensioni, controtempi tra generazioni che comunicano i loro saperi tecnici ed empirici legati alla riproduzione dell’espressione del contenuto audiofonico o tra chi sentiva la necessità di far presente l’importanza  dell’uguaglianza e delle tematiche di genere nei contesti festivi che vivevano, come espressione costitutiva dell’ “alternatività” in momenti autogestiti, aldilà della loro riproducibilità estetica.

Ora.. sappiamo che nell’impellenza delle mobilitazioni c’è una radicalizzazione anche esasperata di concetti e dell’ego – per far valere la propria voce in un vortice di rivendicazioni; ciò non vuol dire nella realtà che poi non ci siano compagni delle crew che l’antifascismo e l’antisessismo non lo pratichino ovunque (tutt’altro, e quasi sempre lontano da radical-chic quanto da portavoce di qualche istanza), pur avendo codici espressivi magari molto differenti da un@ militantə di una giovane collettiva che lotta adesso in strada, così come ci sono compagnə che decidono tra altre cose di essere tecniche del suono e montare per passione e stile di vita senza per questo rinunciare alla pratica anti-patriarcale come forma di r-esistenza e liberazione quotidiana. Cura dell’evento e cura delle relazioni, mix  dell’hype nello stare in festa.

Casomai (facile a posteriori!) ci starebbe da chiedersi com’è che non siano emerse queste necessità di interazione e confronto prima dell’imposizione repressiva evidente per mezzo legge, ma tant’è.. una contro-cultura come quella del rave (non solo free-tekno), pluridecennale, vive di alti e bassi, spesso (e menomale) non misurabili dalla quantità di partecipanti ad eventi, e oscilla tra possibilità di venire assorbita dai sistemi di comunicazione e mercificazione e l’ostilità aperta a questi.. Che si possa in qualche modo aggiornare nelle sue forme, ibridarsi con altre esperienze, divenire vettore delle pulsioni “old” e “new” che la agitano? Non può che essere il portato di una risposta primordiale al tentativo di demonizzare – penalizzare – mistificare il rave,  come è avvenuto ancora una volta nella sua storia, in questo caso in Italia per mano del Governo Meloni-Salvini-Piantedosi.

E’ stata una buona cosa rispondere al subdolo “vi togliamo dai capannoni (e magari regolarizziamo)” con “invadiamo le strade delle vostre città-vetrina”? Sì, e ha creato interazioni e contaminazione di stili e genere come non si vedeva da tempo in molte località, e attivato energie in contesti dove difficilmente si erano date prima in certe forme. 

 

Ora che nuove crew e mondi giovanili iniziano a sperimentarsi con diverse pratiche di autogestione aldilà delle street, la necessità che la circolazione di confronto e dibattito non si assopisca non deve e non può decadere, anzi dovrebbe avvalersi di maggiore propositività tra chi ha accumulato esperienze anche di decenni come da chi le vive adesso; questo perché (come vari cicli di lotta anti-rep in Francia  possono mostrare) non è con la fine dello spauracchio repressivo che poi le forme di aggregazione diventano di per sé più forti e consapevoli nell’autogestirsi rispetto a quelle precedenti, se poi il “nuovo” non riconosce e ascolta; anzi, è proprio nella chiusura di possibilità di intercomunicazione che un movimento di corpi, relazioni e saperi diviene più attaccabile, se non quando fisicamente, pecuniariamente o amministrativamente, tende a ghettizzarsi o farsi mercificare  (nel duplice e subdolo ricatto: o festival etero-normato o confino).

L’intuizione iniziale della contaminazione tra tematiche anti-repressive, di confronto e di riconoscimento tra “minoranze”, é una tendenza che non dovrebbe venir messa in secondo piano rispetto alla riproducibilità di eventi: dota le contro-culture di nuovi anticorpi alla mercificazione e all’assorbimento di esse, e si rigenera con la creazione di sacche di resistenza ad alcune forme di controllo ed omologazione, a partire dalla concezione di cosa si definisce e percepisce come libertà e cosa no.

De facto, la creazione espressiva alternativa necessita di sperimentare tra stili e generi oltre alla “contrapposizione” frontale a nemici statuali, e di affinare meccanismi di autodifesa e forme di ri-appropriazione dello spazio e del tempo (di cui la modalità di festa può essere considerata tra quelle sublimi).  Non smettere di guardarsi attorno, anche nei momenti apparentemente difficili e angusti, come in quelli di appagamento, è un antidoto anti-repressivo e liberogeno. Sia che lo si faccia attraverso campagne di solidarietà, la diffusione di contenuti e pratiche antirazziste, di cura e autotutela collettiva, che difendendo il sound in una situazione in cui si è in pochə.

In questi tempi é quantomai facile soddisfare l’appagamento di riunirsi e far festa magari a migliaia e migliaia di chilometri di distanza ma al contempo non riuscire a vedere né sapere chi cerca di praticarla a due passi dal nostro vissuto quotidiano: anche questa è una limitazione delle possibilità di scegliere dove poter andare e relazionarci. Oggi più di ieri, il cercarsi e fare rete é una dimensione irrinunciabile, di reciprocità, appartenenza e sperimentazione contro-culturale.

 

 

Lascia un commento