Teheran sotto le bombe. Contro il terrorismo degli apparati imperialisti, l’urgenza delle testimonianze individuali

Con l’aggiunta di un incipit sul valore che le testimonianze dirette assumono nel far emergere concretezza in ogni ambito di lotta, e nondimeno nel contrasto agli interessi imperialisti, riportiamo una delle prime comunicazioni che dopo i primi attacchi in Iran sono trapelate grazie a precedenti contatti internazionalisti rivoluzionari. Si tratta di testo pubblicato sull’estensione online di Le Père Peinard (settimanale anarchico fondato nel 1889 da Émile Pouget) e condiviso in questi giorni da vari canali controinformativi anarchici libertari.

Non si ritenga mai ridondante amplificare il raggio di consapevolezza in chiave politica dei vissuti personali, come non possiamo permetterci di pensare che sia superfluo incarnare le nostre rimostranze nei confronti di n conflitto che si allarga come una nube tossica. Anzi, è sempre vero il contrario, cioè che il passaparola sulle azioni e le testimonianze dirette si rivela un esercizio necessario, Anzi, è sempre vero il contrario, cioè che il passaparola sulle azioni e le testimonianze dirette si rivela un esercizio necessario.. persino a prescindere da qualsiasi calcolo strategico di propaganda o sulle conseguenze repressive sulle proprie vite.

Una necessità che emerge al di là che si possano fare pronostici sull’influenza delle nostre comunicazioni su schemi di vincita o perdita, soprattutto quando si ha a che fare con ingiustizie sociali, ma certo riguarda il darsi forza a vicenza, tutta un’altra dinamica. Solo non perdendosi di vista e contribuire a prospettive autogestite possiamo evitare il peggio. Non può invece divenire affar “nostro” ridurre il proprio sentire e le esperienze che abbiamo da trasmettere a dei ben congeniati bluff securitari ed al trovarsi sotto scacco soltanto in base all’idea di inevitabilità del controllo militare; ome fosse una risoluzione insormontabile, come se anche il nostro pensiero ed agire soggettivo dovesse finire a dipendervi. Quando simili priorità politico-economiche attecchiscono, è proprio in quanto si accetta di rimettersi alle funzioni pianificate, di distoglierci da ambiti di profondità critica, di intimità con le proprie collettività. Ciò è funzionale ad estendere disinteresse ed estorcere un distacco emotivo, si passa ad instaurare la dissociazione politica ad un livello interiorizzato di giudizio sulla realtà. Quando anche la capacità di elaborare in modo personale un fatto pubblico viene a mancare, non significa che ci siamo evoluti dalla teoria dell’amiocugino, ma che abbiamo introiettato processi di oggettivazione tanto da non poter ragionare al di fuori di quelli. Da dominati si finisce quindi per venire trasformati in complici della dominazione. Non è un caso infatti che uno Stato come Israele, con la sua leva militare obbligatoria e le sue università aperte alla bioingegneria, si possa spingere ad estendere un genocidio per 47 anni. Non solo il pretesto etnico del sionismo, ma l’interpolazione tra le priorità aziendalistiche e l’intransigenza di una disciplina militare costituiscono il perno di questa come di ogni guerra tra Stati.

Il boicottaggio degli acquisti da produttori e distributori coinvolti in questo cacro capitalistico e nazionalista, per esempio, può quindi ancora costituire una forma di solidarietà alla portata di chiunque che se anche non portasse ad un contrasto di effettivo dei guadagni di certi colossi monopolistico (pressione che comunque a volte riesce ancora, come nelle recenti rivolte di Los Angeles contro l’ICE, dove la roesa delle strade ha comportato tali significative perdite economiche che è stata fatta almeno momentaneamente marcia indietro sul razzismo amministrativo); quantomeno, il boicottaggio vale oltre ogni valutazione statistica perche coinvolge il proprio quotidiano, interroga le sensazioni di bisogno, diffonde fuori da aule e gabinetti politici quelle seppur minime informazioni che occorrono per compiere scelte consapevoli. Così avviene per ogni forma di protesta, ed è questo scambio nel disvelamento di come si giocano le partite globali delle filiere speculative che aumenta il nostro grado di possibilità.

Al contrario, lasciare infiltrare lbiettivi di investimento e metodi di ricerca in ogni disciplina od attività senza mai porsi in correlazione coi soggetti oppressi, finché ci va bene, significa lasciarci condurre ad ambienti che si aggrappano a principi di regolamentazione alienata e che cadono nella giustificazione di schieramenti armati, significa perciò destinarsi fatalmente ad abbandonare ogni forma di resistenza prima ancora di rischiare di morire per mano delle subdole potenze gerarchiche in gioco.

A partire dagli ambienti civili, dalle comunità autonome che non possono sopportare di ritrovarsi complici, dalle formazioni militanti auspicabilmente antiautoritarie, da individui contro le stesse strutture che li inglobano fino a farlx prigionierx, ogni voce e gesto di ribellione che riesca non farsi schiacciare del tutto dalla coltre silenzio esportato dalle bombe ci richiama a considerare che soltanto prendendo e sostenendo scelte di campo che non si lascino determinare dagli assetti geopolitici neolib si possono realizzare concrete alternative alle guerre imposte, ai confinamenti e sistemi di sfruttamento instaurati attraverso di essa. Questa rimane l’unica prospettiva possibile dal momento che le mire imperialiste non possono rinunciare a determinare ogni luogo di produzione capitalistica: hanno bisogno che ci rendiamo pedine, evitare che ciò accada mantenendo saldi i propri percorsi di affinità è il primo passo per una liberazione dagli impianti di oppressione.

Certo la guerra è ovunque, la guerra è già qui. Anche per la pervasione con cui essa ci espropria delle nostre possibilità organizzative non dovrebbe suonarci tanto esotico considerare di doverci tenere unitx quanto di tratta della resistenza ad essa. I rapporti di forza dal basso possono germinare soltanto in base a ciò che osserviamo, in quello che attraversiamo, nelle fonti energetiche di cui usufruiamo, nella distribuzione i prodotti con cui ci ristoriamo,.. nel riconoscere che dietro tutto ciò sta proiettandosi soltanto l’illusione di poter scappare ad oltranza.

Lo scenario attuale si prospetta terribile non soltanto per i popoli saccheggiati dal profitto sulle loro terre (amate, che essi vi siano ancestralmente legati o meno), mutilati dei propri legami affettivi: le operazioni belliche e di scarto civile attraverso cui le promesse manageriali di stampo occidentale si rigenerano comportano non soltanto devastazioni ambientali e stragi di massa, ma spingono al crollo di ogni immaginario al di là dell’incombenza di logiche di morte, fuori e dentro i nostri sogni, tra un immagine di carcasse senza più una propria storia e l’altra. Ma ricordiamoci che lasciarci dettare il disinteresse verso il nostro presente come per essere statx intaccato da questi scenari equivarrebbe alla rinuncia di sé e di cosa vogliamo davvero.. sarebbe un permettere che si compisse non soltanto nei territori manipolati dai media e dagli investitori, ma dentro di noi, un abuso psichico, una rinuncia ad ideali di emancipazione. Rimane solo il consentito, che è purtroppo qualcosa che non sarà mai scontato.

Il bombardamento di notizie, che dovremmo sentire lontane mica per una questione di chilometri, ma per la classe di riferimento che le gestisce, è qualcosa che perdiamo energia nel tentativo di contrastare. Purtroppo finché non saremo prontx ad assumere posizioni chiare nel nostro quotidiano, la condivisione di notizie appare un modo per non perdere io quadro d’insieme, ma soprattutto il confronto con altre intimità che subiscono minacce e misure di contingentamento e privazione esistenziale, ma che al contempo combattono la paura che tutto ciò non si possa combattere.

La propaganda istituzionale e la gestione dell’ordine sociale cercano di scavarci la fossa servendo ad una rarefazione dell’opposizione sociale, a dissuadere le moltitudini superstiti dall’organizzarsi sollevazioni tra le macerie dell’ambiente invaso, ma è più specificatamente un ricatto alle tesorerie ed alle poltrone di governo sopra di loro, ed insieme una promessa progressista per le casse statali, che non si accontentano mai: è proprio in questa dimensione astratta che i soggetti di un genocidio non vengono usualmente nemmeno menzionati se non come somma, tra battute diplomatiche e provocazioni tecnologiche riportate su qualche testata di giornale. Ed in aggiunta a questa noncuranza tipica dei processi storici di spersonalizzazione delle masse (e quindi il divario tra il rimosso del loro potere d’azione nei confronti di una legittimità all’autonomia decisionale), abbiamo poi da districarsi tra le false connessioni del presente ora che la vecchia demagogia sta ormai cedendo il passo – che ha tutta l’aria di volersi imporre come il definitivo – alle intelligenze artificiali.

Non ci resta allora altro “di vivo da viverci” che dando valore alla comunicazione diretta di impressioni e analisi, così come l’espressione libera dei bisogni e delle disponibilità rispetto a cui potersi attivare. Questioni queste che non valgono nulla di fronte ad una contesa di confine etnico-religioso, e che non valgono nulla ancor più a confronto delle trattative sulle possibilità di fabbricare armi nucleari, sono invece la base del supporto qualcosa che se riuscissimo a moltiplicare.. può davvero fare la differenza anziché il rinunciare a capire cosa ci rimane od il rendersi inermi ancora prima di tentare.

 

Depuis Téhéran, une militante anarchiste témoigne des frappes israéliennes, du chaos quotidien, et du rôle que tentent de jouer les anarchistes entre guerre, répression et survie. Un récit poignant que j’ai traduit des larmes dans les yeux. Toutes mes pensées a ceux qui d’un côté comme de l’autre combatte pour la paix et la liberté ! Aux déserteur seul héros des guerres !

Chaos sans Frontières, 14 juin 2025

 

Traduzione di Boudjemaa Sedira:

Da Teheran, un attivista anarchico testimonia gli scioperi israeliani, il caos quotidiano e il ruolo che gli anarchici cercano di svolgere tra guerra, repressione e sopravvivenza. Un racconto toccante che ho tradotto con le lacrime agli occhi. Il mio pensiero va a coloro che, da entrambe le parti, combattono per la pace e la libertà! Ai disertori, gli unici eroi della guerra!

 

“Una notte di fuoco e confusione

Ieri notte, mentre dormivamo, Israele ha attaccato l’Iran. Gli attacchi hanno preso di mira Teheran, ma anche altre città. Ho sentito brontolii, ho visto lampi: ho pensato fosse un temporale. Niente faceva pensare a una guerra, soprattutto con le discussioni tra Iran e Stati Uniti.

Solo stamattina, attraverso il nostro sindacato anarchico (il Fronte Anarchico), abbiamo appreso cosa era realmente accaduto: molteplici attacchi, morti tra i civili. Sono uscito per indagare. La città era transennata. L’esercito e la polizia bloccavano l’accesso alle zone colpite. Bombe inesplose giacevano ancora negli edifici. In ospedale, mi è stato impedito di entrare e la polizia ha cancellato tutte le foto dal mio telefono. Secondo un giornalista presente sul posto, almeno sette bambini sono stati uccisi.

Alcuni piangevano. Altri – prevedibilmente – gioivano per la morte di esponenti del regime.

 

Il giorno dopo: un inferno senza allarmi

Nelle ore successive, ho visto scene apocalittiche. Il cielo era striato di missili. Il fuoco cadeva sulle strade. La gente fuggiva da Teheran: intere famiglie, giovani lavoratori, anziani. Aspettavamo aiuto sui marciapiedi. Feriti, ustionati, due morti davanti ai miei occhi. Nessun allarme. Nessun riparo. Niente.

I maxi schermi trasmettevano la versione ufficiale: la Repubblica Islamica aveva colpito Tel Aviv, Israele aveva promesso di reagire. Ho dei compagni lì. Anarchici, pacifisti, coloro che si rifiutano di servire. Non vogliamo questa guerra.

 

Una popolazione in modalità sopravvivenza

L’aria è inquinata: gli impianti nucleari sono stati colpiti. La gente sta inscatolando, accumulando scorte, fuggendo dalle grandi città… per poi tornare, in mancanza di alternative. Le strade sono congestionate. I media statali cantano inni e trasmettono menzogne. Unica fonte affidabile : Telegram e canali satellitari.

Le manifestazioni sono ancora rare. Troppa polizia, troppa paura. Ieri, davanti agli ospedali, le famiglie cercavano i loro cari scomparsi. Abbiamo urlato. Abbiamo pianto. Abbiamo resistito.

 

Nessun rifugio, nessuna evacuazione.

Le istituzioni rimangono aperte come se nulla fosse successo. Non ci sono istruzioni di sicurezza, né sirene, né centri di accoglienza. Le perdite chimiche sono probabili, ma non ci sono protocolli in atto.

Così, la gente diserta di propria iniziativa: le aziende chiudono, gli studenti si rifiutano di sostenere gli esami, i dipendenti pubblici restano a casa. Solo i servizi di emergenza sono ancora in piedi.

A volte mi sento ancora vivo solo perché Israele non sta (ancora) colpendo le zone residenziali. Ma gli incendi, le ricadute radioattive, i colpi vaganti continuano comunque a uccidere persone.

E non c’è aiuto. Niente. Nessun supporto umanitario, nessuna organizzazione esterna, nessuna medicina – e le sanzioni stanno già uccidendo da anni.”

 

Quattro Iran, una terra sotto le bombe

È importante capire che il popolo iraniano è frammentato:

1. Una maggioranza silenziosa, che odia il regime ma rifiuta la guerra. Sopravvive, fugge, piange i morti maledicendo i leader.

2. Gli islamisti, fedeli al governo, che parlano di martirio e vogliono vendicarsi.

3. I monarchici e i liberali, spesso filo-israeliani, che applaudono gli attacchi contro le Guardie Rivoluzionarie. 4. Gli anarchici e gli attivisti di sinistra, come noi: contro la Repubblica Islamica, ma anche contro Israele, contro tutti gli stati. Per la sopravvivenza, l’aiuto reciproco, l’autonomia.

 

Ma soprattutto, rifiutate le narrazioni semplicistiche. Non siamo né pedine di Israele né pedine del regime islamico. Non crediamo né nelle bombe “liberatorie” né nei mullah “resistenti”. Siamo intrappolati tra due macchine di morte e continuiamo a cercare, ancora e ancora, di costruire qualcosa di diverso.

Non c’è ancora un esodo di massa. Ma se la guerra si estende, le conseguenze saranno spaventose. Quindi, compagni, solleviamoci insieme. Non per sostenere una parte contro l’altra, ma per far sentire un’altra voce: quella della vita, della libertà e della solidarietà, contro tutti gli stati, tutti i confini e tutte le guerre.

 

 

Fonte del contributo:

https://www.leperepeinard.com/articles/teheran-sous-les-bombes-temoignage-dune-camarade-anarchiste/ 

Lascia un commento