Quando ci si approccia alla cosiddetta Giustizia istituzionale, l’attenzione generale si concentra sulle conseguenze previste per una tale o tal’altra azione incriminabile..
Si verifica così sin da subito una funzione preventiva della Legge attraverso la paura della punbilità e l’ossequio alle autorità.
Questa funzione è quella meno visibile perché non trattiene direttamente le persone in carcere; ne sceglie però qualcuna tra le più scomode, esposte a quel genere protocolli senza remora di buttare via la chiave all’occorrenza, o che si esercita più sommariamente estorcendo denaro attraverso estenuanti appelli processuali, ma pur sempre per far passare la voglia di fare analisi di determinate condizioni strutturali e operando mediaticamente per distogliere l’attenzione pubblica da quegli elementi che proprio l’agire o anche il semplice esistere di una categoria sociale finirebbero per mettere in evidenza.
Le politiche riformiste stesse si coprono dietro un manto di giustificazioni rieducative le quali, anziché andare a cercare la radice sociale di problemi riscontrati in grandi percentuali, li cristallizza nell’alveo psicologico-comportamentale separando così fattori di diffusione della criminalità dalla Storia ufficiale, inserendo quindi anche molti piani di lotta politica in questo calderone, dimostrando di mirare, più che ad un sincero reintegro relazionale degli individui, e tantomeno ad una risoluzione di ben precise ingiustizie sociali, a confermare ed aumentare addirittura il campo del potere leviatanico, completando la sintesi di una serie di istituzioni totalizzanti.
Si continua così ad associare antichi concetti religiosi di colpa a diagnosi su presunte disfunzionalità mentali che ancora non si sono liberate degli strascichi di dettami lombrosiani, fino alle ipocrisie del 41bis (quando lo Stato si conserva precisamente tramite rapporti mafiosi) e la puntuale rivisitazione del profilo del “nemico pubblico” ogniqualvolta si volesse dare una bel colpo di spada alle spinte emancipative che non si lasciano recuperare dalle agende politiche che offrono invece protezione a chi detiene interi monopòli.
Più che quello di un sincero reintegro relazionale ed avviamento lavorativo in questa ben poco onesta Repubblica (che può dirsi fondata sul lavoro solo se si riferisce a quello sfruttato e mal pagato), il risultato della funzione rieducativa dei penitenziari sui soggetti indicizzati che si presumerebbe di ricondurre ai valori democratici, è stato, tuttora nel 2024, in media di un suicidio ogni 4 giorni compiutosi tra detenutx nelle carceri italiane.
Pur di affermare l’inaccettabilità della tendenza alla trasgressione come se fosse una questione di alcuni soggetti inadueguati, anziché semmai l’esito di molteplici fattori culturali e di privilegio sociale, la civiltà del progresso consente quindi che essi provino un senso di angoscia tale da arrivare ad eliminarsi fisicamente qualora non si riesca ad annichilire i loro istinti con una somministrazione extra di psicofarmaci. Certo i suicidi riusciti o tentati e varie altre forme di autolesionismo, la quotidianità soprattutto nei CPR, come di proteste interne e scioperi della fame che non raggiungono mai i notiziari, non rimandano esattamente ad un senso di “recupero” dell’individuo, e rendono anzi nota del distacco emotivo di cui sono capaci gli operatori e le guardie, così come i dirigenti degli istituti e gli incaricati ministeriali connessi non si assumono le responsabilità delle loro decisioni amministrative.
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“IL CASO COSPITO”, OVVERO: NON UN CASO..!
Pensiamo per esempio ad Alfredo, a come dalla Cartabia fino a Nordio non vi sia stata remora alcuna ed anzi era chiaro il piano di annichilimento che intendeva colpire sostanzialmente la diffusione di stampa e i rigetti vari di valutazione dei domiciliari emessi dalla procura di Milano (pg Francesca Nanni) e dal Tribnale di Sorveglianza a Sassari (pm Giovanna Di Rosa) con le loro schiere di assistenti in carriera e su consultazione dei medici di Opera che hanno per altro alimentato forzatamente il compagno anarchico, la cui scelta non avrebbe ammesso tentennamenti. La realtà dei fatti è che la Magistratura di Sorveglianza raramente accondiscende al ricongiungimento famigliare.. non si è trattato solo di un caso particolare. Quello che con Alfredo ha fatto la differenza è stata una richiesta indiscriminata, che non riguardava solo se stesso, e di qui un ancor più grave mancanza di coraggio dell’apparato statale nel riconoscere il posizionamento di un uomo come interlocutore attivo e avveduto rispetto ad ingiustizie strutturali, quindi deciso ad avviare una contrattazione contro i regimi speciali e i metodi annessi che infliggono tortura (posizionamento che spesso nella storia del carcere moderno è valso ad ottenere alcune migliorie: non si trattava insomma dei delirii di un nichilista esaltato, ma della lucida consapevolezza e irriducibilità ideologica che contraddistingue quest’area di orientamento conflittuale). Il fatto che non gli sia stata concessa questa interlocuzione non fa che confermare le nostre teorie a riguardo della prospettiva detentiva. Interessasse davvero un recupero dei soggetti, le inchieste ufficiali avrebbero preso ben altro indirizzo che quello banalmente autoritario. La reazione dello Stato persino tramite il ruolo dell’équipe medica è stata tutta improntata al depotenziatare anzi quelle ragioni, al punto che possiamo senza esagerazione alcuna definire il protocollo del tenere le funzioni vitali di Alfredo ai minimi termini non un approccio di cura verso il soggetto recluso, affatto, bensì una ulteriore privazione: una totale ipocrisia rispetto a quelle che erano le intenzioni dichiarate dello stesso, delegittimato così persino di quell’ultimo stralcio di identità che attraverso il suo corpo stava cercando di manifestare e confermando una condanna di oltre due decenni in Alta Sicurezza, mirata fin dal primo momento a rendergli specificatamente impossibile la comunicazione e la diffusione del suo portato internazionalista controverso, e quindi persino di tenere un carteggio con compagnx non certo per riporlo in un cassetto ma perché ne facciano tesoro ed eco diffusa.
« Per il resto che dire….nulla è cambiato: le foto dei miei genitori sequestrate un anno fa qui a Sassari e restituite col timbro della censura al mio arrivo ad Opera, di nuovo trattenute al mio arrivo a Sassari.Niente musica: la mia richiesta di comprare un lettore cd rigettata dalla direzione del carcere. A quanto pare libri e musica continuano ad essere visti dal DAP come qualcosa di sovversivo ed in fondo non hanno tutti i torti.Da quando sono al 41 bis non tocco un filo d’erba, un albero, un fiore. Solo cemento, sbarre e tv. Negli ultimi mesi, con grande fatica, sono riuscito a comprare un solo libro, e solo perché di me parlavano i media.I colloqui una sola volta al mese col vetro e con la voce metallica dei citofoni. Le mie sorelle e mio fratello, che sono gli unici che possono venire a trovarmi, vengono al loro arrivo incerottati sui tatuaggi e sugli orecchini, perché potrebbero comunicare messaggi criptici attraverso i disegni tatuati.Comunque queste mie rimostranze diventano ridicole dopo quello che ho visto al centro clinico di Opera.Ho visto con i miei occhi lo stato che si pretende etico applicare la legge della ritorsione su vecchi e malati, inermi e semi infermi di mente. La mia richiesta ingenua di libri, musica, periodici anarchici, scientifici, storici e di un prato dove correre e di qualche albero diventa risibile quasi stucchevole. Me ne rendo conto.Abolire il 41 bisGrazie compagni e compagneSempre per l’anarchia »( dichiarazione di Alfredo Cospito del 19 giugno 2023 )
Perché citare un esempio che sembra già così lontano per i riferimenti ideologici comunemente dibattuti (o meglio resi marginali) proprio perché lo si associa ad un filone politico considerato controproducente, cioé che proprio non disdegnando l’azione armata e l’attacco alle strutture del potere sembra essere stato completamente vinto?
Perchè da quell’impossibilità che Alfredo ha ricevuto come responso di uno sciopero della fame durato sei lunghi mesi, ne usciamo tuttx meno liberx.. e non soltanto chi si trova tuttora in 41bis (per altro senza davvero una logica che non sia quella di una strategia governativa che si è trovata in competizione in affari con le mafie fino a che non è riuscita a trovare le maniere di inglobarle e conviverci).
Ne usciamo meno liberx e per di più ulteriormente attaccatx, tant’è che ci si ripropone a distanza di un anno, nell’alveo dei Decreti Sicurezza, un punto appositamente dedicato al ripristino di matrice fascista della punibilità della stampa sovversiva, cioè potenzialmente qualsiasi pubblicazione di contestazione alle misure statali. Si riapre di conseguenza lo spettro di una censura non riferita a particolari gruppi, quindi nemmeno ristretta ad una comprovabile correlazione tra la stampa e le azioni di propaganda di questi, ma lasciando arbitrariamente indefinito il campo di ciò che può venir reso tacciabile di sovversione, ben oltre un principio di autodeterminazione delle lotte. Forse è questa la volta buona che ci si opporrà in modo congiunto? O lasceremo che nuovamente vincano i distinguo che colpevolizzano gli estremismi, che mettono al bando chi non si accontenta di proteste pacifiche, che si apprestano a condividere lo sdegno nei confronti di chi disturba la pace ed il benessere borghesi, acconsentendo cioè che l’approccio repressivo venga confuso con una misura di tutela pubblica e finisca applicato nel nostro stesso modo di riflettere e muoversi, alimentando ulteriormente la caccia alle streghe, tutto ciò mentre le industrie belliche continuano la propria produzione, gli ecomostri a distruggere territori ed ecosistemi, le riforme contrattuali a lasciarci economicamente esangui, le strutture punitive ad eliminare le prove e gli effetti del malcontento, ..?
Quale posizione stiamo scegliendo, o meglio, accettando di non poter scegliere?
“L’articolo 72 del codice penale prevede che ai pluriergastolani si aggiunga la pena dell’isolamento diurno che può arrivare fino a tre anni. Un’eternità capace di devastare la psiche di chiunque. (…) l’isolamento fa male, l’isolamento porta al disadattamento, allo squilibrio, alla follia. Ma viaggiando per le carceri italiane si incontrano tanti detenuti isolati. (…) Solitudini su solitudini, gli internati sono gli esclusi degli esclusi. Ne sono consapevoli gli operatori, i poliziotti penitenziari, che si adoperano in tutti i modi per inventare una speranza in quelle vite ufficialmente dimenticate dal sistema. Non c’è alcuna delinquenza abituale in loro. Nessuna tendenza. Parole dal senso vago che finiscono per non significare nulla. (…) Nella colonia agricola di Isili, così come nella casa di lavoro di Vasto e in tutte le altre sezioni analoghe in giro per l’Italia, sono rinchiuse persone che non si sa dove collocare. Così viene prorogata loro, dai giudici di sorveglianza, la permanenza in carcere, sostenendo che sono ancora pericolosi. In realtà sono soltanto soli, senza nessuno che li accoglie fuori. Non vi sono servizi territoriali per farsene carico, non vi sono famiglie. Tutti gli internati sono di fatto portatori di una qualche patologia psichiatrica. Ma il ragazzo che ha rubato dieci volte di seguito una scatoletta di tonno dal supermercato diventa facilmente, nell’interpretazione del magistrato, un delinquente abituale. Se poi ha cercato di scambiarla per un pacchetto di sigarette è un delinquente professionale.“
(dal Ventesimo rapporto sulle condizioni di detenzione dell’Associazione Antigone, 2023, Viaggio nelle colonie penali della Sardegna)
Per noi, ciò che viene liquidato frettolosamente come “suicidio in carcere” rimane un omicidio di Stato già nelle premesse per cui questo si è arrogato la custodia di un individuo. Non si parla solo di soggetti antagonisti, considerati spine nel fianco. I metodi di annicchilimento sembrano anzi essere tanto più efficaci politicamente quanto più si ripercuotono in maniera ben più silenziosa su persone già emotivamente fragili, o che proprio la reclusione subita ha reso fragile. S’intende che a lasciar morire unx figlix di nessunx fanno prima, anziché prendersela con chi comunque è sostenutx da reti solidali all’esterno. Questo è da tener presente di fronte all’equazione comune per cui chi si ribella ci rimetterebbe soltanto.. Dipende da quale passaggi storici stiamo vivendo ancor più che dalle singole responsabilità. Dire “se l’è cercata” denota non aver colto che la morsa si sta stringendo sempre di più sulla scia di un piano NATO che ha investito i fondi europei sull’addestramento alla sorveglianza di tipo militare e che si sta pian piano attualizzando tra le varie colonie americane del perimetro Shengen. Nel frattempo, oltre alle morti violente accertate avvenute in condizioni contenitive o di migrazione che continuano a sommarsi, si consumano dentro e fuori le sbarre decine di migliaia di morti lente ed ormai interiorizzate.
Non sembra esserci uscita dalle dinamiche che le mansioni repressive determinano.
Queste continuaneranno a ricadere sulla società stessa proprio mentre essa si illude di venir tutelata da episodi di sopraffazione. L’astrazione giudiziaria e penalista, fingendo di estirpare la causa dei problemi eliminando dallo sguardo chi ne rappresenta la manifestazione più tangibile, o certo più scomoda, non fa altro che deresponsalizzare una comunità di riferimento nel suo complesso, garantendo in primo luogo l’impunità dei suoi amministratori, vanificando le analisi e l’impegno politico che invece tentano una faticosa decostruzione di quelle cause, e dall’interno, consapevolx che quei problemi continueranno a sorgere al di là della loro associazione scandalistica che riduce un reo con singole azioni considerate reato. Ogni altra esperienza di giustizia viene cancellata o resa dipendente da questo retaggio delle monarchie assolutiste in cui oltre all’esemplarietà della punizione di fronte agli occhi del popolo si consumava un principio di vendetta contro chi avesse intralciato e sfidato la giurisdizione territoriale e le credenze intorno alle quali un potere si conserva.. Persino la complicità del personale medico ed a supporto psicologico nei confronti di metodi spersonalizzanti e assimilabili alla tortura è tale da rispecchiare un soffocamento della sensibilità degli individui, la quale si lascia esercitare dapprima sul personale stesso, tramite obbedienza alle morali imposte da certe gerarchie professionali che si ricopre. La fedeltà obbediente e per lo più omertosa caratteristica di certi ambiti (mentre il segreto professionale dovrebbe avere a cuore la privacy del soggetto più che la propria carriera, non si confondano questi due piani..) è parte integrante meccanismi repressivi, e non fa che produrre nuove forme di alienazione, in questo caso sfociando non di rado in una dimensione etico-politica che si rende complice di maltrattamenti ed omissioni di soccorso.
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L’ISOLAMENTO NELL’ISOLAMENTO
COME MASCHERA DELLE INGIUSTIZIE DEL POTERE
« Purtroppo, nella condizione in cui devo vivere, i capricci nascono da soli: è incredibile come gli uomini costretti da forze esterne a vivere in modi eccezionali a artificiali sviluppino con particolare alacrità tutti i lati negativi del loro carattere. »
(Antonio Gramsci in Lettere dal Carcere)
L’approccio vincente sarà per essa quello dell’impossibilità di autoregolarsi, della sfiducia anche interna verso l’iniziativa autonoma, della delazione e del sospetto così come di corrispondente caduta nel menefreghismo generale e nella presuzione di non dover perseguire altro che il proprio interesse, qualora si potesse invece fare davvero qualcosa di utile e ben intenzionato nonostante non si sia investitx dell’autorevolezza per farlo sottoponendosi alle logiche della burocrazia amministrativa.
Se l’obiettivo sotteso dell’istituzione penale non fosse proprio questo insieme di conseguenze, invece che considerarle come un vago e non prescritto effetto collaterale, potrebbe quasi venire a mancare il senso dell’impostazione funzionalista del carcere, e
si dovrebbero riconsocere piuttosto le ragioni della spinte per una abolizione dello stesso, com’è stato in precedenza per manicomi ed ospedali psichiatrici giudiziari.
Ma si può ben osservare invece come l’indirizzo penitenziario serva in primo luogo ad ottenere effetto “a deterrente” sul resto della popolazione (e insieme di copertura di nefandezze di ben più vasta entità senza che chi commisiona ed esegue tutta la vasta gamma di procedimenti punitivi rischino di finire coll’essere ritenuti inadeguati ad un ordinamento democratico).
Quello che consegue quindi da determinate norme, ma nondimeno nel loro insieme, è dunque, si dicava, non soltanto la repressione del singolo che commette qualcosa che possa venir assimilato ufficialmente ad un crimine, bensì la società nel suo complesso che si lascia dirigere nei comportamenti e nelle abitudini, persino quelle dimostratamente inoffensive o
che addirittura si sono rilevate fondamentali per i movimenti emancipativi che hanno attraversato i secoli.
Durante la persecuzione di chi lottava contro le oppressioni sono stati affinati metodi di confinamento che ritroviamo ancora oggi.
In particolare la Sardegna sta diventando una colonia non solo militarizzata e depredata per progetti energivori, ma anche una distesa di case circondariali e tra le più severe. Numerosi sono gli aggiornamenti sul piano carrceri e sulle proteste interne dai capoluoghi sardi, oltre a campagne di lotta come Nishunu Est Solu, la cassa antirepressione sarda Teste Dure, tra le altre, che non dimenticano i processi storicamente affermatisi ma proprio per questo cede il passo, anzi si propone di non abbandonare le persone detenute. Le due trascrizioni seguenti sono riprese proprio da uno degli ultimi numeri pubblicati di Maistrali (al momento il sito è offline), una zine aperiodica di critica ai progetti speculativi che riguardano la Sardegna.
“… Il carcere di Tempio Pausania inaugurato nel 2012 ha sostituito il precedente “la Rotonda” per essere utilizzato per detenuti in regime di Alta Sorveglianza di livello 3 e nonostante le solite vocazioni rieducative langue del reale intento punitivo e vendicativo che hanno le galere. Già durante il periodo Covid le restrizioni pandemiche hanno creato non pochi disagi ai prigionieri che si trovano in gran parte a centinaia di Km lontani dalle loro famiglie e dagli affetti, dimostrando come la Sardegna si riveli ancora una terra di confino, un’isola comodissima per le velleità punitive dello Stato.
Le strutture costruite negli ultimi dieci anni hanno ampliato ed in parte sostituito il numero delle carceri. Solo nell’isola sarebbero circa 11 in totale, ed hanno allontanato gli istituti dai centri abitati isolando maggiormente i prigionieri togliendo loro anche quelle poche occasioni di contatto con l’esterno.Isolamento nell’isolamento, a maggior ragione se lo Stato può contare su un’isola da usare come una discarica per i “cattivi”; non ultimo, il trasferimento del compagno anarchico Cospito trasferito recentemente al carcere di Bancali.Il carcere è andato di pari passo con il Capitalismo, trasformando le vittime di una società di sfruttati in nemici da rinchiudere, consentendo in alcuni stati occidentali addirittura la privatizzazione delle galere per trarre profitto dalla prigionia e creare forza lavoro a costo quasi azzerato. L’opposizione al carcere resta quindi una necessità per incrinare un pilastro di questo sistema, soprattutto in momenti in cui il disagio sociale aumenta per i giochi dei potenti.Ben vengano, quindi le rivolte, anche le più piccole e ricordiamoci che i “futili motivi” non esistono in luoghi in cui ogni piccolo diritto è stato conquistato negli anni, dai prigionieri, con lotte, sangue e anni di galera”
“Il potere centralizzato – come le sue metropoli – è guidato dall’asocialitàe non può perciò criticare realmente l’asociale non autorizzato, dichiarato delinquente.
Semmai lo crea, per usarlo in un tragico gioco di maschere.”
[da Il falso e l’osceno, A.M. Bonanno]
“L’abolizionista sarà perciò anzitutto un anti-settario, un amico della verità perché il suo primo compito è quello di far cadere il gioco delle maschere, ridare valore alla realtà smontando le rappresentazioni dietro alle quali si nascondono gli autoritari i quali proiettano le loro insicurezze e ambiguità sui capri espiatori: i delinquenti non-autorizzati stabiliti dal sistema penale.Sentirsi completamente diversi dal delinquente è infatti comodo fino al punto di poter essere ancora più delinquenti di lui.Spesso lo si inventa del tutto: molti giovani puniti per uno spinello esprimono magari con quell’atto e i riti che lo circondano un bisogno di socialità che non sanno come realizzare altrimenti, ma comunque più elevato di quello presente in chi li condanna.Inoltre, le masse addestrate a colpevolizzare i capri espiatori oggi minacciano i loro stessi improvvidi maestri della classe dirigente. Non basta più loro avere in pasto i delinquenti indicati dal sistema penale. In Belgio c’è già qualcuno che stabilisce l’equazione classe dirigente =pedofilia; da lì nella testa di qualcuno ogni omosessuale viene confuso con un pedofilo aggressivo e si diffonde l’uso della denuncia anonima contro il vicino «strano»..Essendo la colpevolizzazione un processo di semplificazione interpretativa, si estende con facilità. Il sistema penale alimenta se stesso cooptando masse per favorire una nuova fase del potere centralizzato. Non è un disegno, è una prosecuzione della propria logica per forza d’inerzia, il risultato di una autodifesa ai limiti dell’inconscio in una fase storica nella quale il potere centralizzato va in pezzi. Il proseguire come ieri in un contesto che non è più lo stesso aumenta all’inverosimile la ricerca dei capri espiatori, rischia di dar corpo ai fantasmi fino al rovesciamento completo della realtà, in un meccanismo fatalmente cannibalesco.Un giudice francese diceva recentemente, tra l’analisi e l’auspicio, chel’800 fu il secolo del legislatore, il ’900 dell’esecutivo, il 2000 sarà forse il secolo dei giudici.. si paventa il rischio di una «repubblica giudiziaria».Per superare questa tragica trappola mentale l’abolizionista dovrà perciò essere una persona capace di confrontarsi con il prossimonon in base alle sole idee dichiarate, ma in base a ciò che ognuno fa: opera su se stesso, quindi, prima ancora che sugli altri.Linguaggi diversi possono nascondere esperienze vicine, linguaggi simili possono mascherare esperienze lontane fra loro.Visto così il mondo ti si rivela in modo spesso originale. Tanti che credevi vicini ti sono lontani, altri che credevi lontani ti sono vicini.Non si possono più usare facilmente le ideologie, le parole come maschere che rinnovano un inganno il quale a sua volta rinnova la sofferenza el’ingiustizia.Perciò la soggettività del recluso è quel campo che il sistema penale deve ignorare e far ignorare a priori, organizzandosi come un mercante fuori luogo che pensa dimisurare, di poter rendere quantificabile la soggettività umana. Ma proprio questa consapevolezza è quel che può imparare per esempio ogni persona che finisca in galera. Atrocemente. Alcuni rimangono distrutti dalla disillusione. Altri, superando quell’inevitabile prima fase, sono meravigliati dalla sorpresa, sorpresa che può diventare una strada per una nuova percezione della realtà e perciò una preziosa resistenza alle sofferenze.”
[ Dei dolori e delle pene, V.Guagliardo ]
Ecco che, oltre ad informarsi su cosa vorrebbe imporre ogni articolo di Legge, sarebbe il caso interrogarsi “sul perché”.. ed in particolare, su chi o cosa si voglia colpire ed al contempo ottenere, quindi in che tipo di quadro governatico si inserisce quella specifica recrudescenza. Cosa davvero vi si sia dietro la sua affermazione forzosa, al di là di qualche dato pretestuoso, e se sia davvero qualcosa di inevitabile in essa, o che piuttosto occorre contrastare, e quanto questo sia necessario.
Soprattutto, si osservi come lo stesso stralcio in giuridichese permetta, a cominciare dalle forze dell’ordine in cui ci imbattiamo nelle strade, di ampliare, nei fatti, la propria arbitrarietà.
Sarebbe semmai allora da capire come non concedere tutto ciò, ossia cosa esse non possono negarci, distorcere e strumentalizzare che riguardano invece le nostre esperienze individuali, anche profondamente intime.
Quindi, come metterle a confronto per ragionare sul nostro presente senza concluderlo in una limitazione del nostro agire? Quali strategie possiamo sperimentare contro quello stesso piano preventivo di livellare le prossime generazioni all’impossibilità di rendersi autonome?
Ci preme quindi raccogliere intanto alcune casistiche in cui ci si può ritrovare persino nel momento dello svago, spesso considerato distinto da quello di una lotta, perché possiamo poi arrivare a ragionarne insieme in momenti dedicati.
CONTATTACI SE VUOI CONTRIBUIRE!
Innanzitutto, ci stiamo preoccupando delle dinamiche di attuazione degli articoli di Legge che attaccano le nostre stesse vite a partire dalla nostra serenità famigliare ed economico-lavorativo, ma non meno gravemente incrinano quella relazionale nel suo complesso.
Un anno e mezzo fa abbiamo cominciato a chiedere a qualche avvocato come affrontarle,
partendo per cominciare da quello che l’articolo 633bis ci pone davanti come scenario facilmente verificabile.
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COSE DA EVITARE DI DIRE ASSOLUTAMENTE :
non rispondere MAI a: “Chi ha organizzato/Sai chi è stato?”
od altre simili dichiarazioni infamanti.
“Non ne ho idea, sono arrivatx qui mi è sembrato di sentire della musica”,
COME RISPOSTA SE LA POSSONO FAR BASTARE!!
Presenza di digossini in borghese :
se vengono spinti via può essere resistenza a pubblico ufficiale,
dire “vattene” può essere minaccia a pubblico ufficiale,
se cacciano fuori il distintivo non puoi opporti.
PERCIO’
è importante il rapporto di forze, ed è un buon segnale se più persone si uniscono in calca
bloccando insieme il passaggio
anziché lasciare che sia solo qualche singolo a prendersi questo ruolo per vedere di allontanarli tramite contrattazione delle tempistiche, con autocontrollo rispetto alle possibili pressioni
ma anche aiutandosi a gestire la situazione in caso di abusi:
meglio una massa attenta che si responsabilizza reciprocamente
piuttosto che lasciare poche persone da sole con le guardie!
Se si riesce a non dare loro pretesto di intervenire nell’immediato
(non solo evitando di attaccarli a gratis, ma anche non mettendosi a discutere tra noi,
cosa importantissima per non lasciar mostrare i punti deboli dell’organizzazione),
ricevere una risposta che pone resistenza in maniera unitaria e ferma non è una provocazione
ed anzi può metterli in soggezione e renderli più affabili.
come nel caso di rivendicazioni rispetto ad un andamento buono dell’evento
o di valutazioni ragionevoli per l’incolumità di tuttx di eventuali modalità di uscita.
È consigliabile dare i documenti quando espressamente richiesti
altrimenti possono portarti in caserma per accertamenti, in particolare tramite impronte digitali,
o possono creare la situazione per darti resistenza a pubblico ufficiale, a meno che non vi sia una situazione di scompiglio in cui potersi defilare (ma stando attentx a non venire ripresx in video).
A tuttx è comunque successo di non darglieli in varie situazioni,
ma occorre essere coscienti di cosa può succedere nei casi peggiori, onde evitare sorprese.
Si può essere identificatx eppure denunciatx solo successivamente: può passare anche un anno.
L’ applicazione del Decreto consente l’arresto in fragrante
e l’autorizzazione alle intercettazioni,
il che comporta il rischio di ricevere un numero maggiore di anni di condanna.
_Chi è incensurato rischia di meno,
con un rito abbreviato si scende subito a 2 anni e poi si gioca la condizionale.
_ Chi ha un rischio maggiore non deve per forza fare la scelta processuale di altrx indagatx.
Un soggetto partecipante
rischia essenzialmente ciò che rischiava prima andando a una TAZ,
anche se bisognerebbe tracciare di nuovo gli elementi giuridici da conoscere se si attraversa
uno spazio liberato a rischio sgombero (:possibilità di “procedimento penale per occupazione”).
Nell’articolo 633bis ad essere attenzionata è piuttosto la figura di chi organizza/promuove.
_ In termini comunicativi, ciò si riferisce a chi crea ed organizza chat apposite e momenti assembleari dedicati. Non è perciò da escludere sia identificato così anche il partecipante attivo, o chi diffonde/gira il flyer.
_ Chi si occupa del rapporto con le guardie e con l’esterno
può essere individuato come promotore.
(…)
Possono ad ogni modo verificarsi denunce affibbiate a caso per trovare qualche capro espiatorio.
_ Anche nell’affrontare le spese legali puà risultare più accollabile
che il donto corrente dove arrivano soldi sia stato definito dopo l’avvenimento,
mentre il fatto che si usi un conto creato in precedenza
può essere integrato tra le attività dell’organizzazione.
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Comma 2
Sulla confisca obbligatoria :
_ Chi concede il noleggio non può stare nel luogo dell’evento, e la persona che ha affittato un impianto o strumentazione varia viene annoverata automaticamente tra chi organizza.
Si salva insomma il sound ma non il soggetto firmatario.
Se un pezzo dell’apparecchiatura è dello stesso modello/serie rispetto a quella che si scopre possedere in casa propria ciò non costituisce una aggravante,
a patto che non ci sia prova che io l’abbia assemblato.
Questo pretesto si rivela però utile se dovesse servire a scagionare unx amicx:
in questo caso il rischio è di sequestro preventivo, giusitificato per il “tentativo di istigazione”
(il che fa notizia, che è ciò che interesse de del Governo, anche se non viene applicato il Decreto).
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ASPETTI POLITICO-PROCESSUALi DA POTER CONSIDERARE :
Dimostrare una parcellizzazione/divisione orizzontale dei ruoli
può quindi scorporare l’ambito dell’inchiesta sulla “promozione del reato”.
Cominciare a ragionare in termini collettivi,
“SIAMO TUTTX ORGANIZZATORI/ORGANIZZATRICI”
è un buon punto di partenza per complicare il lavoro processuale e destituirlo di senso, opponendogli quello di una RIVENDICAZIONE COMUNE.
In tribunale c’è la possibilità anche di parlare solo di evento musicale :
il che è una “pecca” per qualsiasi percorso di lotta inerente in atto,
in quanto si mostra di non essere prontx a rivendicarselo.
Di conseguenza, ciò lascia sottintendere che
non si mette l’ accento sull’ uso consapevole
qualora vengano fatte altre accuse sull’andamento di detto “evento musicale”.
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COME SI POSIZIONA LA RIDUZIONE DEL RISCHIO DA SOSTANZE :
Deve esistere una circostanza oggettiva che comporta un pericolo concreto
per la violazione della normativa sugli stupefacenti (accertamento probatorio),
il che è complicato da dimostrare per gli eventi in cui ci si dota di Riduzione del Danno/Rischio.
In tribunale si può portare il fatto che: c’è un pericolo ( astratto ) sull uso di sostanze,
ma il carattere di autogestione a riguardo proposto significa anche che si sta già operando per evitare quel pericolo.
Invitare i servizi istituzionali e ufficiali di RDR tipo unità di strada è funzionale perché adempiono alla loro missione lavorativa, ma attenzione a non lasciarsi sovradeterminare nelle pratiche
(soprattutto quando vi una ingerenza degli operatori delle ambulanze che non hanno dimestichezza con la tipologia di effetti e le controindicazioni che si possono generare, soprattutto nella reazione emotiva e per il rischio di venire denunciatx dai servizi, che comporta l’intervenire preventivamente e senza la valutazione di un collettivo di Riduzione che sia autonomo).
Scrivere e connotare dunque il posto dicendo che c’è RDR è quindi tattico
perché funge, in ambito di “sicurezza”, da autodichiarazione legale,
oltre a costituire un’orientamento utile verso pratiche di autotutela collettiva.
Pulizia dell’area dai propri rifiuti :
Se si porta l’ immondizia con il furgone possono rompere molto il cazzo per i rifiuti
ma in realtà ancora di più se vengono lasciati.. la scelta qui è di principio.
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Per molti aspetti ci troviamo oltremodo in ritardo quanto alla quantità di spunti che invece avremmo avuto da poter condividere per non finire a desistere dal portare avanti progetti illegalisti e per non dover ripiegare sul rispetto di forme di musicale autorizzate. Queste ultime, per quanto cerchino di mantenere vivo il fermento, e su certi aspetti possono costituire un varco d’incontro verso scelte più radicali,
rimangono tuttavia avviluppate il meccanismi commerciali
(il che non va ridotto solo ad una questioen di genere musicale e sarebbe interessante aprire dibattiti piuttosto che continuare a non voler affrontare il problema facendo come se si fosse trovata la soluzione nei club: può essere sollevante per qualche tempo, o per chi ha già perso molto, e sui motivi delle scelte personali non si può certo generalizzare, ma la situazione attuale non è rosea nemmeno per chi ha cercato di mettersi in regola).
Si vuole davvero dissociarsi da prospettive di lotta?
O si sta reagendo in maniera un po’ indotta, ma come autotutela?
Il rischio è di finire a ragionare solo per qualche convenienza momentanea
e in fondo solo autoriferita, come se la propria passione diventasse una carriera qualunque arrogandosi brevetti artistico-spettacolari persino quando si pesca ancora da quello stesso immaginario per cui il muro di casse è stato e vorrebbe poter continuare ad essere un totem che permette semmai di superare parecchie limitazioni solitamente tipiche della dimensione egoistica, i cui meccanismi alimentano al contrario modelli di competizione e disgregazione sociale. E la separazione tra ideali e pratiche è una ipocrisia propria della struttura liberale.. Esiste ancora una differenza?
C’è ancora qualcosa da salvare che non sia stato già strumentalizzato da chi ha avuto meno cura di quei valori che in ogni ambiente di traveller e squatters si cercava di riunire?
Ci lamentiamo di venire repressx proprio mentre compartecipiamo a questo andamento accettando di tirarci indietro, magari additando chi avrebbe ancora un portato ribelle di essere un problema e lasciando passare il concetto tutto coloniale che la resistenza agli sgomberi si lasci intendere come una provocazione, quando l’unica vera provocazione è proprio quella legale(!) nei confronti di chi semplicemente cerca spazi di vita in cui potersi ritrovare.
E ad un certo punto della propria vita, anziché pensare di trasmettere qualcosa ax più giovani, si pensa al movimento stesso solo nei termini di ciò che si è investito per se stessx,
molto spesso ormai solo sulla propria stessa immagine,
fino a sentirsi praticamente in diritto di vendere il futuro
del proprio ambiente. Quello che succede in realtà in questi casi non è nemmeno frutto di scelte così ragionate, ma
un meccanico adeguarsi che accade prima o poi – spesso anche fin da subito – a qualunque scena nata da fermento sottoculturale.
Non c’è da stupirsi né da fare le morali, una volta compreso come funzionano le cose.. Ed in effetti nel ’68 ci avevano già avvisatx di stare attentx a non confondere con l’emancipazione
“dal sistema” il processo d’alienazione che stava iniziando a insediarsi non piu solo attraverso il lavoro espropriato, non più primariamente nel settore industriale, e nemmeno più stabilizzando questo processo nei vari piani dell’esistenza quotidiana.
Un’alienazione degli individui dalle lotte per i propri principi, e quindi dalla proprio stessa vita, che si è completata spesso proprio con la solita persecuzione poliziesca dei movimenti
e l’annichilimento carcerario di alcune prede sacrificali accuratamente selezionate.
Sarebbe interessante anche su questi punti approfondire insieme, per chi volesse, in modo da sbrogliare una serie di matasse, come la convinzione che adattarsi e rinunciare a tutti quegli ambiti che non ottengono il permesso istituzionale e la copertura giuridica sia un andarsela a cercare, un’ingenuità adolescenziale.
Quando poi magari si facevano bravate ben peggiori fino al giorno prima, solo che non faceva scalpore sui notiziari perché mancavano i presupposti per formare un clima di paura,
in cui le fdo sentano aumentato il proprio potere.
***
Crediamo davvero che queste dovrebbero eseguire indisturbate?
Che l’autorità non si possa contestare?
E che l’aggravarsi delle Leggi dipende da chi reclama e difende un certo stile di vita invece di nascondersi o cedere del tutto?
Se chi acquisisce consapevolezza e comincia ad agire viene percepito addirittura con orrore, siamo di fronte a cervelli completamente imbevuti di propaganda statale. Chi ci toglie il futuro, a quel punto? Avere lo stesso sguardo delle direttive penalistiche significa essersi già consegnatx alla repressione..!
Cosa troviamo allora, nel presente? Le storie degli indivualità e dei popoli in lotta, ma innanzitutto la necessità di fare analisi dello “stato dell’arte” del nostro posizionamento nel mondo. Noteremo mancare una parte di presente, proprio quella che ci è già stata sottratta preventivamente, che da precedenti Governi è stata quindi consegnata alla norma, finendo col modificare le abitudini e le aspirazioni collettive.. Spesso, persino le opinioni.
Un presente che non ritroviamo possibile come lo sarebbe stato invece 10, 25, 50 anni fa. E la responsabilità di ciò che ci resta ha riguardato tuttx, compresx i nostri genitori..
La rassegnazione generalizzata in cui ci troviamo impantanatx ad ogni colpo dei poteri amministrativi e della logica securitaria
ci insegna quindi che la repressione ha colpito concretamente attraverso il senso comune nella ritirata all’ordinario e
la corruzione o il sotterramento dei sogni di chi ci ha precedutx, e forse più inesorabilmente di quanto non abbia eliminato fisicamente con i tribunali di Giustizia coloro che dimostrassero di non avere paura. Su chi hanno vinto, in questi termini,
le rappresaglie punitive? Se pensiamo alla parte della nostra quotidinità che invece può dirsi “fortunata”, chi ce li ha fatti poi trovare belli pronti tutti quei diritti che ci sconvolge vengano ritoccati in continuazione dalle poltrone parlamentari?
Si pensi ai martiri di Chicago, 8 anarchici impiccati, condannati non a caso come capro espiatorio al fine di ridimensionare le sollevazioni ottocentesche che il vento dell’internazionalismo stava diffondendo. La routine ai tempi riguardava fino 12 o 16 ore al giorno, anche per i minori, sotto gli obblighi padronali.
Le proteste sindacali ne reclamavano 8, quelle attuali. Questo è solo uno dei miglioramenti più lampanti e riconosciuti in tutto il mondo che possiamo considerare, nonostante gli eccidi che subirono moltx ribellx non vengano affatto ricordati.. Eppure pensate se le maniere in cui vennero uccisx avessero fermato le rivendicazioni!
Vogliamo veramente lasciar passare quella retorica infame che ogni volta continua a riprodursi in maniera sempre più inflitrata, fino cioè a sovradeterminare e distorcere il nostro sentire comune, ossia quella per cui storicamente chiunque sia finito sotto il gioco giustizialista sia stato unx pericolosx bombarolx isolatx, unx presuntuosx estremista, unx esaltatx visionarix, unx perfettx incapace di adattarsi alla “realtà”?
Come si finisce a non riconoscere quanto la rabbia e spinte anche violente siano legittime contro le oppressioni istituzionali e i loro metodi di soffocamento delle lotte e delle azioni stesse?
E pensiamo davvero che svalutarle a nostra volta
ed evitare di manifestare in quali problemi concreti ci imbattiamo sia la maniera che li fa magicamente sparire?
O non stiamo forse solo lasciando che sia qualcun altro a decidere in cosa possiamo credere e aspirare?
Il fattore economico che rende commercio ogni cosa che possiamo definire fruibile,
governa, di fatto, la gerarchia tra classi sociali.
Il momento in cui cò diventa evidente, come una falla di una nave che a un certo punto imbarca acqua, è quello della ristrettezza, dell’inconveniente o del torto subito, qualcosa di materiale insomma che manda in crisi ogni altro piano dell’esistenza.
La repressione funziona come strategia statale, fondamentalmente borghese, calcando esattamente su questo assillo della carenza e di privazione ogni qualvolta si temessero proteste o non vi fosse più la disponibilità ad accettare rappresaglie sui ribelli e stragi, celate o meno, nei confronti della popolazione.
***
Se non siamo abituatx a ragionare in termini organizzativi,
ma solo per ideali e con un senso di appartenenza fondato sullo svago, diventa via via più complicato elaborare insiemeq ualcosa che possa farci evadere da meccanismi securitari ormia inerziali, e si fa presto a ricrearli nei paradisi artificiali se nella nostra esperienza diretta in quel lasso di tempo libero non si cerca di rendersi indipendente da tutta una serie di ricatti confezionati ad hoc, in primis quelli economici.
Per non divenire definitivameente un prodotto, a nostra volta, della distopia in cui viviamo, non basta fuggire. Salverà magari il proprio culo, ma non la dimensione di evasione organizzata che abbiamo sperimentato e che viene attaccata a pretesto dalla propaganda, come ultimo colpo di spugna ai vagheggiamenti movimentisti rimasti ormai esangui per non aver riconosciuto le opportunità di sostenersi nella lotta quando si presentavano, ed aver preferito la ritirata invece di trasmettere il proprio vissuto a chi poteva prenderne il testimone, commisenado le ultime generazioni in maniera nostalgica senza assumere di essere corresponsabili di ciò che rimane. Perché la difficoltà ad affrontare le imposizioni reazionarie, qui in Italia come altrove, non è solo una questione di averci la Meloni al governo. É una fantasia astorica pensarlo, quando abbiamo avuto decenni di colpi pesantissimi alle lotte su ogni fronte ed area politica variamente espostasi dal basso, e se ora facciamo finta di non sapere e non vedere, di non ricordare, siamo direttamente complici di queste ultime sistematizioni normative e del loro gioco propagandistico.
A parte la banalità di base, che tuttavia non sembra essere molto implicita nei discorsi da after, percui in larga parte sono stati i Governi di Sinistra a far fuori parecchie istanze e soggettività scomode, fino a che la mania del politicamente corretto e dell’orrore per il contraddittorio e la critica,
come se gli approcci consensuali dovessero vivere di omologazione alla maggioranza anziche darsi strumenti
per ridare il giusto valore ad ogni nostro (bi-)sogno, quindi non lasciare indietro nessuna lotta
(non farsi complici di altre oppressioni invisibilizzate, insomma).
Se i metodi che ci offriamo in tempi di buona aiutano da una lato a gestirsi situazioni molto partecipate e prendere un po’ di respiro, viversi l’arte e una dimensione di socialità che non richiede la fatica di scavare e di redistribuirsi le responsabilità, il fatto che diventi l’unica forma che abbiamo di prendere decisioni e dello stare insieme si presta a diventare perfettamente funzionale a meccanismi produttivi e civilisti che vanno ben oltre la nostra autonomia, gettando le nostre prospettive più rosee nella solita salsa democratica che ha fatto andare a male tutto il portato conflittuale che si era faticosamente riuscitx a non far cadere nell’oblio tra i vari scazzi interni e passaggi alla disillusione.
Questa digressione per sottolineare come ciò che in periodi di abbondanza di esperienze abbiamo invece raccolto, persino nel momento della ritirata dovrebbe poter servire a fornire qualche scorta di consapevolezza per meglio resistere alle avversità.
Se invece ad ogni ostacolo precedente si fosse persa la mappa di fonti e granai, se ci siamo fattx la guerra tra poverx invece di preoccuparci di pensare a ripensare le posizioni difensive di fronte allo spettro del fascismo (che a dirla tutta non se n’era mai andato, semplicemente non vi stava riguardando direttamente, e pensavate di poter continuare in spensieratezza, su quella linea egoistica al ribasso e probabilmente non molto avveduta in cui ci si preoccupa di salvare soltanto la propria immediata condizione senza riflettere in maniera condivisa le conseguenze che possono verificarsi, senza prendere atto quindi che quando si tratta di un sistema di dominio non c’è convivenza pacifica che possa ritenersi estranea ai momenti di crisi generalizzata, ed anzi è più facile che si rimanga completamente spiazzatx, disorientatx, e allora certo chi lotta può ben apparire senza senso e senza speranza.
Ma non vi renderà più furbi arrivare a pensalo per non dover sentire qualche responsabilità addosso. Per dirla in metafora, è come se tra le vecchie isole nella rete ci si ritrovasse via via o a vendersi alle direttive globaliste, concedendo che non si riconosca nemmeno più il concetto di isola, men che meno liberata, oppure a ritrovarsi con alcunx tra noi che scappano con il poco di tesoro rimasto, o altri che con le mappe rimaste ci si fanno la carriera e lasciano quelli che ancora ci credono come dei poveri coglioni a lottare da soli.. e ci deridono pure perché ci proviamo, contribuendo insomma come il peggio lettore medio del Resto del Carlino a far attecchire il lato oscuro della repressione, quel rinculo di perdita di continuità e fiducia reciproca che agisce internamente ai movimenti…. e in tutto ciò magari si danno ancora arie di aver vissuto i tempi d’oro.. forse erano giratx dall’altra parte mentre qualcunx ci stava mettendo una parte di rischio per loro… o semplicemente non possono ammettere che non sono più in condizioni di poter vedere oltre in questo orizzonte.. ed è forse proprio questo atteggiamento apparentemente innocuo (anzi considerato avveduto) il punto di non ritorno, di annebbiamento cautelativo, di impossibilità normalizzata..
Insomma il punto di quella consegna dei soggetti alla nostalgia ed al rimpianto che ci impedisce di ridefinire i nostri orizzonti collettivi.
È precisamente qui che la repressione ha vinto:
non mentre perseguita e tortura chi prende nel mucchio.
……………………
senza che vi sia una corrispondente disponibilità alla solidarietà, tremendamente necessaria in questi casi perche le istanze libertarie non soccombano definitivamente (il fallimnto delle lotte si gioca proprio su questo elemento, non sulla quantità o durezza di colpi repressivi inflitti). Non è bastato ai paesi di matrice capitalista, perché le lotte continuavano.. ed anzi, persino per recuperarle e distorcerle i codici di Legge che proteggono lo Stato e la sottrazione di risorse alla popolazione per redistruirle in maniera iniqua, hanno dovuto concedere quei diritti umani talvolta che costituiscono la carota avanti il bastone, ma che tuttavia conoscendone la storia ritroviamo essere una conquista di sollevazioni popolari, non certo un regalo di magnati detentori di monopoli. Ma quando questa memoria si perde, quando sfugge come certe passaggi risolitivi siano stati premessa per un condizionamento ulteriore, quindi un’estensione della gabbia, e viceversa non si riconosce che certi maritirii per quanto affatto auspicabili non sono stati invano proprio perché le collettività erano ormai pronto a non indietreggiare, acombattere la paura stessa, che è lo strumento principale di ogni premessa e conservazione dittatoriale, a meno di non accettare di esserne invece complici. Questo avviene ttraverso un’opera di recupero di queste stesse istanze confondendole con le promesse liberaldemocratiche dei paesi occidentali, d’autoimprenditorialità anziche una spinta emancipativa che riguarda tuttx, sia chi abbia la disponibilità economica di comprare e gestire un Sound System, sia l’ultimx arrivatx scappatx di casa, da lavoro, o dalle istituzione, e che magari ha avrebbe la sua da aggiungere senza doversi sentire inadeguatx solo perché si pensa gli anni d’oro siano finiti.
Questo atteggiamento talvolta nonnista, altre volte nostalgico, o comprensibilmente toccato dai peggioramenti che i vincoli penali e nondimeno, quelli amministrativi, comportano alle singole vite, proprio sfruttando il beneplacito dell’opinione comune attraverso propaganda reazionaria.
Prima che ci si dia per vintx e che si disperda del tutto energie vogliamo provare a fare il punto non solo di come vengono ritoccate le norme per facilitare la discrezionalità con cui si possa subire denunce e processi,
ma a capire in che modi esse mirino a salvaguardare mica tanto l’ordine pubblico, ma una serie di elementi che se ne servono
e su cui il potere statale e quello industriale si basano.
A partire da un concetto di proprietà privata fine a se stesso, palesemente grottesco in tutti quei casi di aree in disuso ed immobili lasciati all’abbandono, carcasse che mostrano i fallimenti di vecchie stagioni di investimenti,
fino a quello ad una indicizzazione delle sostanze stupefacenti, tesa a eliminare proprio quei circuiti di aggregazione che nonostante tutto si mantengono lucidi nella lettura della realtà, la cui offerta “stupefacente” ha un richiamo ben diverso da quello del riempimento della noia, cercando di mantenere al loro interno un’ottica il più possibile critica dell’assuefazione commerciale.
Per quanto in larga parte si ceda inesorabilmente ad alcuni tipi di monopolio che vengono immessi nel mercato comune, non di rado proprio da funzionari statali (il che è certo più una questione di prassi privilegiata, non di casi isolati di corruzione), negli anni i circuiti in qualche modo alternativi e indipendenti hanno permesso di sviluppare pratiche di autogestione che permettono di evolversi di fronte alle problematiche che riscontriamo.
Pratiche altrimenti inimmaginabili nell’ambito del divertimento per profitto, come neppure in quello dei servizi sociali.
E questa differenza qualitativa si conferma ogniqualvolta si riesca a prendere lo spazio
per poter affrontare le tematiche ci ci riguardano. Essa infatti si sviluppa primariamente tramite partecipazione attiva,
e non invece nella contrapposizione tra una buona equipe organizzatva cui però si contrappone una sorta di pubblico pagante eppure proprio per questo, per abitudine, al contempo passivo,
che si presta cioè a svuotarsi della propria individualità e quindi si adagia ad un format, non è stimolato a portare il proprio contributo a seconda di ciò che viviamo e possiamo condividere..
Anziché ricorrere alla delega ed approcci delatori, di conseguenza all’intervento di Servizi che applicano standard, innanzitutto,
e proprio perché sottostanno a quel concetto impregnato di positivismo liberale ed umanamente vuoto di “ordine pubblico”,
non tengono in considerazione il vissuto delle persone, bensì segnalano la percentuale di devianza che queste finiscono a rappresentare entro una scala di adattabilità normativa.
Si alimentano così forme di autocolpevolizzazione e fallimento
o di fredde diagnosi di matrice scientista, da un lato,
quanto di stigmatizzazione ed esclusione sociale, dall’altro.
Quando invece negli anni, se anche certe abitudini connesse alle chimiche hanno finito per togliere concreta forza a molte lotte,
abbiamo sperimentato sulla nostra pelle e sulle nostre relazioni che non sono affatto i maggiori controlli né intere stagioni proibizioniste a non far “degenerare” le situazioni.
La gestione dell’ordine pubblico non è che il pretesto perbenista e totalmente speculativo attraverso il quale le gerarchie governative sottraggono alle comunità le capacità decisionali,
di organizzazione e di eventuali interventi che siano ragionati e confrontati localmente dax direttx interessatx.
Storicamente colpisce chi protegge i propri territori o chi si è presx da sé ciò che il benessere sembrava promettere,
proprio mentre ce lo toglieva alle fondamenta.
Indicizzare in maneira punitiva il mondo dei free party
è in questo senso la tappa finale di due secoli di pulizia che è stata in primo luogo etnica, per divenire classista,
usando all’occorrenza la morale proibizionista come corollario.
Non a caso appunto possiamo trovare più connessioni con la repressione delle occupazioni che con la regolamentazione dei locali da pubblico spettacolo, ma ciò non significa che questi non possono venirne indirettamente colpiti, anche se ora pare che le aspettative si siano riversate in quelli.. Già le modifiche peggiorative al Codice dell Strada lasciando intendere che il piano è ben più economico e di rivisitazione dell’indiscutibilità delle autorità anziché morale, e ricade sui movimenti giovanili primariamente per la difficoltà che questi hanno a sostenere una qualche autodifesa, divenendo ancora più ricattabile su ogni aspetto della propria vita. Invece, come poi nell’ambito di vasto dei Decreti Securitari, pare al solito alquanto difficile che possano rimetterci coloro che rivestono ruoli di privilegio o possa permettersi di pagare ammende per simili provvedimenti.
E proprio qui sta il punto:
non rispetto a fattori di presunta o comprovata colpevolezza,
bensì sulla capacità di comprendere le dinamiche legaliste;
di tutelarsi da esse, soprattutto dalle applicazioni arbitrarie; di non lasciarsi ridurre dal timore ad un range comportamentale confezionato da ciò che le direttive man mano pretendono spersonalizzando completamente la storia di ognunx di noi e fungendo da cavallo di troia per disperdere percorsi di autonomia; di riorganizzare una capacità di opporsi alle ingiustizie.
Perché di base stiamo parlando di norme che perpetrano ingiustizie (per quanto rese appetibili all’elettorato democratico).
Lo studio dell’avvocato a cui ci siamo rivoltx si è occupato
non a caso della difesa di occupazioni abitative, in particolare di famiglia migranti.
***
Se gli strumenti di cui ci dotiamo possono costituire una maggiore tutela, la sicurezza 100% non è realistica.
Anzi è proprio lo stesso concetto di sicurezza, soprattutto se preteso come totalizzante, del quale non vogliamo farci vittime e contro il quale sentiamo doverci difendere.
Tanto la sua teorizzazione politica che la sua stretta applicazione, inevitabilmente dipendente da rapporti di forza, risultano eticamente ambigue e pragmaticamente affatto risolutive, in quanto comporta dinamiche di controllo che storicamente hanno già avuto conseguenze nefaste.
Si potrebbe ribattere a proposito che i movimenti di lotta a vari livelli di coinvolgimento, anche superficiali, nondimeno comporta rappresaglie propagandistiche e incarcerazioni per le quali è a tutti gli effetti stata buttata via la chiave. Ma questi effetti sono dipesi allo stesso tempo dalla capacità di fare fronte comune o meno, come di ripensare i propri metodi senza dover stare sempre solo in difensiva.
Qui si tratta di permetterci invece di eludere ciò che presentandosi come normativa civile e rassicurante perpetra in realtà precisi processi repressivi ormai secolari.
La forma amministrativa e non necessariamente penalistica non è da meno di quest’ultima nel momento in cui le apre la strada stabilendo criteri di tolleranza tra i rapporti ed i comportamenti sociali. Quando questi attecchiscono nella mentalità comune senza che se ne discuta tra individui e comunità di riferimento, l’allerta da mantere è che possano estendere logiche di sorvegliante, delazione, sfiducia nello straniero, nel diverso o, o semplicemente verso chi non si omologa del tutto rispetto alle proprie scelte (o non scelte..), a partire dalle filiere di oggetti di consumo che pare conveniente proibire, fino alla criminalizzazione delle lotte.
La cultura del dominio e dello sfruttamento avanza precisamente attraverso quelle, questo è “pacifico”, o meglio fa parte di strategie di pacificazione sociale tramite cui la rimozione del conflitto evolve grazie alla fabbricazione di consenso (ricordando Chomski ai tempi di Seattle). Così come in area anarnchica non si fa nemmeno in tempo a diventare bombaroli che già si viene defenestrati per l’analisi puntuale a proposito delle insidie governative
e la capacità di riorganizzare la solidarietà.