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(Just one moment)

Tekno AntiRep – 12 Aprile 2025, Francia: tuttx in strada contro la repressione dei free-party

Riceviamo e diffondiamo l’invito a rilanciare e ad estendere la voce e le forme di solidarietà da fratelli e sorelle oltralpe. Nessuna barriera, nessuna volontà discriminatoria può fermare la nostra voglia di autogestirci e fare festa. Per info: Tekno AntiRep

 

[IT]

 

Il 12 aprile 2025, la cultura del free-party farà sentire la sua voce nelle maggiori città francesi con una grande manifestazione. La nostra libertà fondamentale di fare festa è minacciata, in un momento in cui l’estrema destra si sta diffondendo in modo contagioso nella nostra società.

A gennaio 2025, nel dipartimento dell’Hérault, in Francia, è stato emanato un decreto prefettizio che vieta i free party e il trasporto di strumentazione sonora per tutto l’anno.

Allo stesso tempo, un membro dell’Assemblea nazionale francese sta preparando un progetto di legge per elevare le sanzioni per la partecipazione a un evento non dichiarato da contravvenzioni a delittuose.

Nel 2024 si è avuto più di 50 sequestri di strumentazione audio (il 56% dei free party erano con meno di 500 persone), una valanga di decreti prefettizi (quasi ogni settimana) e la scomparsa/ distruzione di strumentazione senza alcuna spiegazione.

Da più di 30 anni siamo stati sottoposti a una repressione violenta, abusiva e ora anche finanziaria, che preannuncia un futuro oscuro per le nostre libertà. Non resteremo in silenzio di fronte a questi tentativi di dissuasione perché, come sapete, siamo particolarmente bravi a fare rumore.

Denunciamo le misure liberticide estremamente preoccupanti adottate dai rappresentanti eletti.

Denunciamo il tentativo di far estinguere la nostra cultura, la cultura tekno, che esiste su scala internazionale e promuove valori altruistici come l’inclusione, la tolleranza e l’autogestione.

Denunciamo un racket statale sui free party, che vale milioni di euro.

Denunciamo un aumento della violenza contro i nostri giovani, le nostre famiglie e i nostri anziani, il cui unico torto è stato quello di ballare. Ci rammarichiamo della risposta repressiva del nostro governo ai nostri tentativi di comunicazione.Questo evento vuole essere storico, quindi contiamo sulla vostra presenza il 12 aprile 2025 nelle nostre strade. Senza pubblico, non c’è nessuna festa.

Preserviamo i nostri diritti e le nostre libertà prima che sia troppo tardi.

Restiamo uniti, essendo determinati, essendo liberi! Unisciti a noi in rete per seguire le nostre azioni.

 

Tekno AntiRep: suivez la page

 

[FR]

 

Le 12 avril 2025, la culture de la fête libre saura se faire entendre dans les plus grandes villes de France à l’occasion d’une importante Manifestive. Notre liberté fondamentale de festoyer est aujourd’hui mise en danger, à l’heure-même où l’extrême-droite se répand contagieusement dans notre société.

 

En janvier 2025, un arrêté préfectoral a été prononcé dans l’Hérault, interdisant les fêtes libres et le transport de matériel sonore et ce, toute l’année durant.

Parallèlement, une députée de l’Assemblée nationale est en train de préparer une proposition de texte de Loi afin de faire passer les amendes pour participation à un événement non déclaré, de contraventionnelle à délictuelle.

 

2024, c’est plus 50 saisies de matériel de sonorisation (dont 56 % de free à moins de 500 personnes), une avalanche d’arrêtés préfectoraux (quasiment toutes les semaines), et des disparitions/destructions de matériel sans explications.

 

Depuis plus de 30 ans nous subissons une répression violente, abusive et désormais financière, annonçant un avenir noir pour nos libertés.

Nous ne resterons pas silencieux.ses face à ces tentatives de dissuasion, car, vous le savez, nous sommes particulièrement doué.e.s pour faire du bruit.

 

Nous dénonçons des mesures liberticides extrêmement inquiétantes de la part des élu.e.s,

Nous dénonçons une tentative d’extinction de notre culture, la culture tekno, qui existe à l’échelle internationale et promeut des valeurs altruistes comme l’inclusivité, la bienveillance et l’autogestion.

 

Nous dénonçons un racket étatique sur le dos de la fête libre, qui se compte en millions d’euros.

Nous dénonçons une aggravation de la violence sur nos jeunes, nos familles, nos aînés, dont les seuls torts ont été de danser.

Nous regrettons la réponse répressive de la part de notre gouvernement face à nos tentatives de communication

 

Cette manifestation se veut historique, alors nous comptons sur votre présence le 12 avril 2025 dans nos rues. Sans public, il n’y a pas de fête.

Préservons nos droits et nos libertés avant qu’il ne soit trop tard.

 

Soyons solidaires, soyons déterminé.e.s, soyons libres !

 

Rejoignez nous sur les réseaux pour suivre nos actions

 

“ANTI-RAVE” – NonStopFreePArty (film – 2024) – Online for Free

“Quando la repressione colpisce, la musica risponde: ANTIRAVE segue la mobilitazione esplosa contro la legge 633 bis, tra Street Rave Parades e resistenza collettiva, raccontando una battaglia di suoni e libertà.”

> Vai al link <<

“🏴‍☠️ANTIRAVE racconta di come il 633 bis, anche nota come “legge antirave” abbia dato vita in Italia ad un massiva mobilitazione di Street Rave Parades. Notevole fenomeno anti-repressivo radicati nella sotto-cultura della “Free Tekno”. Il documentario segue tra le principali rivendicazioni del movimento, tre cui le manifestazioni organizzate da “Smash Repression” in Italia. Un viaggio, che assieme alla voce di  Vanni Santoni, ci ricorda quanto la repressione sia in grado di risvegliare il più profondo desiderio di libertà”

> Reeel di Same Studio Nomade <<

 

VVAA – HANDS OFF THE MUSIC! Compilation benefit disponibile online

Resistere ad uno stato di polizia come l’attuale che vanta di essere reazionario comporta non dimenticare di contribuire alle spese legali di coloro che sono statx inguaiatx..

A torto o meno!, per distrazione o meno!, Questo distinguo in un approccio solidale che si ponga le strutturazioni normative non importa. Ci sentiamo ugualgmente coinvoltx, anzi lo scimmiottamento di “rappresaglie” identificative che per quanto poco fondate feriscono duramente, portano il segno di quali siano le debolezze intrinsceche di un circuito underground. Come pretesto per far perdere d’animo fino al far desistere dall’immaginario più situazionista e spontaneo, l‘impostazione securitaria non arriva per caso nemmeno nel colpire quella che riteniamo una innocua possibilità di far festa..!

Se generalmente, quando ci attende l’inasprirsi dell’assetto punitivo, se ne addita la causa in dimostrazioni di antagonismo, proteste violente, azioni di sabotaggio, propaganda insurrezionale,.. Gli episodi recenti evidenziano piuttosto la serie di contraddizioni od ingenuità che si tende a riprodurre proprio allontanandosi da quelle dimostrazioni, o ritrovandovici senza che vi sia stato un confronto adeguato. Questo manca a sua volta come conseguenza di perdita di coesione, il che impoverisce la riflessione sulle condizioni stesse in cui ci ritroviamo, e che influenzano il nostro agire prima ancora di poter scegliere davvero. Gli amministratori di codici comportamentali se ne approfittano soltanto, esattamente affibbiando senza alcun criterio di continuità e tantomeno una chiara predisposizione operativa, se non il solito puntare ad inventarsi capri espiatori, dove la riduzione come soggettività all’essere in debito con lo Stato serve a ristabilire il primato dell’uso speculativo dello spazio urbano.

Ma dove la sanzione, la detenzione e la perdita delle proprie relazioni di fiducia sarebbero funzionali al dissuaderci dall’essere presenti (nei freeparty come alle nostre passioni), svelano al contempo una sciocca strategia: in qualche modo le forze dell’ordine stanno riconoscendoci un espandersi generalizzato dell’associazione tra partecipanti e chi avrebbe invece responsabilità organizzative grazie ad elementi probatori che a volte sembrano barzellette. 

Il paradosso che a questo punto dovremmo considerare non sta tanto negli abusi, che per quanto grotteschi non si è affatto ancora in grado di poter contrastare con azioni collettive estese tanto da essere indistinguibili da un atteggiamento solo partecipativo, liberando anzi quest’ultimo dalla passività in cui rischia di trattenersi.

Un’accusa inaspettata e decisamente sopra le righe ci ricorda insomma che l’ingiustizia istituzionale colpisce inevitabilmente, e accade talvolta persino in alcune situazioni autorizzate,  a seconda di quali siano gli interessi a monte. Unico sincero discrimine: con maggior coesione la si va ad affrontare, meno la minaccia penalistica troverà spazio di applicazione.

Da tempo però, nella convinzione che sia più saggio rifuggire dal martirio attribuibile alle prospettive conflittuali / che richiamino ad una resistenza, la stessa coesione sta diventando un tabù, concepita come una manifestazione che attira occhi indiscreti, quando all’opposto ci riporterebbe ai principo cardine per cui non si è ancora statx eliminatx del tutto. La terminologia che invita allo slancio viene recepita spesso come ideologica e anacronistica. D’altro canto, quando ci si ritrova alla fase del praticarla, assumendo quindi senza troppo indugio il rischio di venire raggiuntx dalle operazioni di “pulizia del dissenso”, si riproduce altresì un’ambivalenza proprio concedendo ad esse di affermarsi attraverso i numerosi distinguo tra posizioni più o meno puriste. Affermiamo, in questi casi, una supposta separazione d’intenti senza troppo considerare il background che ci corrisponde davvero, soprattutto nei confronti di coloro da cui ci vogliamo distinguere: l’errore che fa molto comodo ad una strumentalizzazione repressiva è che ciò si compia come se si parlasse di qualità soggettive, non rispetto al come soggettivamente si cerchi di avvicendarsi in chiave dialettica.

A partire dai metodi organizzativi e dal significato che scegliamo di associare alle parole in cui in qualche modo ci si vuole o lascia identificare, se questi non sono ben coscienti e consensualemente distrutti e costruiti,in continuazione, esattamente come la fluidità intersezionale richiede, si fa presto a proiettare terribili fissità di giudizio, e a non poterne più facilmente uscire. Storicamente questo non è un meccanismo sociale trascurabile, in particolare se ci si vuole difendere da strumentalizzazioni portate a livello giuridico. Importante quindi tenere presente che la storia di ognunx di noi ha un pezzetto differente da aggiungere al puzzle, e che proprio quelli mancanti al confronto, o che ne vengono allontanatx, comportano il facilitare di rompere tutto l’insieme delle nostre ragioni, ancor peggio se ciò avviene tra di noi, senza nemmeno bisongo dell’intervento poliziesco o le retoriche dei giornalai. Avvilente, per esempio, come la questione della complicità comporti al contempo una gran selezione interna, come già per gli anarchici di vario orientamento, purtroppo, portando a una notevole limitazione del campo della critico e ad un ridimensionamento di quello che concerne l’azione, quindi non solo la possibilità di proseguire entro quei campi, ma anche di trovarvi qualcosa di ancora vivo..

Laddove non si tiene in considerazione di tutti quegli ambiti di scelta che sì rispecchiano cedimementi, talvolta persino epocali, a contrattazioni sistemiche, ma che nondimeno hanno in qualche modo tentato di contrapporvisi o non farsi eliminare del tutto, quindi possono, quantomeno, testimoniare quali siano i punti di non ritorno, per un movimento, ci si preclude di valorizzare il campo del sensibile e dell’esperienza diretta, non mediata. Non ci si concede, attaccandoci ai pro forma, nessuna uscita anche solo temporanea dai ruoli fissi che tuttavia ci attribuiamo.. Se anche una sorta di liberazione avviene sottocassa, nella trance della danza e del viaggio psichico, sembra essere esclusa da alcuni momenti decisionali e criteri di coinvolgimento reciproco. Ecco allora la coesione che forse sta venendo a perdersi in modo irrevocabile: ci rivendichiamo un operativo riappropriarci degli spazi insomma, ma non ci stiamo dando spazio, come soggetti, di poter mettere in condivisione le frustazioni da cui vorremmo emanciparci, di elaborare percorsi in cui la messa in discussione dei rispettivi privilegi non appaia più come sterile polemica e attacco personale, bensì apra a nuovi scorci di condivisione.

Coesione non come ricaduta in un costante processo di omologazione, quindi, ma nella comprensione reciproca, e come presenza attiva. Coesione tra le scelte variegate dex signolx individux, in netto contrasto con l’ombra della dissociazione. Coesione inoltre non strettamente numerica, ma che può spiazzare le prevaricazioni appellandosi alla creatività che ci unisce.

Tutto il ricavato di questo primo progetto andrà a copertura delle spese legali di Alien J in quanto al momento si sono attivate persone vicine a lui ed alle persone che hanno dedicato tempo nelle grafiche e nel mastering oltre che alla call, ma si tratta del resto di un inizio. La prossima verrà destinata in base all’urgenza, e sarebbe auspicabile che si vada man mano a ragionare in maniera allargata su questo tipo di raccolte in maniera che l’approccio solidale permetta di colmare le difficoltà di ognunx anche al di là di semplici collette: questo è in fondo l’obiettivo lungo termine che chi scrive propone.

Si potrebbero innanzitutto evitare le confische di attrezzatura, così come le misure pecuniarie alternative al carcere invece formalmente previsto, fino al renderci conto che sotto accusa non è soltanto chi organizza, ma un sottomondo solo apparentemente ritirato, ancora illegalista col suo variegato immaginario e la concretezza di chi non desiste dall’intenderlo e realizzarlo.. Forse un movimento divenuto quasi timido nello sperarci, ormai ridimensionato dall’ipocrisia generale.

Ma la scarsa conoscenza di come procedano i provvedimenti penali ha già di per se stessa portato a rompere alcune possibilità di riorganizzazione: la repressione si estende innanzitutto attraverso la paura di venir individuatx fino a rincarare una sfiducia reciproca, la dispersione dell’affinità, sentimenti di rancore per le diverse scelte che ci si trova a prendere, fondamentalmente condannandoci a divenire sempre più impreparatx, e su tutti i fronti.

Spesso si trova entusiasmo per unire le forze artistiche, ma non per dover combattere, o non più, finendo a cristallizare i due aspetti come fossero polarità contrapposte, quindi nel rovescio della medagli si scarta l’esperienza artistica come qualcosa di superfluo e commerciale. Eppure, si tratta di due sfere, quella artistica e quella conflittuale, che restano strettamente connesse (almeno quando si vive secondo gli stessi principi che ricerchiamo duranti gli eventi). Se non ci si preoccupasse di come affrontare le misure che ci prosciugano anche i più piccoli sforzi creativi, si rischierebbe di giungere a situazioni in cui si è privatx persino del semplice desiderio di esprimersi, sperimentare, di trovare il proprio stile autonomo, fino al bisogno di possibilità concrete di ricreare spazi e tempi nostri, in cui poterci incontrare ancora, e per cui non si rimarrebbe inerti né agli sgomberi, e nemmeno alle retate che gli ambiti autorizzati e legali non possono impedire.

E dovremmo ricominciare a comprendere che la festa non la fa solo “la crew”, ma il senso di unione che una volta si spostava grazie ad ogni tribe, traveller, squatter, jugller, performer e creativx di ogni tipo deditx alle autoproduzioni!

Solo ribadendo una composizione non gerarchica e non determinata dal potere economico, persino quello dell’avere un impianto, potremo trovare un qualche possibilità di uscita dalla distopia che incombe e di cui le misure penali che ci riguardano sono solo la punta dell’iceberg. In un mondo pervaso dallo sfruttamento ricavato dalla guerra e dalla devastazione ambientale, la rivoluzione non avviene “soltanto” ballando, né lasciando che ci domini una superba velleità professionale senza alcun rapporto con il proprio ambiente, cosa che invece si può ben riconoscere a Jibbo nonostante il suo aver “osato” meno di tantx altrx, negli anni (ma non siamo qui per stabilire primati competitivi di nessun tipo, e rispetto a questi elementi spesso discussi su social ma che restano superficiali nello sguardo e nelle capacità di superare le nostre contraddizioni, si rimanda agli spunti raccolti in un altro articolo, Da quand’è che il conflittuale l’abbiamo lasciato andare a male.., che trovate in immagine nella sezione Materiali). Il solo riavvicinarsi di Jibbo ad una TAZ, perfino umile nell’esporsi e visibilmente emozionato, elementi che spiccano e già di per sé lasciano certe convinzioni detrattive nei suoi confronti a finire per essere ambigue e poco connesse con la realtà di questo movimento, nonostante poi si pretenda quasi di rappresentarla in maniera univoca. Se ci sono stati evidenti e problematici processi di recupero legalista, negli anni, come in ogni scena sottoculturale purtroppo, è al contempo questa una occasione di capire dove stia la sostanza delle nostre affinità, e anzi di promuoverla. In questo senso questo album è sabotaggio di alcune abitudini a trattare la musica come un prodotto, ma anche di riconsocere un valore a chi produce, rilanciando insieme forme di riappropriazione. Indicativo per esempio che alcuni nomi di musicisti già molto noti e che hanno preso altre strade rispetto la nostra, creandoci addirittura dello scompenso per via della disponibilità data a locali e club, non hanno assolutamente posto una distanza da chi invece ancora occupa, anzi contribuendo senza esitazione ad un progetto che evade dal calcolo di profitto e riporta invece la necessità di farci attentx e consapevoli, non sfuggendo alle possibilità di poterci mettere in discussione e tirare fuori il meglio.. Tutto sommato un gran buon segnale..!

Per altro, se la nostra percezione di come si evolvano le scene è abbastanza allenata, mentre riconosciamo oggettivamente il clubbing come un’alimentarsi di mode che fin dal primo compromesso non stimolano le persone ad andare oltre rapporti di uso e consumo acritico, così come a dinamiche di spettacolo distaccato dalla quotidianità e dipendente da una gestione privatistica, dovremmo, per poter davvero andare avanti con questo tipo di fermento analitico e non farci illusioni, che gli stessi free party ed i centri sociali solo raramento sono ormai da meno, se si guarda certo non solo all’ideale cui ci si richiama ma ad i rapporti che sinceramente vi si approfondiscono. Questo è forse un nodo ancor più grosso della fuga di ballerinx dalle situazioni più precarie, un quesito che chi tenga ancora all’autogestione come pratica da diffondere e non come, principio astratto che si affaccia come proposta ma riservandola a ristretti gruppi di amicx e confidentx (“no molestx”, “no presa male”, insomma si indica chiamamente di lasciar a casa i problemi, non sia mai che affrontarli possa farci imparare qualcosa di più profondo che uno slogan ed affinare i nostri strumenti interpretativi e decisionali affinché l’affrontare di quegli stessi problemi non debba finire in delega ad altrx.. i buttafuori o i servizi, ad esempio).
“Se generalmente, quando ci attende l’inasprirsi dell’assetto punitivo, se ne addita la causa in dimostrazioni di antagonismo, proteste violente, azioni di sabotaggio, propaganda insurrezionale,.. gli episodi recenti evidenziano piuttosto la serie di contraddizioni od ingenuità che si tende a riprodurre proprio allontanandosi da quelle dimostrazioni, o ritrovandovici senza che vi sia stato un confronto adeguato.
Questo manca a sua volta come conseguenza di perdita di coesione, il che impoverisce la riflessione sulle condizioni stesse in cui ci ritroviamo, e che influenzano il nostro agire prima ancora di poter scegliere davvero.  Il riverbero che si diffonde in una occupazione corrisponde non solo ad una qualche momento d’evasione, uno straniamento estatico ed estetico, o infine un ripiego per la noia e la staticità delle nostre comuni condizioni.. Dovrebbe poter corrispondere, piuttosto, al poterle sviluppare insieme.

Se c’è una responsabilità nei nostri gesti ed intenti, è proprio quella per cui si finisce ad appoggiare gli stessi distinguo solitamente tipici di una strategia repressiva. Ciò accade addirittura mentre questa dimostra di brancolare nel buio, perché insomma, non sa bene come attribuirci tutte quelle colpe, e allora si rende del tutto sommaria. Forse, e proprio grazie alla confusione che siamo in grado di creare, in qualche maniera l’assurda pioggia di accuse calate su ogni festicciola ci sta ponendo davanti ad un bivio:

o accettare che vi sia un’inesorabile recupero di tuttx coloro che non potranno sostenersi da solx, o prendere finalmente ad occuparci non solo dell’estemporaneità di un evento, ma della stretta relazione tra chiunque lo attraversi e che riapre la strada ad approcci non di mero intrattenimento, distrazione, isolamento, ma ad una controcultura che si amplifica grazie ad ogni individualità o gruppo che la vive portandovi la propria esperienza.

Per questo, ma anche a prescindere, al fine di sostenere la tensione a superare le limitazioni securitarie, sarebbe non solo ben poco avveduto, ma persino meschino lasciare sole le persone inguaiate.

Non siamo più negli anni ’90 in cui benché la repressione odierna fosse già tutta impostata (e anche questo ce lo si dimentica spesso), quantomeno la copertura economica delle collettività autogestite si poteva gestire ben più facilmente rispetto ad oggi.. occorre quindi apprestarci a mettere insieme ciò che sappiamo fare meglio, se vogliamo cominciare a prendere una posizione davvero autodeterminata.

Attraverso questa prima compilation benefit, partita proprio da una riflessione sull’hype creato a seguito di pesanti denunce per il Sound of Freedom, ci auguriamo lo spunto venga colto forte e chiaro..! Di questi giorni per altro la notizia che confermerebbe 70 fogli di via associati a quell’occasione.

L’obiettivo sarebbe poi, lo si ribadisce, portare adeguata attenzione anche a tutte le crew colpite quest’anno ma che godono di meno visibilità (per aggiornamenti, visita la nostra pagina apposita per gli annunci sulle raccolte fondi) cui si destinerà le prossime compilation. Un benefit è ogni iniziativa per cui i ricavati vengono destinati completamente alla copertura di spese legali, a parte qualche costo base. In questo caso, si tratta di una percentuale della piattaforma bandcamp in cui la compilation rimarrà disponibile per un solo mese.

Per info su questa pubblicazione e il lancio di nuove proposte di benefit: 633bis@anche.no

 

/// ABOUT THIS PROJECT /// thanx a lot to Marco/DDos Attack [ Hacked Records ] that had taken care of all passages:

_ call for musicians _ graphics _ mastering with Marco [ Repartee Records ]
_ online dedicated page (where you can found the reason about this benefit + booklet)

>> www.hackedrecords.com/benefit-alien-j-album/ >>>

Tracklist:

01. C-116 (Loslot ft. Vito) – Monsterhil 03:56
02. Crystal Distortion – Landord Hooked on Crack 06:10
03. DDos Attack – Tsunami 06:31
04. Donazz – Soulful 05:20
05. Fiero – In The House 07:25
06. FTK – FTKop$ 04:24
07. G2BoRd3rLiNe – HiTtHeRoAdJoNny 05:49
08. Gandotek feat. BR2B – Currupted 07:25
09. Hoffman – Acid Combat 06:40
10. InArte – Overload 03:39
11. Insane Teknology – The Last Fighter 06:06
12. Jetro Russo – Rubber Warrior 07:06
13. Kriza – Thanatos 04:53
14. Mental Side – Jibbo 11:50
15. Mikmoog – Bar Planet 06:31
16. MoMo – Ciuff Ciuff 08:53
17. Moro – Piano Shipwreck 05:25
18. Noise – Dirty Eliot (live) 04:38
19. Nova – NeptuneTek 03:30
20. OBY One – Bring it Back Back 05:22
21. Phenox [Repartee] – Antidote 04:47
22. Purple Mash – This is Acid 05:38
23. Sbeenz – Slip Slide Icecapades 05:34
24. Sek – Glitch Tones 08:40
25. Stabfinger – Nostalgik Boomer 04:31
26. Stereocool feat. Frost – Weird Flex but okay 03:23
27. Syndaco – Betweenus 06:05
28. Tekhnika – Tek-No System 04:30
29. Total Konfusion – Sanctuary 10:25
30. Tripper – Riot Raves 06:02
31. Yukai – Tribal Call 05:17
32. Zukky & Phil Kix – Unicornus 04:50
33. Brain Jam – Covered Embers [Bonus Track] 07:28

 

/// MAKE YOUR OFFERS! /// this album will be only for a month available on Repartee Records bandcamp:

>>> reparteerec.bandcamp.com/album/benefit-compilation-hands-off-the-music

/// On the new year TAZ happened in Bologna /// public communication that was spread through:>>> brughiere.noblogs.org/post/2024/12/30/bologna-sound-of-freedom-30-31-1/

FAIRE CONNEXIONS. DEUX ANS DE LOI “ANTI-RAVE”  (Janvier 2025 – pt.2)

FAIRE CONNEXION: DEUX ANS DE LOI ANTI-RAVE° (Janvier 2025 – pt2)

Souvent, dans ce rebond entre le besoin de s’exprimer, il y a eu des incompréhensions, des contretemps entre les générations qui communiquent leurs connaissances techniques et empiriques liées à la reproduction de l’expression du contenu audio ou entre ceux qui ressentaient la nécessité de souligner l’importance de l’égalité et des questions de genre dans les contextes festifs qu’ils vivaient, comme expression constitutive de «l’alternativité» dans les moments autogérés, au-delà de leur reproductibilité esthétique.

Bien.. nous savons que dans l’urgence des mobilisations, il y a une radicalisation même exacerbée des concepts et de l’ego – pour faire valoir sa voix dans un tourbillon de revendications; cela ne veut pas dire en réalité qu’il n’y a pas de camarades des sons qui ne pratiquent pas l’antifascisme et l’antisexisme partout (loin de là, et presque toujours aussi loin de radical-chic qu’en tant que porte-parole de quelque instance), bien qu’ils aient des codes expressifs peut-être très différents des militantəs d’une jeune collective qui lutte maintenant dans la rue, tout comme il y a des camarades qui décident entre autres choses d’être des techniciens du son et de installer le son par passion et style de vie sans pour autant renoncer à la pratique anti-patriarcale comme forme de ré-existence et de libération quotidienne.

Soin de l’événement et des relations, une mélange qui donne la bonne humeur dans la fête.

Par contre (facile le-dire après..) on pourrait se demander comment ces besoins d’interaction et de confrontation n’ont pas émergé avant l’imposition répressive évidente par la loi, mais tant il y a.. une contre-culture comme celle de la rave (pas seulement free-tekno), plusieurs décennies, elle vit de hauts et de bas, souvent (et handicap) non mesurables par le nombre de participants à des événements, et oscille entre la possibilité d’être absorbée par les systèmes de communication et de marchandisation et l’hostilité ouverte à ceux-ci..

Que l’on puisse en quelque sorte actualiser ses formes, s’hybrider avec d’autres expériences, devenir vecteur des pulsions «old» et «new» qui l’agitent?

Cela ne peut être que le résultat d’une réponse primordiale à la tentative de diaboliser – pénaliser – mystifier la rave, comme cela s’est produit une fois de plus dans son histoire, dans ce cas en Italie par le gouvernement Meloni – Salvini – Piantedosi.

C’est “oui”, et cela a créé des interactions et une contamination des styles et des genres comme on ne l’avait pas vu depuis longtemps dans de nombreux endroits, et activé des énergies dans des contextes où elles s’étaient rarement produites auparavant sous certaines formes.

Maintenant que de nouvelles équipes et de nouveaux mondes de jeunes commencent à expérimenter différentes pratiques d’autogestion au-delà des rues, la nécessité que la circulation de confrontation et de débat ne s’assoupisse pas ne doit pas et ne peut pas disparaître, au contraire, elle devrait utiliser une plus grande proactivité parmi ceux qui ont accumulé des expériences, même des décennies, comme ceux qui les vivent maintenant; cela parce que (comme différents cycles de lutte anti-rép en France peuvent le montrer) ce n’est pas avec la fin de la tempête répressive que les formes d’agrégation deviennent plus fortes et plus conscientes dans l’autogestion que les précédentes, si ensuite le «nouveau» ne reconnaît pas et n’écoute pas d’autres générations; au contraire, c’est précisément dans la fermeture des possibilités d’intercommunication qu’un mouvement de corps, de relations et de savoirs devient plus attaquable, si ce n’est lorsque physiquement, financièrement ou administrativement, il a tendance à geler ou à se faire marchandiser (dans le double et subjectif: ou festival bien réglé ou confinement).

En fait, la création expressive alternative nécessite d’expérimenter entre les styles et les genres en plus de la «confrontation» frontale à l’état-ennemi, et d’affiner les mécanismes d’autodéfense et les formes de réappropriation de l’espace et du temps (dont le mode de fête peut être considéré parmi les plus sublimes).

Ne cessez pas de regarder autour de vous, même dans les moments apparemment difficiles et resserrés, comme dans ceux d’apaisement, c’est un antidote anti-répressif et libérateur.

Que ce soit par le biais de campagnes de solidarité, de la diffusion de contenus et de pratiques antiracistes, de soins et d’auto-protection collective, ou en défendant le son dans une situation où l’on est peux..

Aujourd’hui plus qu’hier, se chercher et se mettre en réseau est une dimension incontournable, de réciprocité, d’appartenance et d’expérimentation contre-culturelle.

FAIRE CONNEXIONS. DEUX ANS DE LOI “ANTI-RAVE”  (Janvier 2025 – pt.1)

 

Nous publions ci-dessous une contribution qui, de son point de vue partiel, examine les événements qui se sont produits au cours de ces mois et qui peuvent contribuer à un débat qui ne peut certainement pas être épuisé dans un document ou une confrontation occasionnelle, avec la nécessité d’une vérification supplémentaire et de l’ouverture à diverses suggestions et pensée critique.

Pour des réflexions, des contributions, des demandes, veuillez nous écrire à smashrepression@proton.me

 

FAIRE CONNEXIONS. DEUX ANS DE LOI “ANTI-RAVE”  (Janvier 2025 – pt.1/2)

 

Comme un «sursaut puissant», l’application du décret anti-rave a réveillé dans le monde des contre-cultures un besoin de:

– opposition à ceux qui édictent des lois, des interdictions et des interdictions et à ceux qui les appliquent sous différentes formes;

– pour connaître et mieux agir ce besoin et ce désir d’opposition, le fait de devoir regarder autour de soi, de sortir «du ghetto» (souvent facilitée par l’hypertrophie des relations via °les réseaux sociaux) et de comprendre quelles autres formes d’opposition existent dans le présent.

Il est clair que ce mélange de besoins a vu une grande convergence de biographies et d’identités, au point de juxtaposer au  «situation clos» (refus-abolition du décret puis loi) toute une série de revendications qui y sont liées (répression dominante de l’agilité d’espaces contre-culturels, d’instances sociales, de la possibilité même de réunion – comme le soulignait assez mollement dans l’opinion publique quand on en brandissait l’inconstitutionnalité).

Nous nous sommes découverts intimement liés par le désir de liberté, aussi bien ceux qui font partie intégrante du monde free-underground-tekno, que ceux qui voient dans la sauvegarde des diversités et des formes d’expression possibles et le refus de l’homologation un élément clé de résistance.

Certes, l’élargissement de l’horizon des valeurs et des désirs pour lesquels on s’est retrouvé, assez de gens, dans le même magma, a assumé une latence dictée par la même stratification et sectorisation des langages et des connaissances qui caractérise d’ailleurs la fragmentation de la société.

Comme cela arrive souvent, la matérialisation de la machine répressive a mis en lumière l’indisponibilité des corps et des esprits à en subir le joug d’une côté, et la nécessité de pouvoir se connecter et contrer des formes d’oppression structurelles d’autre part.

On a compris comment le dispositif <<anti-rave>>, dans un contexte croissant de militarisation des espaces physiques comme des consciences, en premier lieu sur le vieux continent, d’une part répondait à satisfaire l’appétit authoritaire à la recherche de «désadaptés» et qui plus en a mis, d’autre part préludait à la mise en œuvre des dispositifs de contrôle et de sécurité que nous voyons aujourd’hui avec les <<zones rouges>> (zones interdites aux personnes dans les villes) et le décret de sécurité aujourd’hui en voie d’approbation et de normalisation.

Il est évident que la compression des espaces de socialité, de débat et d’expression est un mode d’action structurel de ce présent, lié à la volonté de suppression et d’assujettissement des «minorités» désertrices ou moins enclines à la domestication.

La rhétorique prohibitionniste inhérente au nouveau Code de la route est aussi en partie une forme de cette propagande qui se traduit au fur et à mes

ure par l’homologation de la pensée et du temps individuel-collectif.

Il a également été évident que, dans le bouillonnement d’énergie et de désirs qui s’est produit depuis le début de la mobilisation large et moléculaire contre la loi <<anti-rave>>, des styles de vie et des langages apparemment lointains et inconciliables se sont rencontré: expliquez-vous à de nombreuses «nouvelles» personnes des free l’oppression que subissaient déjà depuis des années ceux qui organisaient/organisaient des fêtes en Italie, et trouvez un moyen de bien la raconter à ceux qui ne l’ont pas vécue directement…

Ou allez faire comprendre dans l’immédiat, le besoin – par exemple – d’auto-protection et d’auto-détermination face aux formes structurelles de violence machiste qui traversent tous les domaines du social, et aussi le temps auto-geré des fêtes de quelques jours.

Avec la compulsivité des réunions pour s’opposer aux mouvements dex governantx, de nombreuses questions inhérentes à un monde entier en ébullition ont été accumulées et méritent d’être approfondies et synchronisées.

Du débat animé, parfois frontal, qui a eu lieu dans de nombreuses régions d’Italie et au-delà, il est apparu que pour certains, la fête est comprise comme une «fuite de la réalité», dans le sens de fuir le dégoût donné par les injustices sociales quotidiennes, en se soustrayant, en s’abstenant, en se dissociant (forme définie par beaucoup comme «non-politique», par d’autres plus «pré-politique» ou, en tout cas, par la volonté légitime de ne pas être représenté sous quelque forme que ce soit), tandis que d’autres l’entendent comme un moment de construction d’un ensemble faisant allusion à de nouveaux mondes possibles (forme «politique»).

Forme de loisirs et forme de récréation.

Cette rencontre entre les perceptions ne peut pas être considérée comme un facteur de division: les deux supposent une tendance marquée à la désertion par la normalité <<en vigueur» et belligérante, à partir de différentes formes de rejet et de création de modalités expressives qui y sont liées.

 

 

 

Fare rete. Due anni di legge “anti-rave”

Pubblichiamo di seguito un contributo che, dal suo punto di vista parziale, guarda ad accadimenti succeduti in questi mesi e che possono contribuire a un dibattito che sicuramente non si può esaurire in qualche occasionale documento o confronto, con la necessità di ulteriore messa a verifica e l’aprirsi a varie suggestioni, stimoli e pensiero critico.

Per riflessioni, contributi, richieste scriveteci su smashrepression@proton.me

FARE RETE. DUE ANNI DI LEGGE ANTI-RAVE  (Gennaio 2025)

Come un “fragoroso sussulto” l’applicazione del decreto anti-rave ha risvegliato nel mondo delle contro-culture un bisogno di:

– contrapposizione a chi emana leggi, proibizioni e divieti e a chi li applica nelle diverse forme;

– per conoscere e meglio agire tale bisogno e desiderio di contrapposizione, il doversi guardare attorno, uscire “dalla bolla” (spesso facilitata dall’ipertrofia delle relazioni via  social) e  capire quali altre forme di contrapposizione ci sono nel presente.

É chiaro come questa commistione di bisogni abbia visto una grossa convergenza di biografie e identità, al punto da giustapporre alla vertenza “chiusa” (rifiuto-abolizione del decreto poi legge) tutta una serie di rivendicazioni a essa legate (repressione imperante dell’agibilità di spazi contro-culturali, di istanze sociali, della possibilità stessa di riunione – come sottolineato in modo seppur abbastanza blando nell’opinione pubblica quando se ne sbandierava l’inconstituzionalitá).

Ci siamo scopertə in tantə intimamente legatə dall’anelito di libertà, sia chi fa parte integrante del mondo free-underground-tekno, sia di chi vede nella salvaguardia delle diversità e delle forme di espressione possibili e il rifuggire dall’omologazione un elemento-chiave di resistenza.  Certamente, l’allargarsi (o il riallargarsi) dell’orizzonte valoriale e dei desiderata per i quali ci si è ritrovatə, in tantə, nello stesso magma, ha scontato una latenza dettata dalla stessa stratificazione e settorializzazione di linguaggi e conoscenze che caratterizza d’altronde la frammentazione della società. Come spesso succede, la materializzazione della macchina repressiva ha messo in luce l’indisponibilità di corpi e menti a sottostarne al giogo da una parte, e la necessità di potersi connettere e contrastare forme di oppressione strutturali dall’altra.

Si è capito come il dispositivo anti-rave, in un contesto crescente di militarizzazione degli spazi fisici come delle coscienze, in primis nel vecchio continente, da un lato rispondesse a soddisfare l’appetito forcaiolo alla ricerca degli “scansafatiche, disadattatə, mantenutə” e chi più ne ha più ne metta, dall’altra preludesse all’implementazione dei dispositivi di controllo e securitari che vediamo oggi con le zone rosse e il decreto-sicurezza oggi in via di approvazione e normalizzazione.

E’ evidente come la compressione degli spazi di socialità, di dibattito ed espressione siano una modalità di azione strutturale di questo presente, legata alla volontà di soppressione e soggiogazione delle “minoranze” disertrici o meno inclini all’addomesticazione. La retorica proibizionista insita nel nuovo codice della strada è in parte una forma anch’essa  di questa propaganda che si traduce man mano in omologazione del pensiero e del tempo individuale-collettivo.

E’ stato lampante anche come, nel ribollire di energia e desideri che si è dato sin dall’inizio della mobilitazione ampia e molecolare contro la legge anti-rave, si incontrassero stili di vita e linguaggi apparentemente lontani e inconciliabili: vallo a spiegare a molte persone “nuove” dell’ambiente l’oppressione che già subivano da anni chi organizza/organizzava feste in Italy, e trovare un modo di raccontarla per bene a chi non l’ha vissuta direttamente. O vai a fare capire nell’immediato, l’esigenza – ad esempio – di autotutela e autodeterminazione di fronte alle forme strutturali di violenza machista che percorrono trasversalmente ogni ambito del sociale, e anche la “bolla” delle feste di qualche giorno..

Assieme alla fotta di riunirsi per controbattere le mosse dex governantx, si sono accumulate tante questioni inerenti a un intero mondo in subbuglio meritevoli di ulteriore approfondimento e sincronizzazione.

Dal dibattito acceso, a volte frontale, che si è dato in molte parti d’Itala e oltre, è emerso che per alcunə la festa è intesa come una “fuga dalla realtà”, nel senso di rifuggire dallo schifo dato dalle ingiustizie sociali quotidiane, sottraendosi, astenendosi, dissociandosi, (forma definita da moltə come “a-politica”, per altri più “pre-politica” o, comunque, di legittima volontà di non venir rappresentatə in alcuna forma), mentre altre la intendono come momento di costruzione di uno stare assieme allusivo di nuovi mondi possibili (forma “politica”). Forma di svago e forma di ricreazione. Questo incontro tra percezioni non può essere visto come divisivo: entrambx suppongono una tendenza marcata alla diserzione dalla “normalità vigente” e guerrafondaia, a partire da diverse forme di rifiuto e creazione di modalità espressive a esso legate.

Spesso in questo rimbalzo tra necessità di esprimersi sono avvenute incomprensioni, controtempi tra generazioni che comunicano i loro saperi tecnici ed empirici legati alla riproduzione dell’espressione del contenuto audiofonico o tra chi sentiva la necessità di far presente l’importanza  dell’uguaglianza e delle tematiche di genere nei contesti festivi che vivevano, come espressione costitutiva dell’ “alternatività” in momenti autogestiti, aldilà della loro riproducibilità estetica.

Ora.. sappiamo che nell’impellenza delle mobilitazioni c’è una radicalizzazione anche esasperata di concetti e dell’ego – per far valere la propria voce in un vortice di rivendicazioni; ciò non vuol dire nella realtà che poi non ci siano compagni delle crew che l’antifascismo e l’antisessismo non lo pratichino ovunque (tutt’altro, e quasi sempre lontano da radical-chic quanto da portavoce di qualche istanza), pur avendo codici espressivi magari molto differenti da un@ militantə di una giovane collettiva che lotta adesso in strada, così come ci sono compagnə che decidono tra altre cose di essere tecniche del suono e montare per passione e stile di vita senza per questo rinunciare alla pratica anti-patriarcale come forma di r-esistenza e liberazione quotidiana. Cura dell’evento e cura delle relazioni, mix  dell’hype nello stare in festa.

Casomai (facile a posteriori!) ci starebbe da chiedersi com’è che non siano emerse queste necessità di interazione e confronto prima dell’imposizione repressiva evidente per mezzo legge, ma tant’è.. una contro-cultura come quella del rave (non solo free-tekno), pluridecennale, vive di alti e bassi, spesso (e menomale) non misurabili dalla quantità di partecipanti ad eventi, e oscilla tra possibilità di venire assorbita dai sistemi di comunicazione e mercificazione e l’ostilità aperta a questi.. Che si possa in qualche modo aggiornare nelle sue forme, ibridarsi con altre esperienze, divenire vettore delle pulsioni “old” e “new” che la agitano? Non può che essere il portato di una risposta primordiale al tentativo di demonizzare – penalizzare – mistificare il rave,  come è avvenuto ancora una volta nella sua storia, in questo caso in Italia per mano del Governo Meloni-Salvini-Piantedosi.

E’ stata una buona cosa rispondere al subdolo “vi togliamo dai capannoni (e magari regolarizziamo)” con “invadiamo le strade delle vostre città-vetrina”? Sì, e ha creato interazioni e contaminazione di stili e genere come non si vedeva da tempo in molte località, e attivato energie in contesti dove difficilmente si erano date prima in certe forme. 

 

Ora che nuove crew e mondi giovanili iniziano a sperimentarsi con diverse pratiche di autogestione aldilà delle street, la necessità che la circolazione di confronto e dibattito non si assopisca non deve e non può decadere, anzi dovrebbe avvalersi di maggiore propositività tra chi ha accumulato esperienze anche di decenni come da chi le vive adesso; questo perché (come vari cicli di lotta anti-rep in Francia  possono mostrare) non è con la fine dello spauracchio repressivo che poi le forme di aggregazione diventano di per sé più forti e consapevoli nell’autogestirsi rispetto a quelle precedenti, se poi il “nuovo” non riconosce e ascolta; anzi, è proprio nella chiusura di possibilità di intercomunicazione che un movimento di corpi, relazioni e saperi diviene più attaccabile, se non quando fisicamente, pecuniariamente o amministrativamente, tende a ghettizzarsi o farsi mercificare  (nel duplice e subdolo ricatto: o festival etero-normato o confino).

L’intuizione iniziale della contaminazione tra tematiche anti-repressive, di confronto e di riconoscimento tra “minoranze”, é una tendenza che non dovrebbe venir messa in secondo piano rispetto alla riproducibilità di eventi: dota le contro-culture di nuovi anticorpi alla mercificazione e all’assorbimento di esse, e si rigenera con la creazione di sacche di resistenza ad alcune forme di controllo ed omologazione, a partire dalla concezione di cosa si definisce e percepisce come libertà e cosa no.

De facto, la creazione espressiva alternativa necessita di sperimentare tra stili e generi oltre alla “contrapposizione” frontale a nemici statuali, e di affinare meccanismi di autodifesa e forme di ri-appropriazione dello spazio e del tempo (di cui la modalità di festa può essere considerata tra quelle sublimi).  Non smettere di guardarsi attorno, anche nei momenti apparentemente difficili e angusti, come in quelli di appagamento, è un antidoto anti-repressivo e liberogeno. Sia che lo si faccia attraverso campagne di solidarietà, la diffusione di contenuti e pratiche antirazziste, di cura e autotutela collettiva, che difendendo il sound in una situazione in cui si è in pochə.

In questi tempi é quantomai facile soddisfare l’appagamento di riunirsi e far festa magari a migliaia e migliaia di chilometri di distanza ma al contempo non riuscire a vedere né sapere chi cerca di praticarla a due passi dal nostro vissuto quotidiano: anche questa è una limitazione delle possibilità di scegliere dove poter andare e relazionarci. Oggi più di ieri, il cercarsi e fare rete é una dimensione irrinunciabile, di reciprocità, appartenenza e sperimentazione contro-culturale.

 

 

[ primi appunti per l’autodifesa legale ] Sulla realtà che ci circonda.

..ALCUNE CHIAVI DI LETTURA

DELLA REALTÀ CHE CI CIRCONDA..

Quando ci si approccia alla cosiddetta Giustizia, o meglio la sua deformazione istituzionale, l’attenzione generale viene di solito a concentrarsi sulle conseguenze previste per una tale o tal’altra azione incriminabile..

Legittimo preoccuparsi, eppure si verifica attraverso questa riduzione la funzione ulteriormente preventiva della Legge, quella che gioca sulla paura della punibilità per ripristinare, ancor prima di qualsivoglia applicazione di condanna, l’ossequio alle autorità.

Questa funzione è quella meno visibile perché non trattiene direttamente le persone in carcere; ne sceglie però qualcuna tra le più scomode, esposte a quel genere di protocolli senza remora di buttare via la chiave all’occorrenza, o che ad ogni modo si esercita sommariamente estorcendo denaro attraverso estenuanti appelli processuali, nonché sempre con il risultato di far passare la voglia di fare analisi di determinate condizioni strutturali, operando mediaticamente per distogliere l’attenzione pubblica da quegli elementi che proprio l’agire o anche il semplice esistere di una categoria sociale finirebbero per mettere in evidenza.

Le politiche riformiste stesse si coprono dietro un manto di giustificazioni liberali rieducative le quali, anziché andare a cercare la radice sociale di problemi riscontrati in grandi percentuali, li cristallizza nell’alveo psicologico-comportamentale separando così  fattori di diffusione della criminalità dalla Storia ufficiale. Governo dopo Governo, insieme ad un principio di esclusione razziale e borghese dei soggetti che già vivono, per via delle Leggi di confine per esempio, condizioni di marginalità fino all’intersecarsi con quella che viene trattata con l’epiteto psichiatrico di devianza sociale, vengono inseriti via via nel calderone repressivo i molti piani di lotta politica e attivismo che ottengono eco e colpiscono punti nevralgici della ristrutturazione energetica, degli appalti pubblici sempre più privatizzati, della sorveglianza tecnologica, e della pianificazione urbanistica in genere.

I vari accorpamenti tra gli impianti accusatori che segnano il susseguirsi dei movimenti organizzati dal basso e le espressioni della rabbia, soprattutto giovanile e/o sottoproletaria, ci appaiono certo per lo più grotteschi da tanto si dimostrano eccessivi, ma proprio per questo inequivocabilmente abusanti.  La riformulazione che punta ad attribuire loro attributi di pericolosità per l’ordine democratico, riverberata dalla carta straccia dei quotidiani locali per evocare nei cittadini perbene la falsa necessità di della delazione e dell’aggiungere misure para-poliziesche come le ronde tanto quanto fasi di reclutamento massiccio nelle fdo, vertono su strategie per precise. È proprio attraverso questa aleatoreità interpretativa che i legislatori, nella scelta precisa di una carenza analitica proprio laddove il piano giuridico pretenderebbe di fornire una rappresentazione della realtà degli estremismi non allineati, che negli ultimi anni stanno venendo impressi nell’opinione pubblica e sulla pelle dex prigionierx una sorta di teatrino, da un lato… e di tortura, dall’altro. 

I vagheggiamenti sulle forme conflittuali coniati a inizio secolo sotto il Regime fascista sono tuttora tali da sfociare ad assimilarle ora al terrorismo contro la personalità dello Stato, ora alla stessa mafia organizzata.

La direttiva che emerge non è quindi affatto quella di un sincero democratico reintegro relazionale degli individui, e tantomeno concede aperture ad una minima risoluzione di ben salde ingiustizie sociali, andando a confermarci, qualora vi fossero ancora dubbi, il campo del potere leviatanico, e ad aumentarlo addirittura, completando nel nuovo millennio la sintesi secolare di una serie di istituzioni totalizzanti.

Si continua infatti nondimeno ad associare antichi concetti religiosi di colpa a diagnosi su presunte disfunzionalità mentali che ancora non si sono liberate degli strascichi di dettami lombrosiani, fino alle ipocrisie del 41bis (quando lo Stato si conserva precisamente tramite rapporti mafiosi) e la puntuale rivisitazione del profilo del “nemico pubblico” ogniqualvolta si volesse dare una bel colpo di spada alle spinte emancipative che non si lasciano recuperare dalle agende politiche che offrono invece protezione a chi detiene interi monopoli.

Più che quello di un sincero reintegro relazionale ed avviamento lavorativo in questa ben poco onesta Repubblica (che può dirsi fondata sul lavoro solo se si riferisce a quello sfruttato e mal pagato), il risultato della funzione rieducativa dei penitenziari sui soggetti indicizzati che si presumerebbe di ricondurre ai valori democratici, è stato, tuttora nel 2024, in media di un suicidio ogni 4 giorni compiutosi tra detenutx nelle carceri italiane.

Pur di affermare l’inaccettabilità della tendenza alla trasgressione come se fosse una questione di alcuni soggetti inadeguati – da richiamare, esorcizzare, espellere, torturare in isolamento -, anziché semmai l’esito di molteplici fattori culturali e di privilegio sociale, la civiltà del progresso consente quindi che essi provino un senso di angoscia tale da arrivare ad eliminarsi fisicamente qualora non si riesca ad annichilire i loro istinti con una somministrazione extra di psicofarmaci. Certo i suicidi riusciti o tentati e varie altre forme di autolesionismo, la quotidianità soprattutto nei CPR, come di proteste interne e scioperi della fame che non raggiungono mai i notiziari, non rimandano esattamente ad un senso di “recupero” dell’individuo, e rendono anzi nota del distacco emotivo di cui sono capaci gli operatori e le guardie, così come i dirigenti degli istituti e gli incaricati ministeriali connessi non si assumono le responsabilità delle loro decisioni amministrative.

***

“IL CASO COSPITO”, OVVERO: NON UN CASO..!

Pensiamo per esempio ad Alfredo, a come dalla Cartabia fino a Nordio non vi sia stata remora alcuna ed anzi era chiaro il piano di annichilimento che intendeva colpire sostanzialmente la diffusione di stampa insurrezionalista, ed ai rigetti vari di valutazione dei domiciliari emessi dalla procura di Milano (pg Francesca Nanni) e dal Tribunale di Sorveglianza a Sassari (pm Giovanna Di Rosa) con le loro schiere di assistenti in carriera e su consultazione dei medici di Opera che hanno per altro alimentato forzatamente il compagno anarchico, la cui scelta non avrebbe ammesso tentennamenti. La realtà dei fatti è che la Magistratura di Sorveglianza raramente accondiscende al ricongiungimento famigliare.. non si è trattato solo di un caso particolare. Quello che con Alfredo ha fatto la differenza è stata la sua richiesta indiscriminata, che non riguardava solo se stesso, e di qui un ancor più grave mancanza di coraggio dell’apparato statale nel riconoscere il posizionamento di un uomo come interlocutore attivo e avveduto rispetto ad ingiustizie strutturali, quindi deciso ad avviare una contrattazione contro i regimi speciali e i metodi annessi che infliggono tortura (posizionamento che spesso nella storia del carcere moderno è valso ad ottenere alcune migliorie: non si trattava insomma dei delirii di un nichilista esaltato, ma della lucida consapevolezza e irriducibilità ideologica che contraddistingue quest’area di orientamento conflittuale). Il fatto che non gli sia stata concessa questa interlocuzione non fa che confermare le nostre teorie a riguardo della prospettiva detentiva. Interessasse davvero un recupero dei soggetti, le inchieste ufficiali avrebbero preso ben altro indirizzo che quello banalmente autoritario. La reazione dello Stato persino tramite il ruolo dell’équipe medica è stata tutta improntata al depotenziare anzi quelle ragioni, al punto che possiamo senza esagerazione alcuna definire il protocollo del tenere le funzioni vitali di Alfredo ai minimi termini non un approccio di cura verso il soggetto recluso, affatto, bensì una ulteriore privazione: una totale ipocrisia rispetto a quelle che erano le intenzioni dichiarate dello stesso, delegittimato così persino di quell’ultimo stralcio di identità che attraverso il suo corpo stava cercando di manifestare e confermando una condanna di oltre due decenni in Alta Sicurezza, mirata fin dal primo momento a rendergli specificatamente impossibile la comunicazione e la diffusione del suo portato internazionalista controverso, e quindi persino di tenere un carteggio con compagnx non certo per riporlo in un cassetto ma perché ne facciano tesoro ed eco diffusa.

« Per il resto che dire….nulla è cambiato: le foto dei miei genitori sequestrate un anno fa qui a Sassari e restituite col timbro della censura al mio arrivo ad Opera, di nuovo trattenute al mio arrivo a Sassari.

Niente musica: la mia richiesta di comprare un lettore cd rigettata dalla direzione del carcere. A quanto pare libri e musica continuano ad essere visti dal DAP come qualcosa di sovversivo ed in fondo non hanno tutti i torti.

Da quando sono al 41 bis non tocco un filo d’erba, un albero, un fiore. Solo cemento, sbarre e tv. Negli ultimi mesi, con grande fatica, sono riuscito a comprare un solo libro, e solo perché di me parlavano i media.

I colloqui una sola volta al mese col vetro e con la voce metallica dei citofoni. Le mie sorelle e mio fratello, che sono gli unici che possono venire a trovarmi, vengono al loro arrivo incerottati sui tatuaggi e sugli orecchini, perché potrebbero comunicare messaggi criptici attraverso i disegni tatuati.

Comunque queste mie rimostranze diventano ridicole dopo quello che ho visto al centro clinico di Opera.

Ho visto con i miei occhi lo stato che si pretende etico applicare la legge della ritorsione su vecchi e malati, inermi e semi infermi di mente. La mia richiesta ingenua di libri, musica, periodici anarchici, scientifici, storici e di un prato dove correre e di qualche albero diventa risibile quasi stucchevole. Me ne rendo conto.

Abolire il 41 bis

Grazie compagni e compagne

Sempre per l’anarchia »

( dichiarazione di Alfredo Cospito del 19 giugno 2023 )

Perché citare un esempio che sembra già così lontano per i riferimenti ideologici comunemente dibattuti (o meglio resi marginali) proprio perché lo si associa ad un filone politico considerato controproducente, cioé che proprio non disdegnando l’azione armata e l’attacco alle strutture del potere sembra essere stato completamente vinto?

Perché da quell’impossibilità che Alfredo ha ricevuto come responso di uno sciopero della fame durato sei lunghi mesi, ne usciamo tuttx meno liberx.. e non soltanto chi si trova tuttora in 41bis (per altro senza davvero una logica che non sia quella di una strategia governativa che si è trovata in competizione in affari con le mafie fino a che non è riuscita a trovare le maniere di inglobarle e conviverci).

Ne usciamo meno liberx e per di più ulteriormente attaccatx, tant’è che ci si ripropone a distanza di un anno, nell’alveo dei Decreti Sicurezza, un punto appositamente dedicato al ripristino di matrice fascista della punibilità della stampa sovversiva, cioè potenzialmente qualsiasi pubblicazione di contestazione alle misure statali. Si riapre di conseguenza lo spettro di una censura non riferita a particolari gruppi, quindi nemmeno ristretta ad una comprovabile correlazione tra la stampa e le azioni di propaganda di questi, ma lasciando arbitrariamente indefinito il campo di ciò che può venir reso tacciabile di sovversione, ben oltre un principio di autodeterminazione delle lotte. Forse è questa la volta buona che ci si opporrà in modo congiunto? O lasceremo che nuovamente vincano i distinguo che colpevolizzano gli estremismi, che mettono al bando chi non si accontenta di proteste pacifiche, che si apprestano a condividere lo sdegno nei confronti di chi disturba la pace ed il benessere borghesi, acconsentendo cioè che l’approccio repressivo venga confuso con una misura di tutela pubblica e finisca applicato nel nostro stesso modo di riflettere e muoversi, alimentando ulteriormente la caccia alle streghe, tutto ciò mentre le industrie belliche continuano la propria produzione, gli ecomostri a distruggere territori ed ecosistemi, le riforme contrattuali a lasciarci economicamente esangui, le strutture punitive ad eliminare le prove e gli effetti del malcontento, ..?

Quale posizione stiamo scegliendo, o meglio, accettando di non poter scegliere?

“L’articolo 72 del codice penale prevede che ai pluriergastolani si aggiunga la pena dell’isolamento diurno che può arrivare fino a tre anni. Un’eternità capace di devastare la psiche di chiunque. (…) l’isolamento fa male, l’isolamento porta al disadattamento, allo squilibrio, alla follia. Ma viaggiando per le carceri italiane si incontrano tanti detenuti isolati. (…) Solitudini su solitudini, gli internati sono gli esclusi degli esclusi. Ne sono consapevoli gli operatori, i poliziotti penitenziari, che si adoperano in tutti i modi per inventare una speranza in quelle vite ufficialmente dimenticate dal sistema. Non c’è alcuna delinquenza abituale in loro. Nessuna tendenza. Parole dal senso vago che finiscono per non significare nulla. (…) Nella colonia agricola di Isili, così come nella casa di lavoro di Vasto e in tutte le altre sezioni analoghe in giro per l’Italia, sono rinchiuse persone che non si sa dove collocare. Così viene prorogata loro, dai giudici di sorveglianza, la permanenza in carcere, sostenendo che sono ancora pericolosi. In realtà sono soltanto soli, senza nessuno che li accoglie fuori. Non vi sono servizi territoriali per farsene carico, non vi sono famiglie. Tutti gli internati sono di fatto portatori di una qualche patologia psichiatrica. Ma il ragazzo che ha rubato dieci volte di seguito una scatoletta di tonno dal supermercato diventa facilmente, nell’interpretazione del magistrato, un delinquente abituale. Se poi ha cercato di scambiarla per un pacchetto di sigarette è un delinquente professionale.

(dal Ventesimo rapporto sulle condizioni di detenzione dell’Associazione Antigone, 2023, Viaggio nelle colonie penali della Sardegna)

Per noi, ciò che viene liquidato frettolosamente come “suicidio in carcere” rimane un omicidio di Stato già nelle premesse per cui questo si è arrogato la custodia di un individuo. Non si parla solo di soggetti antagonisti, considerati spine nel fianco. I metodi di annicchilimento sembrano anzi essere tanto più efficaci politicamente quanto più si ripercuotono in maniera ben più silenziosa su persone già emotivamente fragili, o che proprio la reclusione subita ha reso fragile. S’intende che a lasciar morire unx figlix di nessunx fanno prima, anziché prendersela con chi comunque è sostenutx da reti solidali all’esterno. Questo è da tener presente di fronte all’equazione comune per cui chi si ribella ci rimetterebbe soltanto.. Dipende da quale passaggi storici stiamo vivendo ancor più che dalle singole responsabilità. Dire “se l’è cercata” denota non aver colto che la morsa si sta stringendo sempre di più sulla scia di un piano NATO che ha investito i fondi europei sull’addestramento alla sorveglianza di tipo militare e che si sta pian piano attualizzando tra le varie colonie americane del perimetro Shengen. Nel frattempo, oltre alle morti violente accertate avvenute in condizioni contenitive o di migrazione che continuano a sommarsi, si consumano dentro e fuori le sbarre decine di migliaia di morti lente ed ormai interiorizzate.

Non sembra esserci uscita dalle dinamiche che le mansioni repressive determinano.

Queste continueranno a ricadere sulla società stessa proprio mentre essa si illude di venir tutelata da episodi di sopraffazione. L’astrazione giudiziaria e penalista, fingendo di estirpare la causa dei problemi eliminando dallo sguardo chi ne rappresenta la manifestazione più tangibile, o certo più scomoda, non fa altro che deresponsabilizzare una comunità di riferimento nel suo complesso, garantendo in primo luogo l’impunità dei suoi amministratori, vanificando le analisi e l’impegno politico che invece tentano una faticosa decostruzione di quelle cause, e dall’interno, consapevolx che quei problemi continueranno a sorgere al di là della loro associazione scandalistica che riduce un reo con singole azioni considerate reato. Ogni altra esperienza di giustizia viene cancellata o resa dipendente da questo retaggio delle monarchie assolutiste in cui oltre all’esemplarità della punizione di fronte agli occhi del popolo si consumava un principio di vendetta contro chi avesse intralciato e sfidato la giurisdizione territoriale e le credenze intorno alle quali un potere si conserva.. Persino la complicità del personale medico ed a supporto psicologico nei confronti di metodi spersonalizzanti e assimilabili alla tortura è tale da rispecchiare un soffocamento della sensibilità degli individui, la quale si lascia esercitare dapprima sul personale stesso, tramite obbedienza alle morali imposte da certe gerarchie professionali che si ricopre. La fedeltà obbediente e per lo più omertosa caratteristica di certi ambiti (mentre il segreto professionale dovrebbe avere a cuore la privacy del soggetto più che la propria carriera, non si confondano questi due piani..) è parte integrante meccanismi repressivi, e non fa che produrre nuove forme di alienazione, in questo caso sfociando non di rado in una dimensione etico-politica che si rende complice di maltrattamenti ed omissioni di soccorso.

***

L’ISOLAMENTO NELL’ISOLAMENTO

COME MASCHERA DELLE INGIUSTIZIE DEL POTERE

« Purtroppo, nella condizione in cui devo vivere, i capricci nascono da soli: è incredibile come gli uomini costretti da forze esterne a vivere in modi eccezionali a artificiali sviluppino con particolare alacrità tutti i lati negativi del loro carattere. »

(Antonio Gramsci in Lettere dal Carcere)

L’approccio vincente sarà per essa quello dell’impossibilità di autoregolarsi, della sfiducia anche interna verso l’iniziativa autonoma, della delazione e del sospetto così come di corrispondente caduta nel menefreghismo generale e nella presuzione di non dover perseguire altro che il proprio interesse, qualora si potesse invece fare davvero qualcosa di utile e ben intenzionato nonostante non si sia investitx dell’autorevolezza per farlo sottoponendosi alle logiche della burocrazia amministrativa.

Se l’obiettivo sotteso dell’istituzione penale non fosse proprio questo insieme di conseguenze, invece che considerarle come un vago e non prescritto effetto collaterale,  potrebbe quasi venire a mancare il senso dell’impostazione funzionalista del carcere, e

si dovrebbero riconsocere piuttosto le ragioni della spinte per una abolizione dello stesso, com’è stato in precedenza per manicomi ed ospedali psichiatrici giudiziari.

Ma si può ben osservare invece come l’indirizzo penitenziario serva in primo luogo ad ottenere effetto “a deterrente” sul resto della popolazione (e insieme di copertura di nefandezze di ben più vasta entità senza che chi commisiona ed esegue tutta la vasta gamma di procedimenti punitivi rischino di finire coll’essere ritenuti inadeguati ad un ordinamento democratico).

Quello che consegue quindi da determinate norme, ma nondimeno nel loro insieme, è dunque, si dicava, non soltanto la repressione del singolo che commette qualcosa che possa venir assimilato ufficialmente ad un crimine, bensì la società nel suo complesso che si lascia dirigere nei comportamenti e nelle abitudini, persino quelle dimostratamente inoffensive o

che addirittura si sono rilevate fondamentali per i movimenti emancipativi che hanno attraversato i secoli.

Durante la persecuzione di chi lottava contro le oppressioni sono stati affinati metodi di confinamento che ritroviamo ancora oggi.

In particolare la Sardegna sta diventando una colonia non solo militarizzata e depredata per progetti energivori, ma anche una distesa di case circondariali e tra le più severe. Numerosi sono gli aggiornamenti sul piano carrceri e sulle proteste interne dai capoluoghi sardi, oltre a campagne di lotta come Nishunu Est Solu, la cassa antirepressione sarda Teste Dure, tra le altre, che non dimenticano i processi storicamente affermatisi ma proprio per questo cede il passo, anzi si propone di non abbandonare le persone detenute. Le due trascrizioni seguenti sono riprese proprio da uno degli ultimi numeri pubblicati di Maistrali (al momento il sito è offline), una zine aperiodica di critica ai progetti speculativi che riguardano la Sardegna.

“… Il carcere di Tempio Pausania inaugurato nel 2012 ha sostituito il precedente “la Rotonda” per essere utilizzato per detenuti in regime di Alta Sorveglianza di livello 3 e nonostante le solite vocazioni rieducative langue del reale intento punitivo e vendicativo che hanno le galere. Già durante il periodo Covid le restrizioni pandemiche hanno creato non pochi disagi ai prigionieri che si trovano in gran parte a centinaia di Km lontani dalle loro famiglie e dagli affetti, dimostrando come la Sardegna si riveli ancora una terra di confino, un’isola comodissima per le velleità punitive dello Stato.

Le strutture costruite negli ultimi dieci anni hanno ampliato ed in parte sostituito il numero delle carceri. Solo nell’isola sarebbero circa 11 in totale, ed hanno allontanato gli istituti dai centri abitati isolando maggiormente i prigionieri togliendo loro anche quelle poche occasioni di contatto con l’esterno. Isolamento nell’isolamento, a maggior ragione se lo Stato può contare su un’isola da usare come una discarica per i “cattivi”;  non ultimo, il trasferimento del compagno anarchico Cospito, trasferito recentemente al carcere di Bancali.

Il carcere è andato di pari passo con il Capitalismo, trasformando le vittime di una società di sfruttati in nemici da rinchiudere, consentendo in alcuni stati occidentali addirittura la privatizzazione delle galere per trarre profitto dalla prigionia e creare forza lavoro a costo quasi azzerato.  L’opposizione al carcere resta quindi una necessità per incrinare un pilastro di questo sistema,  soprattutto in momenti in cui il disagio sociale aumenta per i giochi dei potenti. Ben vengano, quindi le rivolte, anche le più piccole e ricordiamoci che i “futili motivi” non esistono in luoghi in cui ogni piccolo diritto è stato conquistato negli anni, dai prigionieri, con lotte, sangue e anni di galera”

Come futile, semmai, dovrebbe essere percepito il falso moralismo della buona condotta..
 

“Il potere centralizzato – come le sue metropoli – è guidato dall’asocialitàe non può perciò criticare realmente l’asociale non autorizzato, dichiarato delinquente. Semmai lo crea, per usarlo in un tragico gioco di maschere.”

[da Il falso e l’osceno, A.M. Bonanno]

“L’abolizionista sarà perciò anzitutto un anti-settario, un amico della verità perché il suo primo compito è quello di far cadere il gioco delle maschere, ridare valore alla realtà smontando le rappresentazioni dietro alle quali si nascondono gli autoritari i quali proiettano le loro insicurezze e ambiguità sui capri espiatori:  i delinquenti non-autorizzati stabiliti dal sistema penale.

Sentirsi completamente diversi dal delinquente è infatti comodo, fino al punto di poter essere ancora più delinquenti di lui. 

Spesso lo si inventa del tutto: molti giovani puniti per uno spinello esprimono magari con quell’atto e i riti che lo circondano un bisogno di socialità che non sanno come realizzare altrimenti, ma comunque più elevato di quello presente in chi li condanna.

Inoltre, le masse addestrate a colpevolizzare i capri espiatori oggi minacciano i loro stessi improvvidi maestri della classe dirigente. Non basta più loro avere in pasto i delinquenti indicati dal sistema penale. In Belgio c’è già qualcuno che stabilisce l’equazione classe dirigente =pedofilia; da lì nella testa di qualcuno ogni omosessuale viene confuso con un pedofilo aggressivo e si diffonde l’uso della denuncia anonima contro il vicino «strano»..

Essendo la colpevolizzazione un processo di semplificazione interpretativa, si estende con facilità. Il sistema penale alimenta se stesso cooptando masse per favorire una nuova fase del potere centralizzato. Non è un disegno, è una prosecuzione della propria logica per forza d’inerzia, il risultato di una autodifesa ai limiti dell’inconscio,

in una fase storica nella quale il potere centralizzato va in pezzi.

Il proseguire come ieri in un contesto che non è più lo stesso aumenta all’inverosimile la ricerca dei capri espiatori, rischia di dar corpo ai fantasmi fino al rovesciamento completo della realtà, in un meccanismo fatalmente cannibalesco.

Un giudice francese diceva recentemente, tra l’analisi e l’auspicio, chel’800 fu il secolo del legislatore, il ’900 dell’esecutivo, il 2000 sarà forse il secolo dei giudici.. si paventa il rischio di una «repubblica giudiziaria».

Per superare questa tragica trappola mentale l’abolizionista dovrà perciò essere una persona capace di confrontarsi con il prossimo non in base alle sole idee dichiarate, ma in base a ciò che ognuno fa:  opera su se stesso, quindi, prima ancora che sugli altri.

Linguaggi diversi possono nascondere esperienze vicine, linguaggi simili possono mascherare esperienze lontane fra loro.

Visto così il mondo ti si rivela in modo spesso originale.  Tanti che credevi vicini ti sono lontani, altri che credevi lontani ti sono vicini.

Non si possono più usare facilmente le ideologie, le parole come maschere che rinnovano un inganno il quale a sua volta rinnova la sofferenza e l’ingiustizia.

Perciò la soggettività del recluso è quel campo che il sistema penale deve ignorare e far ignorare a priori, organizzandosi come un mercante fuori luogo che pensa di misurare, di poter rendere quantificabile la soggettività umana. Ma proprio questa consapevolezza è quel che può imparare per esempio ogni persona che finisca in galera. Atrocemente. Alcuni rimangono distrutti dalla disillusione. Altri, superando quell’inevitabile prima fase, sono meravigliati dalla sorpresa, sorpresa che può diventare una strada per una nuova percezione della realtà e perciò una preziosa resistenza alle sofferenze.”

[ Dei dolori e delle pene, V.Guagliardo ]
***

Ecco che, oltre ad informarsi su cosa vorrebbe imporre ogni articolo di Legge, sarebbe il caso interrogarsi “sul perché”.. ed in particolare, su chi o cosa si voglia colpire ed al contempo ottenere, quindi in che tipo di quadro governativo si inserisce quella specifica recrudescenza. Cosa davvero vi si sia dietro la sua affermazione forzosa, al di là di qualche dato pretestuoso, e se sia davvero qualcosa di inevitabile in essa, o che piuttosto occorre contrastare, e quanto questo sia necessario.

Soprattutto, si osservi come lo stesso stralcio in giuridichese permetta, a cominciare dalle forze dell’ordine in cui ci imbattiamo nelle strade, di ampliare, nei fatti, la propria arbitrarietà.

Sarebbe semmai allora da capire come non concedere tutto ciò, ossia cosa esse non possono negarci, distorcere e strumentalizzare che riguardano invece le nostre esperienze individuali, anche profondamente intime.

Quindi, come metterle a confronto per ragionare sul nostro presente senza concluderlo in una limitazione del nostro agire? Quali strategie possiamo sperimentare contro quello stesso piano preventivo di livellare le prossime generazioni all’impossibilità di rendersi autonome?

Ci preme quindi raccogliere intanto alcune casistiche in cui ci si può ritrovare persino nel momento dello svago, spesso considerato distinto da quello di una lotta, perché possiamo poi arrivare a ragionarne insieme in momenti dedicati.

CONTATTACI SE VUOI CONTRIBUIRE!

Innanzitutto, ci stiamo preoccupando delle dinamiche di attuazione degli articoli di Legge che attaccano le nostre stesse vite a partire dalla nostra serenità famigliare ed economico-lavorativo, ma non meno gravemente incrinano quella relazionale nel suo complesso.

Abbiamo cominciato a chiedere a qualche avvocato come affrontarle,partendo per cominciare da quello che l’articolo 633bis ci pone davanti come scenario facilmente verificabile.

COSE DA EVITARE DI DIRE ASSOLUTAMENTE :

non rispondere MAI a: “Chi ha organizzato/Sai chi è stato?”

o altre simili dichiarazioni infamanti.

“Non ne ho idea, sono arrivatx qui mi è sembrato di sentire della musica”,

COME RISPOSTA SE LA POSSONO FAR BASTARE!!

Presenza di digossini in borghese :

se vengono spinti via può essere resistenza a pubblico ufficiale,

dire “vattene” può essere minaccia a pubblico ufficiale,

se cacciano fuori il distintivo non puoi opporti.

PERCIÓ

è importante il rapporto di forze, ed è un buon segnale se più persone si uniscono in calca

bloccando insieme il passaggio

anziché lasciare che sia solo qualche singolo a prendersi questo ruolo per vedere di allontanarli tramite contrattazione

delle tempistiche, con autocontrollo rispetto alle possibili pressioni

ma anche aiutandosi a gestire la situazione in caso di abusi:

meglio una massa attenta che si responsabilizza reciprocamente

piuttosto che lasciare poche persone da sole con le guardie!

Se si riesce a non dare loro pretesto di intervenire nell’immediato

(non solo evitando di attaccarli a gratis, ma anche non mettendosi a discutere tra noi,

cosa importantissima per non lasciar mostrare i punti deboli dell’organizzazione),

ricevere una risposta che pone resistenza in maniera unitaria e ferma non è una provocazione

ed anzi può metterli in soggezione e renderli più affabili.

come nel caso di rivendicazioni rispetto ad un andamento buono dell’evento

o di valutazioni ragionevoli per l’incolumità di tuttx di eventuali modalità di uscita.

È consigliabile dare i documenti quando espressamente richiesti

altrimenti possono portarti in caserma per accertamenti, in particolare tramite impronte digitali,

o possono creare la situazione per darti resistenza a pubblico ufficiale, a meno che non vi sia una situazione di

scompiglio in cui potersi defilare (ma stando attentx a non venire ripresx in video).

A tuttx è comunque successo di non darglieli in varie situazioni,

ma occorre essere coscienti di cosa può succedere nei casi peggiori, onde evitare sorprese.

Si può essere identificatx eppure denunciatx solo successivamente: può passare anche un anno.

L’ applicazione del Decreto consente l’arresto in fragrante  e l’autorizzazione alle intercettazioni,

il che comporta il rischio di ricevere un numero maggiore di anni di condanna.

_Chi è incensurato rischia di meno,

con un rito abbreviato si scende subito a 2 anni e poi si gioca la condizionale.

_ Chi ha un rischio maggiore non deve per forza fare la scelta processuale di altrx indagatx.

Un soggetto partecipante

rischia essenzialmente ciò che rischiava prima andando a una TAZ,

anche se bisognerebbe tracciare di nuovo gli elementi giuridici da conoscere se si attraversa

uno spazio liberato a rischio sgombero (:possibilità di “procedimento penale per occupazione”).


Nell’articolo 633bis ad essere attenzionata è piuttosto la figura di chi organizza/promuove.

_ In termini comunicativi, ciò si riferisce a chi crea ed organizza chat apposite e momenti assembleari dedicati. Non è perciò da escludere sia identificato così anche il partecipante attivo, o chi diffonde/gira il flyer.

_ Chi si occupa del rapporto con le guardie e con l’esterno

può essere individuato come promotore.

(…)

Possono ad ogni modo verificarsi denunce affibbiate a caso per trovare qualche capro espiatorio.

_ Anche nell’affrontare le spese legali puà risultare più accollabile

che il donto corrente dove arrivano soldi sia stato definito dopo l’avvenimento,

mentre il fatto che si usi un conto creato in precedenza

può essere integrato tra le attività dell’organizzazione.

***

Comma 2

Sulla confisca obbligatoria :

_ Chi concede il noleggio non può stare nel luogo dell’evento, e la persona che ha affittato un impianto o strumentazione varia viene annoverata automaticamente tra chi organizza.

Si salva insomma il sound ma non il soggetto firmatario.

Se un pezzo dell’apparecchiatura è dello stesso modello/serie rispetto a quella che si scopre possedere in casa propria ciò non costituisce una aggravante,

a patto che non ci sia prova che io l’abbia assemblato.

Questo pretesto si rivela però utile se dovesse servire a scagionare unx amicx:

in questo caso il rischio è di sequestro preventivo, giusitificato per il “tentativo di istigazione”

(il che fa notizia, che è ciò che interesse de del Governo, anche se non viene applicato il Decreto).

***

ASPETTI POLITICO-PROCESSUALi DA POTER CONSIDERARE :

Dimostrare una parcellizzazione/divisione orizzontale dei ruoli

può quindi scorporare l’ambito dell’inchiesta sulla “promozione del reato”.

Cominciare a ragionare in termini collettivi,

SIAMO TUTTX ORGANIZZATORI/ORGANIZZATRICI”

è un buon punto di partenza per complicare il lavoro processuale e destituirlo di senso, opponendogli quello di una

RIVENDICAZIONE COMUNE. 

In tribunale c’è la possibilità anche di parlare solo di evento musicale :

il che è una “pecca” per qualsiasi percorso di lotta inerente in atto,

in quanto si mostra di non essere prontx a rivendicarselo.

Di conseguenza, ciò lascia sottintendere che

non si mette l’ accento sull’ uso consapevole

qualora vengano fatte altre accuse sull’andamento di detto “evento musicale”. 

***

COME SI POSIZIONA LA RIDUZIONE DEL RISCHIO DA SOSTANZE :

Deve esistere una circostanza oggettiva che comporta un pericolo concreto

per la violazione della normativa sugli stupefacenti (accertamento probatorio),

il che è complicato da dimostrare per gli eventi in cui ci si dota di Riduzione del Danno/Rischio.

In tribunale si può portare il fatto che: c’è un pericolo ( astratto ) sull uso di sostanze,

ma il carattere di autogestione a riguardo proposto significa anche che si sta già operando per evitare quel pericolo.

Invitare i servizi istituzionali e ufficiali di RDR tipo unità di strada è funzionale perché adempiono alla loro missione

lavorativa, ma attenzione a non lasciarsi sovradeterminare nelle pratiche

(soprattutto quando vi una ingerenza degli operatori delle ambulanze che non hanno dimestichezza con la tipologia

di effetti e le controindicazioni che si possono generare, soprattutto nella reazione emotiva e per il rischio di venire

denunciatx dai servizi, che comporta l’intervenire preventivamente e senza la valutazione di un collettivo di Riduzione

che sia autonomo).

Scrivere e connotare dunque il posto dicendo che c’è RDR è quindi tattico

perché funge, in ambito di “sicurezza”, da autodichiarazione legale,

oltre a costituire un’orientamento utile verso pratiche di autotutela collettiva.


Pulizia dell’area dai propri rifiuti :

Se si porta l’ immondizia con il furgone possono rompere molto il cazzo per i rifiuti

ma in realtà ancora di più se vengono lasciati.. la scelta qui è di principio.

***

Per molti aspetti ci troviamo oltremodo in ritardo quanto alla quantità di spunti che invece avremmo avuto da poter condividere per non finire a desistere dal portare avanti progetti illegalisti e per non dover ripiegare sul rispetto di forme di musicale autorizzate.

Queste ultime, per quanto cerchino di mantenere vivo il fermento, e su certi aspetti possono costituire un

varco d’incontro verso scelte più radicali, rimangono tuttavia avviluppate il meccanismi commerciali

(il che non va ridotto solo ad una questione di genere musicale e sarebbe interessante aprire dibattiti piuttosto che continuare a non voler affrontare il problema facendo come se si fosse trovata la soluzione nei club: può essere sollevante per qualche tempo, o per chi ha già perso molto, e sui motivi delle scelte personali non si può certo generalizzare, ma la situazione attuale non è rosea nemmeno per chi ha cercato di mettersi in regola).

Si vuole davvero dissociarsi da prospettive di lotta?

O si sta reagendo in maniera un po’ indotta, ma come autotutela?

Il rischio è di finire a ragionare solo per qualche convenienza momentanea

e in fondo solo autoriferita, come se la propria passione diventasse una carriera qualunque arrogandosi brevetti artistico-spettacolari persino quando si pesca ancora da quello stesso immaginario per cui il muro di casse è stato e vorrebbe poter continuare ad essere un totem che permette semmai di superare parecchie limitazioni solitamente tipiche della dimensione egoistica, i cui meccanismi alimentano al contrario modelli di competizione e disgregazione sociale. E la separazione tra ideali e pratiche è una ipocrisia propria della struttura liberale.. Esiste ancora una differenza?

C’è ancora qualcosa da salvare che non sia stato già strumentalizzato da chi ha avuto meno cura di quei

valori che in ogni ambiente di traveller e squatters si cercava di riunire?

Ci lamentiamo di venire repressx proprio mentre compartecipiamo a questo andamento accettando di tirarci indietro, magari additando chi avrebbe ancora un portato ribelle di essere un problema e lasciando passare il concetto tutto coloniale che la resistenza agli sgomberi si lasci intendere come una provocazione, quando l’unica vera provocazione è proprio quella legale(!) nei confronti di chi semplicemente cerca spazi di vita in cui potersi ritrovare.

E ad un certo punto della propria vita, anziché pensare di trasmettere qualcosa ax più giovani, si pensa al movimento stesso solo nei termini di ciò che si è investito per se stessx,

molto spesso ormai solo sulla propria stessa immagine,

fino a sentirsi praticamente in diritto di vendere il futuro

del proprio ambiente. Quello che succede in realtà in questi casi non è nemmeno frutto di scelte così ragionate, ma

un meccanico adeguarsi che accade prima o poi – spesso anche fin da subito – a qualunque scena nata da fermento sottoculturale.

Non c’è da stupirsi né da fare le morali, una volta compreso come funzionano le cose.. Ed in effetti nel ’68 ci avevano già avvisatx di stare attentx a non confondere con l’emancipazione

dal sistema” il processo d’alienazione che stava iniziando a insediarsi non piu solo attraverso il lavoro espropriato, non più primariamente nel settore industriale, e nemmeno più stabilizzando questo processo nei vari piani dell’esistenza quotidiana.

Un’alienazione degli individui dalle lotte per i propri principi, e quindi dalla proprio stessa vita, che si è

completata spesso proprio con la solita persecuzione poliziesca dei movimenti

e l’annichilimento carcerario di alcune prede sacrificali accuratamente selezionate.

Sarebbe interessante anche su questi punti approfondire insieme, per chi volesse, in modo da sbrogliare una serie di matasse, come la convinzione che adattarsi e rinunciare a tutti quegli ambiti che non ottengono il permesso istituzionale e la copertura giuridica sia un andarsela a cercare, un’ingenuità adolescenziale.

Quando poi magari si facevano bravate ben peggiori fino al giorno prima, solo che non faceva scalpore

sui notiziari perché mancavano i presupposti per formare un clima di paura,

in cui le fdo sentano aumentato il proprio potere.

***

Crediamo davvero che queste dovrebbero eseguire indisturbate?

Che l’autorità non si possa contestare?

E che l’aggravarsi delle Leggi dipende da chi reclama e difende un certo stile di vita invece di nascondersi o cedere del tutto?

Se chi acquisisce consapevolezza e comincia ad agire viene percepito addirittura con orrore, siamo di fronte a cervelli completamente imbevuti di propaganda statale. Chi ci toglie il futuro, a quel punto? Avere lo stesso sguardo delle direttive penalistiche significa essersi già consegnatx alla repressione..!

Cosa troviamo allora, nel presente? Le storie degli indivualità e dei popoli in lotta, ma innanzitutto la necessità di fare analisi dello “stato dell’arte” del nostro posizionamento nel mondo. Noteremo mancare una parte di presente, proprio quella che ci è già stata sottratta preventivamente, che da precedenti Governi è stata quindi consegnata alla norma, finendo col modificare le abitudini e le aspirazioni collettive.. Spesso, persino le opinioni.

Un presente che non ritroviamo possibile come lo sarebbe stato invece 10, 25, 50 anni fa. E la responsabilità di ciò che ci resta ha riguardato tuttx, compresx i nostri genitori..

La rassegnazione generalizzata in cui ci troviamo impantanatx ad ogni colpo dei poteri amministrativi e della logica securitaria

ci insegna quindi che la repressione ha colpito concretamente attraverso il senso comune nella ritirata all’ordinario e

la corruzione o il sotterramento dei sogni di chi ci ha precedutx, e forse più inesorabilmente di quanto non abbia eliminato fisicamente con i tribunali di Giustizia coloro che dimostrassero di non avere paura. Su chi hanno vinto, in questi termini,

le rappresaglie punitive? Se pensiamo alla parte della nostra quotidinità che invece può dirsi “fortunata”, chi ce li ha fatti poi trovare belli pronti tutti quei diritti che ci sconvolge vengano ritoccati in continuazione dalle poltrone parlamentari?

Si pensi ai martiri di Chicago, 8 anarchici impiccati, condannati non a caso come capro espiatorio al fine di ridimensionare le sollevazioni ottocentesche che il vento dell’internazionalismo stava diffondendo. La routine ai tempi riguardava fino 12 o 16 ore al giorno, anche per i minori, sotto gli obblighi padronali.

Le proteste sindacali ne reclamavano 8, quelle attuali. Questo è solo uno dei miglioramenti più lampanti e riconosciuti in tutto il mondo che possiamo considerare, nonostante gli eccidi che subirono moltx ribellx non vengano affatto ricordati.. Eppure pensate se le maniere in cui vennero uccisx avessero fermato le rivendicazioni!

Vogliamo veramente lasciar passare quella retorica infame che ogni volta continua a riprodursi in maniera sempre più inflitrata, fino cioè a sovradeterminare e distorcere il nostro sentire comune, ossia quella per cui storicamente chiunque sia finito sotto il gioco giustizialista sia stato unx pericolosx bombarolx isolatx, unx presuntuosx estremista, unx esaltatx visionarix, unx perfettx incapace di adattarsi alla “realtà”?

Come si finisce a non riconoscere quanto la rabbia e spinte anche violente siano legittime contro le oppressioni istituzionali e i loro metodi di soffocamento delle lotte e delle azioni stesse?

E pensiamo davvero che svalutarle a nostra volta

ed evitare di manifestare in quali problemi concreti ci imbattiamo sia la maniera che li fa magicamente sparire?

O non stiamo forse solo lasciando che sia qualcun altro a decidere in cosa possiamo credere e aspirare?

Il fattore economico che rende commercio ogni cosa che possiamo definire fruibile,

governa, di fatto, la gerarchia tra classi sociali.

Il momento in cui cò diventa evidente, come una falla di una nave che a un certo punto imbarca acqua, è quello della ristrettezza, dell’inconveniente o del torto subito, qualcosa di materiale insomma che manda in crisi ogni altro piano dell’esistenza.

La repressione funziona come strategia statale, fondamentalmente borghese, calcando esattamente su questo assillo della carenza e di privazione ogni qualvolta si temessero proteste o non vi fosse più la disponibilità ad accettare rappresaglie sui ribelli e stragi, celate o meno, nei confronti della popolazione.

***

Se non siamo abituatx a ragionare in termini organizzativi,

ma solo per ideali e con un senso di appartenenza fondato sullo svago, diventa via via più complicato elaborare insiemeq ualcosa che possa farci evadere da meccanismi securitari ormia inerziali, e si fa presto a ricrearli nei paradisi artificiali se nella nostra esperienza diretta in quel lasso di tempo libero non si cerca di rendersi indipendente da tutta una serie di ricatti confezionati ad hoc, in primis quelli economici.

Per non divenire definitivameente un prodotto, a nostra volta, della distopia in cui viviamo, non basta fuggire. Salverà magari il proprio culo, ma non la dimensione di evasione organizzata che abbiamo sperimentato e che viene attaccata a pretesto dalla propaganda, come ultimo colpo di spugna ai vagheggiamenti movimentisti rimasti ormai esangui per non aver riconosciuto le opportunità di sostenersi nella lotta quando si presentavano, ed aver preferito la ritirata invece di trasmettere il proprio vissuto a chi poteva prenderne il testimone, commisenado le ultime generazioni in maniera nostalgica senza assumere di essere corresponsabili di ciò che rimane. Perché la difficoltà ad affrontare le imposizioni reazionarie, qui in Italia come altrove, non è solo una questione di averci la Meloni al governo. É una fantasia astorica pensarlo, quando abbiamo avuto decenni di colpi pesantissimi alle lotte su ogni fronte ed area politica variamente espostasi dal basso, e se ora facciamo finta di non sapere e non vedere, di non ricordare, siamo direttamente complici di queste ultime sistematizioni normative e del loro gioco propagandistico.

A parte la banalità di base, che tuttavia non sembra essere molto implicita nei discorsi da after, percui in larga parte sono stati i Governi di Sinistra a far fuori parecchie istanze e soggettività scomode, fino a che la mania del politicamente corretto e dell’orrore per il contraddittorio e la critica,

come se gli approcci consensuali dovessero vivere di omologazione alla maggioranza anziche darsi strumenti

per ridare il giusto valore ad ogni nostro (bi-)sogno, quindi non lasciare indietro nessuna lotta

(non farsi complici di altre oppressioni invisibilizzate, insomma).

Se i metodi che ci offriamo in tempi di buona aiutano da una lato a gestirsi situazioni molto partecipate e prendere un po’ di respiro, viversi l’arte e una dimensione di socialità che non richiede la fatica di scavare e di redistribuirsi le responsabilità, il fatto che diventi l’unica forma che abbiamo di prendere decisioni e dello stare insieme si presta a diventare perfettamente funzionale a meccanismi produttivi e civilisti che vanno ben oltre la nostra autonomia, gettando le nostre prospettive più rosee nella solita salsa democratica che ha fatto andare a male tutto il portato conflittuale che si era faticosamente riuscitx a non far cadere nell’oblio tra i vari scazzi interni e passaggi alla disillusione.

Questa digressione per sottolineare come ciò che in periodi di abbondanza di esperienze abbiamo invece raccolto, persino nel momento della ritirata dovrebbe poter servire a fornire qualche scorta di consapevolezza per meglio resistere alle avversità.

Se invece ad ogni ostacolo precedente si fosse persa la mappa di fonti e granai, se ci siamo fattx la guerra tra poverx invece di preoccuparci di pensare a ripensare le posizioni difensive di fronte allo spettro del fascismo (che a dirla tutta non se n’era mai andato, semplicemente non vi stava riguardando direttamente, e pensavate di poter continuare in spensieratezza, su quella linea egoistica al ribasso e probabilmente non molto avveduta in cui ci si preoccupa di salvare soltanto la propria immediata condizione senza riflettere in maniera condivisa le conseguenze che possono verificarsi, senza prendere atto quindi che quando si tratta di un sistema di dominio non c’è convivenza pacifica che possa ritenersi estranea ai momenti di crisi generalizzata, ed anzi è più facile che si rimanga completamente spiazzatx, disorientatx, e allora certo chi lotta può ben apparire senza senso e senza speranza.

Ma non vi renderà più furbi arrivare a pensalo per non dover sentire qualche responsabilità addosso. Per dirla in metafora, è come se tra le vecchie isole nella rete ci si ritrovasse via via o a vendersi alle direttive globaliste, concedendo che non si riconosca nemmeno più il concetto di isola, men che meno liberata, oppure a ritrovarsi con alcunx tra noi che scappano con il poco di tesoro rimasto, o altri che con le mappe rimaste ci si fanno la carriera e lasciano quelli che ancora ci credono come dei poveri coglioni a lottare da soli.. e ci deridono pure perché ci proviamo, contribuendo insomma come il peggio lettore medio del Resto del Carlino a far attecchire il lato oscuro della repressione, quel rinculo di perdita di continuità e fiducia reciproca che agisce internamente ai movimenti…. e in tutto ciò magari si danno ancora arie di aver vissuto i tempi d’oro.. forse erano giratx dall’altra parte mentre qualcunx ci stava mettendo una parte di rischio per loro… o semplicemente non possono ammettere che non sono più in condizioni di poter vedere oltre in questo orizzonte.. ed è forse proprio questo atteggiamento apparentemente innocuo (anzi considerato avveduto) il punto di non ritorno, di annebbiamento cautelativo, di impossibilità normalizzata..

Insomma il punto di quella consegna dei soggetti alla nostalgia ed al rimpianto che ci impedisce di ridefinire i nostri orizzonti collettivi.

È precisamente qui che la repressione ha vinto:

non mentre perseguita e tortura chi prende nel mucchio.

……………………

senza che vi sia una corrispondente disponibilità alla solidarietà, tremendamente necessaria in questi casi perche le istanze libertarie non soccombano definitivamente (il fallimnto delle lotte si gioca proprio su questo elemento, non sulla quantità o durezza di colpi repressivi inflitti). Non è bastato ai paesi di matrice capitalista, perché le lotte continuavano.. ed anzi, persino per recuperarle e distorcerle i codici di Legge che proteggono lo Stato e la sottrazione di risorse alla popolazione per redistruirle in maniera iniqua, hanno dovuto concedere quei diritti umani talvolta che costituiscono la carota avanti il bastone, ma che tuttavia conoscendone la storia ritroviamo essere una conquista di sollevazioni popolari, non certo un regalo di magnati detentori di monopoli. Ma quando questa memoria si perde, quando sfugge come certe passaggi risolitivi siano stati premessa per un condizionamento ulteriore, quindi un’estensione della gabbia, e viceversa non si riconosce che certi maritirii per quanto affatto auspicabili non sono stati invano proprio perché le collettività erano ormai pronto a non indietreggiare, acombattere la paura stessa, che è lo strumento principale di ogni premessa e conservazione dittatoriale, a meno di non accettare di esserne invece complici. Questo avviene ttraverso un’opera di recupero di queste stesse istanze confondendole con le promesse liberaldemocratiche dei paesi occidentali, d’autoimprenditorialità anziche una spinta emancipativa che riguarda tuttx, sia chi abbia la disponibilità economica di comprare e gestire un Sound System, sia l’ultimx arrivatx scappatx di casa, da lavoro, o dalle istituzione, e che magari ha avrebbe la sua da aggiungere senza doversi sentire inadeguatx solo perché si pensa gli anni d’oro siano finiti.

Questo atteggiamento talvolta nonnista, altre volte nostalgico, o comprensibilmente toccato dai peggioramenti che i vincoli penali e nondimeno, quelli amministrativi, comportano alle singole vite, proprio sfruttando il beneplacito dell’opinione comune attraverso propaganda reazionaria.

Prima che ci si dia per vintx e che si disperda del tutto energie vogliamo provare a fare il punto non solo di come vengono ritoccate le norme per facilitare la discrezionalità con cui si possa subire denunce e processi,

ma a capire in che modi esse mirino a salvaguardare mica tanto l’ordine pubblico, ma una serie di elementi che se ne servono

e su cui il potere statale e quello industriale si basano.

A partire da un concetto di proprietà privata fine a se stesso, palesemente grottesco in tutti quei casi di aree in disuso ed immobili lasciati all’abbandono, carcasse che mostrano i fallimenti di vecchie stagioni di investimenti,

fino a quello ad una indicizzazione delle sostanze stupefacenti, tesa a eliminare proprio quei circuiti di aggregazione che nonostante tutto si mantengono lucidi nella lettura della realtà, la cui offerta “stupefacente” ha un richiamo ben diverso da quello del riempimento della noia, cercando di mantenere al loro interno un’ottica il più possibile critica dell’assuefazione commerciale.

Per quanto in larga parte si ceda inesorabilmente ad alcuni tipi di monopolio che vengono immessi nel mercato comune, non di rado proprio da funzionari statali (il che è certo più una questione di prassi privilegiata, non di casi isolati di corruzione), negli anni i circuiti in qualche modo alternativi e indipendenti hanno permesso di sviluppare pratiche di autogestione che permettono di evolversi di fronte alle problematiche che riscontriamo.

Pratiche altrimenti inimmaginabili nell’ambito del divertimento per profitto, come neppure in quello dei servizi sociali.

E questa differenza qualitativa si conferma ogniqualvolta si riesca a prendere lo spazio

per poter affrontare le tematiche ci ci riguardano. Essa infatti si sviluppa primariamente tramite partecipazione attiva,

e non invece nella contrapposizione tra una buona equipe organizzatva cui però si contrappone una sorta di pubblico pagante eppure proprio per questo, per abitudine, al contempo passivo,

che si presta cioè a svuotarsi della propria individualità e quindi si adagia ad un format, non è stimolato a portare il proprio contributo a seconda di ciò che viviamo e possiamo condividere..

Anziché ricorrere alla delega ed approcci delatori, di conseguenza all’intervento di Servizi che applicano standard, innanzitutto,

e proprio perché sottostanno a quel concetto impregnato di positivismo liberale ed umanamente vuoto di “ordine pubblico”,

non tengono in considerazione il vissuto delle persone, bensì segnalano la percentuale di devianza che queste finiscono a rappresentare entro una scala di adattabilità normativa.

Si alimentano così forme di autocolpevolizzazione e fallimento

o di fredde diagnosi di matrice scientista, da un lato,

quanto di stigmatizzazione ed esclusione sociale, dall’altro.

Quando invece negli anni, se anche certe abitudini connesse alle chimiche hanno finito per togliere concreta forza a molte lotte,

abbiamo sperimentato sulla nostra pelle e sulle nostre relazioni che non sono affatto i maggiori controlli né intere stagioni proibizioniste a non far “degenerare” le situazioni.


La gestione dell’ordine pubblico non è che il pretesto perbenista e totalmente speculativo attraverso il quale le gerarchie governative sottraggono alle comunità le capacità decisionali,

di organizzazione e di eventuali interventi che siano ragionati e confrontati localmente

dax direttx interessatx.

Storicamente colpisce chi protegge i propri territori o chi si è presx da sé ciò che il benessere sembrava

promettere, proprio mentre ce lo toglieva alle fondamenta.

Indicizzare in maneira punitiva il mondo dei free party

è in questo senso la tappa finale di due secoli di pulizia che è stata in primo luogo etnica,

per divenire classista,

usando all’occorrenza la morale proibizionista come corollario.

Non a caso appunto possiamo trovare più connessioni con la repressione delle occupazioni che con la regolamentazione dei locali da pubblico spettacolo, ma ciò non significa che questi non possono venirne indirettamente colpiti, anche se ora pare che le aspettative si siano riversate in quelli.. Già le modifiche peggiorative al Codice dell Strada lasciando intendere che il piano è ben più economico e di rivisitazione dell’indiscutibilità delle autorità anziché morale, e ricade sui movimenti giovanili primariamente per la difficoltà che questi hanno a sostenere una qualche autodifesa, divenendo ancora più ricattabile su ogni aspetto della propria vita. Invece, come poi nell’ambito di vasto dei Decreti Securitari, pare al solito alquanto difficile che possano rimetterci coloro che rivestono ruoli di privilegio o possa permettersi di pagare ammende per simili provvedimenti.

E proprio qui sta il punto: non rispetto a fattori di presunta o comprovata colpevolezza,

bensì sulla capacità di comprendere le dinamiche legaliste;

di tutelarsi da esse, soprattutto dalle applicazioni arbitrarie; di non lasciarsi ridurre dal timore ad un range comportamentale confezionato da ciò che le direttive man mano pretendono spersonalizzando completamente la storia di ognunx di noi e fungendo da cavallo di troia per disperdere percorsi di autonomia; di riorganizzare una capacità di opporsi alle ingiustizie.

Perché di base stiamo parlando di norme che perpetrano ingiustizie

(per quanto rese appetibili all’elettorato democratico).

Lo studio dell’avvocato a cui ci siamo rivoltx si è occupato

non a caso della difesa di occupazioni abitative, in particolare di famiglia migranti.

***

Se gli strumenti di cui ci dotiamo possono costituire una maggiore tutela, la sicurezza 100% non è realistica.

Anzi è proprio lo stesso concetto di sicurezza, soprattutto se preteso come totalizzante, del quale non vogliamo farci vittime e contro il quale sentiamo doverci difendere.

Tanto la sua teorizzazione politica che la sua stretta applicazione, inevitabilmente dipendente da rapporti di forza, risultano eticamente ambigue e pragmaticamente affatto risolutive, in quanto comporta dinamiche di controllo che storicamente hanno già avuto conseguenze nefaste.

Si potrebbe ribattere a proposito che i movimenti di lotta a vari livelli di coinvolgimento, anche superficiali, nondimeno comporta rappresaglie propagandistiche e incarcerazioni per le quali è a tutti gli effetti stata buttata via la chiave. Ma questi effetti sono dipesi allo stesso tempo dalla capacità di fare fronte comune o meno, come di ripensare i propri metodi senza dover stare sempre solo in difensiva.

Qui si tratta di permetterci invece di eludere ciò che presentandosi come normativa civile e rassicurante perpetra in realtà precisi processi repressivi ormai secolari.

La forma amministrativa e non necessariamente penalistica non è da meno di quest’ultima nel momento in cui le apre la strada stabilendo criteri di tolleranza tra i rapporti ed i comportamenti sociali. Quando questi attecchiscono nella mentalità comune senza che se ne discuta tra individui e comunità di riferimento, l’allerta da mantenre è che possano estendere logiche di sorvegliante, delazione, sfiducia nello straniero, nel diverso o, o semplicemente verso chi non si omologa del tutto rispetto alle proprie scelte (o non scelte..), a partire dalle filiere di oggetti di consumo che pare conveniente proibire, fino alla criminalizzazione delle lotte.

La cultura del dominio e dello sfruttamento avanza precisamente attraverso quelle, questo è “pacifico”, o meglio fa parte di strategie di pacificazione sociale tramite cui la rimozione del conflitto evolve grazie alla fabbricazione di consenso (ricordando Chomsky ai tempi di Seattle). Così come in area anarchica non si fa nemmeno in tempo a diventare bombaroli che già si viene defenestrati per l’analisi puntuale a proposito delle insidie governative e la capacità di riorganizzare la solidarietà.

Cagnotte de soutien pour la saisie de son et l’application de la Loi Anti-Rave (19/10/24) dans le Centre d’Italie

[ita source]

 

“Samedi 19/10, quelques tribes de Marche et de la Romagne se sont réunies pour donner vie à une T.A.Z (Temporary Autonom Zone / Zone Autonome Temporaire).

L’emplacement choisi était une ancienne carrière, un lieu désaffecté et tombé dans l’oubli de Furlo.

La fête a été une vraie free party, avec de la musique, des décorations, des autoproductions, et des équipes de réductions des risques.

Tout s’est déroulé sous le signe de la liberté d’expression, du partage et de l’autogestion.

Malgré une énième pluie torrentielle et des difficultés liées au climat, l’organisation et de la créativité ont permis de poursuivre la fête.

Mais le lendemain, tout a changé.

Cinq ou six voitures de police, des DIGOS (Renseignement Généraux) et de gendarmes armés sont intervenus, bloquant la seule entrée praticable.

C’était une véritable expulsion, d’une manière irrespectueuse qui appartient souvent aux forces du désordre.

Les personnes ont été identifiées, et le camion avec tout le matériel a été saisi.

La saisie comprend :

– 14 caissons
– 3 groupes électrogènes
– Lasers et lumières
– Équipement de vidéo
– Un réfrigérateur, et autre matériel

Grâce à la criminalisation de la fête par le gouvernement néofasciste et la loi 633bis, d’énormes dommages économiques ont été infligés en plus des plaintes.

Un coup dur pour les personnes qui protestent en dansant.

COLLECTE DE FONDS(*): IT3910760113300001 015833831″

(*) compte bancaire avec le code italien

pour destiner l’aide il faut savoir le nom de la personne; écrire à l’adresse: smashrepression@proton.me

 

 

 

 

Luigi è libero ed esce dalla massima sorveglianza! Liberx Tuttx

Lottare contro le guerre non è reato!

Come rete Smash e solidali ci siamo unitx all’accorato appello per la scarcerazione senza se e senza ma di Luigi Spera, compagno siciliano costretto per otto lunghi, lunghissimi mesi, a un regime di massima sorveglianza e condizioni a prescindere inaccettabili.

La scarcerazione é la dimostrazione di un accanimento preventivo, timoroso e rancoroso, contro le militanze e chi esprime il suo pensiero a fianco dei più deboli e senza frontiere, vessati da guerre ed armi a partire dalle nostre latitudini, da una macchina sempre più spietata che vede (e non è una notizia) la Leonardo in prima fila, oggi come non mai.

Seppur l’obbligo di firma e di dimora non rendano l’udienza completamente soddisfacente, e non ponga termine al processo, ribadiamo – da Palermo a Milano – quanto valga la pena lottare e stare fianco a fianco con chi si batte, cercando di estendere la solidarietà.

Proprio come fatto sabato a Palermo, con la street che, oltre a portare con determinazione e arte il dissenso contro il DDL 1660 in una giornata di mobilitazione plurale in Italia, ha “invocato” la liberazione di Luigi!

Chi lotta non è mai solo!
– Smash Repression – 

*** Riportiamo a seguire il comunicato sulla liberazione da Antudo.Info ***

LUIGI È LIBERO!

L’udienza del riesame tenutasi stamattina ha avuto esito nell’immediata scarcerazione di Luigi, dopo 8 mesi di alta sicurezza nel carcere di Alessandria. Il tribunale ha disposto per lui liberazione immediata con obbligo di firma e obbligo di dimora nel comune di Palermo, dove farà ritorno a breve!

Terminano qui otto mesi di ingiusta detenzione con accuse spropositate per il pompiere palermitano, accusato di aver protestato contro il colosso degli armamenti Leonardo. Mesi in cui la solidarietà e le iniziative contro la guerra e l’invio di armi da parte dello stato italiano si sono moltiplicate in tutta Italia e oltre, nonostante la censura della posta e la lontananza da casa.

Il processo proseguirà con l’udienza del 20 dicembre. Un processo che adesso potremo affrontare con ancora più coraggio e determinazione.

Libertà per chi lotta contro la guerra!

 

Raccolta fondi 633bis freeparty Ex Cava Fossombrone (PU)

Diffondiamo il comunicato delle crew che hanno montato all’ex Cava di Fossombrone!

 

"Sabato 19/10, alcune trie marchigiane e romagnole si sono riunite per dare vita ad una T.A.Z. (Zona Autonoma Temporanea).

La location scelta è stata un'ex cava, un luogo dismesso e dimenticato del Furlo. La festa è stata un vero e proprio free con musica, deco, autoproduzioni e gruppi di riduzione del rischio. 

Tutto si è svolto all'insegna della libertà di espressione, condivisione e autogestione.

Nonostante l'ennesima pioggia torrenziale e le difficoltà legate al clima, organizzazione e creatività hanno permesso di portare avanti la festa.

Ma il giorno successivo tutto è cambiato.

Cinque o sei volanti tra polizia, DIGOS e carabinieri armati sono intervenute bloccando l'unico ingresso praticabile.

Si è trattato di uno sgombero, con le modalità poco amichevoli che appartengono alle forze dell'ordine.

Le persone sono state identificate e il furgone con tutto il materiale è stato sequestrato.

I sequestri includono:

– 14 CASSE DEL SOUND SYSTEM
– 3 GENERATORI
– LASER E LUCI
– APPARECCHIATURE VIDEO
– UN FRIGORIFERO E ALTRI MATERIALI

Grazie al Governo neo-fascista e alla Legge 633bis, che criminalizza le feste, oltre alle denunce è stato inflitto un danno economico enorme.

Un duro colpo per chi protesta ballando."

Iban raccolta fondi: 

IT39I0760113300001015833831

[per il nome del beneficiario al fine di poter effettuare la donazione scrivere a smashrepression@proton.me ]